Le tante manifestazioni
antifasciste che hanno caratterizzato la campagna elettorale hanno avuto più un
carattere di isterismo che di sincero impegno politico. L’isterismo – si sa –
nasce in presenza di una realtà non gradita e contro cui non si sa che fare; è
figlio dell’impotenza, ovvero è l’esito di una lotta interiore quando si sa di
aver prodotto un male che si dice di aver sempre combattuto.
Non c’è dubbio che il fascismo,
comunque declinato, politico o sociale, è nemico della democrazia; ma quando
essa si accorge di averlo lei stessa prodotto, con le sue politiche sbagliate e
produttive di insicurezza e malessere sociali, dà in escandescenze e quasi per
esorcizzarne la causa se la prende con l’effetto. Poi, per allontanare da sé la
responsabilità, s’inventa la crociata antifascista, facendo passare il fascismo
per un invasore, giunto da chissà dove e per colpa di chissà chi, secondo la
crociana metafora del popolo degli Hyksos. (Per necessità di comunicazione si
adopera un lessico politico convenzionale, non necessariamente condiviso o
condivisibile).
Non pare che si possa giudicare
diversamente l’allarmatissimo ritorno di antifascismo diffuso, che, dalle
suburre dei centri sociali fino ai colli fatali più alti, ha invaso il Paese.
Ma la percezione di un nuovo
fascismo si avverte in Italia. Negarlo non serve, anche se serve di meno
enfatizzarlo e ingigantirlo. Serve capirlo nella sua specificità e soprattutto
evitarlo.
Esso consiste in un fascismo che,
forme esteriori a parte, non ha i caratteri né di quello storico (Pnf) né di
quello nostalgico (Msi). Il primo nacque nelle trincee della Grande Guerra e
nel disordine politico creato nel dopoguerra dalla minaccia bolscevica. A Roma come a Mosca era il grido di chi
occupava le fabbriche di Torino e di Milano e le campagne della pianura padana.
Il secondo fu una consegna morale, prima ancora che politica, solo per lealtà e
onore, nei confronti di chi aveva scelto di combattere pur sapendo di perdere.
Dunque, testimonianza forte sul piano morale, sterile su quello politico.
Il fascismo, contro cui oggi il
sistema si sta producendo col chiasso delle piazze, è frutto di una realtà
politica e sociale che ha radici nella democrazia, nei suoi fallimenti e nelle
sue contraddizioni oltreché nelle sue malefatte spicciole e quotidiane, che
tanto hanno gonfiato il movimento di Grillo, che pure fascismo appare, ancorché
inconsapevole e buffo.
Il modo come la democrazia
italiana ha gestito finora i rapporti dell’Italia con l’Europa, il modo in cui
amministra la ricchezza degli italiani e soprattutto l’immigrazione investono
non tanto le scelte, che possono essere sempre giuste o sbagliate, comunque
correggibili, ma la stessa natura del sistema democratico che si trova di
fronte o a privilegiare il proprio popolo, garantendogli sicurezza e benessere,
a danno però dei propri valori di accoglienza, di solidarietà e di apertura, o
a privilegiare questi valori, ritenendoli irrinunciabili, e penalizzare il
proprio popolo. Questo, nel momento in cui si vede trascurato o abbandonato nel
malessere e nel disordine, reagisce e crea problemi per così dire di natura
fascista o eversiva.
La domanda è: può la democrazia
assicurare al suo popolo sicurezza e benessere nel rispetto dei propri valori?
Una simile domanda non sembra
aver tormentato le forze democratiche di governo di questi ultimi anni. Nei
confronti dell’Europa i governi italiani hanno dimostrato di avere un complesso
di soggezione, di cui la perdita della sede dell’Agenzia del Farmaco, è una
delle tante prove. Nei confronti delle attività produttive hanno innalzato la
soglia fiscale fino a farla diventare impossibile; ne è scaturito per un verso
l’indebolimento delle aziende che versano le tasse e per un altro l’evasione di
chi le tasse o non vuole o non può pagarle.
Con i migranti le cose sono
andate anche peggio. Per un verso i governi che si sono succeduti hanno accolto
i migranti, per essi hanno speso miliardi, senza assicurare loro un bel nulla,
lasciandoli infestare le nostre città e rafforzare le associazioni criminali
già esistenti, facendo finta di non sapere che queste persone devono mangiare,
bere, dormire ed esercitare tutte le funzioni fisiologiche di un essere umano.
Con chi vuole il governo che la gente se la pigli quando vede le nostre piazze,
le nostre strade, le nostre periferie piene di queste persone, che fanno tutte
le sopraddette necessità all’aperto, che rendono sporco e insicuro il Paese? E,
ad un altro livello culturale, chi non si rende conto che lasciare tante
persone all’avventura, ad arrangiarsi alla meno peggio, non è accoglienza, ma è
solo irresponsabilità, ipocrita generosità per un verso e cinica strafottenza
per un altro? C’è da meravigliarsi se, dopo tanta attesa, la gente perde la
pazienza e diventa per così dire fascista?
Occorre un apologo. Conoscevo un
professionista, molto bravo, che si era ammalato di fegato perché beveva in
maniera smodata ed eccessiva. Si fece fare il trapianto, che peraltro non è
cosa facile. Riuscì benissimo. Il fegato malvagio, fascista – mi si consenta la
metafora paragonante – fu asportato e sostituito con un fegato buono,
democratico. Ma quell’amico riprese a bere e ammalò il nuovo fegato, che ancora
una volta da buono e democratico divenne malvagio e fascista; finì per andarsene
dal creatore che lo aspettava per dirgli quanto era stato imprevidente e
incontinente. Avere una concezione naturalistica della politica e della società
significa imparare a comportarsi dalla natura. Machiavelli lo insegnava. E
tuttavia in Italia sembra che si siano persi il buonsenso e i sani suggerimenti
dei maestri del pensiero e della storia che si apprendevano a scuola.
Si è parlato nei tumultuosi
giorni della campagna elettorale di sciogliere tutti quei movimenti che si
rifanno in maniera diversa al fascismo (Casa Pound, Forza Nuova). E dall’altra
parte, da Fratelli d’Italia, si è suggerito di sciogliere i centri sociali.
Bene, sciogliamoli pure, gli uni e gli altri. E dopo? Se si continuerà a
produrre malessero politico, disagio sociale, disservizio diffuso, piragnismo
fiscale, gli stessi fenomeni sono pronti a riproporsi in forme più esasperate e
pericolose, da una parte e dall’altra. E l’antifascismo continua ad essere
rendita elettorale.
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