La politica è così, à la guerre comme à la guerre.
Ma se il modo di dire
famoso per significare spregiudicatezza di comportamenti, colpi bassi,
scorrettezze e tradimenti, viene applicato al Movimento 5 Stelle che da quasi
dieci anni si propone come diverso dalla vecchia politica, allora un commentino
bisogna farlo. S’incomincia col prendere atto di ciò che tutti sapevano, tranne
loro; o facevano finta di non saperlo. E cioè, che in politica certi passaggi
sono obbligati, saranno pure sporchi e puzzolenti, ma sono obbligati.
Il passaggio del “peccato”, in
questo caso, quale è? Nel mettersi insieme con un’altra forza politica
all’indomani del voto se si vuole copulare qualcosa, ovvero esercitare un
minimo di potere e poter realizzare in tutto o in parte il proprio programma. Siamo
alla solita rottura delle uova per poter fare la frittata. Le poltrone
tanto vituperate dai Cinquestellati – ma a dire il vero essi non hanno mai
detto di voler governare in piedi! – sono state anche per loro oggetto di
spartizione e trattative varie.
I due presidenti di Camera e
Senato sono stati eletti, uno del M5S, Roberto Fico, alla Camera; l’altro di
Fi, Maria Elisabetta Alberti Casellati, al Senato. Post nubila Phoebus, verrebbe di dire. Salvini ha ragione di
ostentare contentezza, perché è riuscito a far eleggere un parlamentare dello
schieramento di centrodestra e per di più prima donna a diventare presidente
del Senato. Della serie che non sempre chi sbandiera femminismo dalla mattina alla
sera – ah, Boldrini Boldrini! – in concreto poi riesce a produrre qualcosa di
femminista. Il centrodestra, bollato molto spesso come antifemminista, zitto
zitto e piano piano ha realizzato un colpo storico. Per merito suo la seconda
carica dello Stato è donna, che, in circostanze d’emergenza, potrebbe anche
ricoprire la carica di Presidente della Repubblica. Del resto era stato il
centrodestra, con Berlusconi, a portare in politica il maggior numero di donne.
E, a dire il vero, oggi esse lo ripagano con una lealtà non sempre osservata
dai suoi collaboratori maschi. La rinuncia alla candidatura alla presidenza del
Senato di Anna Maria Bernini, proposta da Salvini, va portata ad esempio di
lealtà e di correttezza. Il che non è poco in un mondo in cui mors tua vita mea.
Ora incomincia la corsa a Palazzo
Chigi. Chi del Dimmi e Dammi sarà il nuovo premier? Alla
vigilia del voto due erano le ipotesi più gettonate. Premesso che i
Cinquestelle sarebbero stati il partito più votato, le due ipotesi erano una l’intesa
Forza Italia-Pd, l’altra M5S-Lega. La
prima presupponeva la vittoria di Forza Italia all’interno della coalizione di
Centrodestra e una sconfitta meno catastrofica del Pd; la seconda, la vittoria
della Lega nel Centrodestra. Si è verificata la seconda, anche per il tonfo del
Pd. Salvini ha superato Berlusconi ed è diventato, secondo accordi presi, capo
della coalizione; il Pd, non si capisce su quale altro colle romano vuole
riparare, se esclude l’Aventino.
Il postelezioni ha confermato la
leadership di Salvini, che si è dimostrato tanto spregiudicato quanto
conciliante. Come ha saputo giungere alla elezione dei due presidenti del
Parlamento lo dimostra. Nel gioco stretto di quei giorni spazio e tempo per
concordare mosse e contromosse non ce n’erano. Di qui il suo colpo di mano,
che, a fronte del rifiuto del forzista Paolo Romani alla Presidenza del Senato
da parte del M5S e addirittura del rifiuto di Di Maio di incontrarsi con
Berlusconi, ha sbloccato lo stallo, proponendo motu proprio la Bernini, mandando su tutte le furie Berlusconi che,
a caldo, ha detto: basta, la coalizione non esiste più. Poi la ricomposizione
di tutto, come di sopra riportato.
Come si svolgerà il corso della
storia da lunedì in poi non è dato saperlo né prevederlo. Ma quel che possiamo
dire, con un pizzico di soddisfazione, è che il M5S è di fatto arrivato nel
paese reale, che è anche quello normale. Non più, almeno per ora, minchiate
alla Beppe Grillo o alla Alessandro Di Battista, ma comportamenti ragionati.
Sperando, lo diciamo per interesse civico, che poi riserveranno tutto il loro
rigore alle scelte operative che sapranno fare se riusciranno ad andare al
governo, con Di Maio protagonista o co-protagonista. Il Paese non è stato mai
così ansioso di vedere se l’ennesima sfida dei buoni e capaci, degli onesti e
dei preparati, sortirà gli esiti sperati.
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