domenica 24 novembre 2013

Berlusconi fine corsa, ma il complotto c'è


Silvio Berlusconi nel corso di questi venti anni si è reso colpevole di numerosi reati, forte dei suoi mezzi per apparire sempre davanti alla giustizia non punibile perché i reati commessi erano difficilmente provabili. Fino a qualche anno fa la giustizia ha sbattuto sempre contro un muro di gomma, vuoi per le leggi ad personam che depenalizzavano i reati, vuoi per i tempi di prescrizione, vuoi per l’abilità degli avvocati, vuoi per testimonianze confezionate e via di seguito. La giustizia nei cinquanta e passa processi contro di lui ha commesso anche l’errore di infilare qualche reato palesemente infondato, contando sui suoi giochi di prestigio; ma l’assoluzione che ne è derivata è stata spesa dal Cavaliere per dimostrare l’accanimento di certa magistratura nei suoi confronti. Il che era poi vero, dato che gli stessi reati compiuti da altri, anche importanti uomini dell’economia nazionale, venivano ignorati o trattati diversamente.
Ciò non toglie che la condotta complessiva di Berlusconi non sia stata quella, a rigore, di un uomo di Stato; ma di uno scavezzacollo straricco e strapotente credentesi in diritto di fare tutto ciò che volesse, ostentandolo perfino come uno status di rivalsa contro i suoi nemici.
Un uomo del genere è politicamente incollocabile. Il suo dichiarato anticomunismo non lo colloca minimamente nel liberalismo, se non in margine alla sua attività di imprenditore; meno ancora a destra, luogo politico e ideologico di chi crede nell’etica dello Stato. Berlusconi ha coinvolto e inquinato tutte le forze politiche sue alleate, fino a fagocitarle.
Ma l’aspetto ancor più grave e devastante è ciò che gli altri sono stati indotti o costretti a fare per abbatterlo; al venir meno alla correttezza istituzionale e al dover negare le ragioni profonde, essenziali, del proprio ruolo pubblico.
Da qualche anno in qua, infatti, i suoi nemici hanno cambiato tattica. Come si dice? Hanno fatto squadra: magistratura + politici + alte istituzioni. Un complotto, anche se non è nato nelle forme liturgiche note alla storia. Diversamente non può essere definito.
Ben inteso, si può anche essere d’accordo sulle finalità “nobili” di questo complotto, ma che di complotto si tratti è indubbio.  
C’è stata una svolta nella tattica della magistratura, che oggi non sta a perdere tempo con le prove o le testimonianze, ma lo condanna e basta. Ha capito che le prove per condannarlo non le avrebbe mai avute e perciò niente prove, ma la presunzione di sistemi criminosi, intesi all’ingrosso. Nella condanna per frode fiscale, per esempio, ha assolto Confalonieri, che era formalmente il responsabile legale di Mediaset, e condanna Berlusconi, che ne era il proprietario. Nella condanna per Ruby, non c’è prova alcuna contro di lui; i testimoni lo scagionano. Dunque i testimoni dicono il falso, così, senza prove per un altro supposto sistema di prostituzione minorile. Vedremo che per il processo per corruzione del senatore De Gregorio la corte giudicante farà lo stesso, dirà che Berlusconi ha costruito un altro sistema di corruzione politica.
Ma, a confermare il lavoro di squadra, concorre la dimensione della condanna. Non si tratta di condanne normali, benevole o malevole, ma di condanne funzionali al suo definitivo abbattimento politico: interdizione ai pubblici uffici, decadenza da parlamentare, incandidabilità, anche per la sopraggiunta legge Severino contro i politici corrotti. Legge, questa, che se fossero stati più attenti i Berluscones avrebbero evitato.
Una magistratura, così operante, non potrebbe reggersi senza il concorso di altri importanti soggetti e se non avesse la moral suasion di chi sta più in alto. Le sinergie in atto contro Berlusconi coinvolgono le alte cariche dello Stato, anche se defilate o formalmente aderenti al rispetto delle competenze. Anche quando, per esempio, senza venir meno al regolamento, il Presidente del Senato, che si muove nella stessa volontà del Capo dello Stato, come del resto tutto l’universo politico e istituzionale italiano, potrebbe concedergli qualcosa rimandando la data del voto del Senato sulla decadenza, s’impunta e dice: niet! Segnale, questo, che non ha bisogno di commento. Al vertice di questa piramide di potere c’è Napolitano. Per capire il ruolo che oggi ha il Capo dello Stato basta, a chi può, leggersi i versi di Dante che descrivono il Padreterno all’inizio del I Canto del Paradiso:  “La gloria di colui che tutto move / per l’universo penetra, e risplende / in una parte più e meno altrove”, con la sola differenza che la gloria di Napolitano oggi penetra e risplende dappertutto allo stesso modo.
Chi, di destra o di sinistra, è fuori dal confronto politico non può non essere contento del fine, abbattimento di Berlusconi, per le ragioni esposte in premessa, ma non può accettare i mezzi coi quali lo si sta abbattendo. Non solo e non tanto per il fatto in sé, ma per quello che produrrà in prospettiva. Soprattutto – ciò che produce più male allo Stato di diritto – è il comportamento della giustizia, chiaramente di parte e in concorso con la politica per far fuori un nemico comune, tanto forte che né la giustizia con le sue armi istituzionali, correttamente usate, né la politica con le sue, le elezioni, sono riuscite in venti anni a sconfiggere.
Berlusconi da un anno a questa parte fa pena; è un uomo finito. La sua fiducia nell’aver qualche riguardo dal Presidente della Repubblica o dai suoi nemici, in cambio della rielezione di Napolitano e del sostegno al governo Letta delle grandi intese, è puerile. Il suo non volersi dimettere e il voler aspettare il voto di decadenza, che secondo lui è una vergogna della quale i suoi nemici continueranno a vergognarsi per chissà quanto tempo, è infantile. Ma quando mai c’è stato qualcuno che si è vergognato in politica? In Italia, poi!
E’ chiaro che non è più compos sui, come dicono gli avvocati; oppure è il solito Berlusconi, giocherellone di fronte al giocattolo che gli si è rotto tra le mani. Nel primo caso bisognerebbe davvero che qualcuno lo aiutasse. Nel secondo, forse si dovrebbe rivedere il giudizio e cercare altrove le cause del suo fenomeno. 

Parole chiave: Berlusconi Magistratura Napolitano

Argomento: Decadenza Berlusconi 

domenica 17 novembre 2013

Berlusconi-Alfano: una scissione burla?


La data è da ricordare: 15 novembre 2013. La componente governativa del Pdl non ha inteso partecipare al Consiglio Nazionale del partito, indetto per sabato 16, in cui si è poi deciso la liquidazione del Pdl e il ritorno a Forza Italia.
I riottosi, guidati da Angelino Alfano, hanno dato vita a gruppi parlamentari autonomi, denominati Nuovo centrodestra. E’ stata di fatto la scissione. L’ennesima nella storia politica di questo paese. Ancora una volta non ne verrà che male.
Ovvio che la gente, portata com’è ad esemplificare, si chieda chi ha torto e chi ha ragione. Non è facile rispondere. Ci sono almeno tre profili da analizzare. Due sono formali, uno è sostanziale.
Primo profilo. Non c’è alcun dubbio che in un partito possano esserci punti di vista diversi, dal confronto escono una maggioranza e una o più opposizioni. Chi vince si assume le responsabilità delle scelte, chi perde deve lealmente stare nel partito e fare di tutto perché la linea scelta dia buoni frutti perché è nell’interesse di tutti. Qui la minoranza, per esemplificare, quella guidata da Alfano, non è stata alle regole e ha lasciato il partito. Dunque: hanno ragione Berlusconi e chi lo segue, hanno torto Alfano e chi lo segue.
Secondo profilo. Non si è trattato di un normale confronto all’interno di un partito che nessuno metteva in discussione, ma di una vera e propria rifondazione: da una parte (Berlusconi) che voleva tornare a Forza Italia; dall’altra (Alfano) che voleva continuare col Pdl. Le due parti hanno preso strade diverse su un piano paritario: nessuna delle due ha ragione e nessuna ha torto.
Terzo profilo. Questo è sostanziale. Una parte (Berlusconi) vuole evitare la sua decadenza da senatore e dunque la sua uscita di scena negoziandola con la fiducia al governo, nell’altrettanto esemplificata conclusione: se decade Berlusconi cade il governo. Cosa che si è sempre detto di voler tenere distinte e fino ad ora sono state tenute distinte, pur con molti mal di pancia. La posizione di stare con Berlusconi senza se e senza ma, se ha un fondamento forte sul piano dell’emotività – il capo è sempre il capo –, è debole sul piano politico, dato che è sotto gli occhi di tutti che Berlusconi è finito, non solo per la decadenza da senatore ma per le tante ghigliottine giudiziarie che gli stanno sul collo. La caduta del governo, poi, non porterebbe nulla di buono né a Berlusconi né al Paese. Sarebbe per tutti una catastrofe da muore Sansone con tutti i Filistei. La componente governativa del Pdl, nella consapevolezza di tutto ciò, non ha ritenuto di stare con Berlusconi, irrimediabilmente perso, e ha deciso di sostenere il governo, limitandosi a piangere la fine di Berlusconi come le prefiche di una volta accompagnavano l’agonia e la morte dell’eroe morente. Un canto funebre, ecco che cosa Alfano era disposto a dare a Berlusconi a risarcimento di ciò che perdeva e come gratitudine di ciò che personalmente da lui aveva ricevuto. Inutile dire che umanamente Alfano doveva perire con Berlusconi. Politicamente ha fatto una scelta diversa nel tentativo di una prospettiva più favorevole per sé e nell’immediato per tenere contento il Presidente della Repubblica Napolitano, unico e solo domino della situazione. I cosiddetti lealisti, da parte loro, stando dalla parte di Berlusconi, sperano di poter trarre un profitto politico dalla sua ricchezza di mezzi e dalla sua forza elettorale, in vista di nuove elezioni, essendo non meno coscienti dei governativi che Berlusconi è finito. Ai canti funebri loro hanno preferito i canti di guerra, ma con l’occhio e la mano sulla cospicua eredità politica.
Ci sarebbe un quarto profilo, quello del risentimento di chi per anni ha dovuto dire sì-sì e no-no, a seconda delle indicazioni di Berlusconi; di chi per anni ha subito anche le sue non sempre generose battute. E’ da credere che Alfano abbia dimenticato di non avere il “quid”? Lui, che peraltro è siciliano? E’ da credere che in tutti questi anni non abbia pensato di dimostrare che lui il “quid” ce l’ha e come? E’ da credere che uno come Quagliarello abbia digerito perfino il dover sostenere in Parlamento che la Ruby fosse davvero la nipote di Mubarak? E’ da credere che uno come Cicchitto, che da sempre si dà arie di grande stratega politico, non abbia nutrito in tutti questi anni il rancore e la speranza di riscatto per la mortificazione di essere un esecutore di ordini? Ci sarebbe da fare un elenco infinito di risentiti in attesa di rivalsa. Le corti sono da sempre luoghi di comodità  e di agi, ma anche di veleni e di fetidezze, per le tante umiliazioni che i cortigiani subiscono dal signore e dai suoi favoriti.
I risvolti umani in certe drammatiche situazioni si spartiscono tanti e tanti, tanti di gratitudine, tanti di risentimento.
Io non credo che il calcolo politico stia solo da una parte, la generosità e la lealtà dall’altra. Quel che oggi deve far pensare tutti, lealisti e antilealisti, per intenderci, è ciò che conduce agli esiti della vicenda. Chi finirà per avere la meglio: i ribelli o i fedeli?
La storia non ha mai premiato i generosi. Dai loro tormentati gesti non hanno mai tratto beneficio. Si dice che il tradimento non esiste in politica. Ma si dicono tante altre cose in politica, come se fosse la giungla, l’azzeramento della civiltà. Bisognerebbe pensare a qualche cura di umanità e di umanesimo. Ripensando la vicenda di Bruto, quello che diede l’ultimo colpo di daga a Cesare, pronto a uccidersi dopo la sconfitta di Filippi, Leopardi si chiedeva se per caso Giove non sieda sempre a tutela degli empi.

Qui non si fa poesia, si fa politica. Al di là delle simpatie o delle antipatie, si cerca di capire dove porterà la rivolta di Alfano, dove la lealtà di Fitto e dove la saggezza di Gianni Letta. L’operazione di Alfano è chiaramente di vertice, non si sa al momento a quale elettorato faccia riferimento. Si conoscono i rimandi di vertice, non quelli di base. Se la storia non ha raccontato finora frottole, Alfano e compagni andranno incontro alla sconfitta, dopo la bella fiammata di successo di questi giorni; andranno a tener compagnia a Bruto a Filippi. Tutti i profeti armati – insegna Machiavelli – vinsono, i disarmati ruinorno. A meno, come è opportuno sospettare, non si tratti alla fine di una scissione burla…alla Berlusconi.

Parole chiave: Berlusconi Alfano Scissione Forza Italia Nuovo Centrodestra

Argomento: Nuovo centrodestra

martedì 12 novembre 2013

Su Salernitana-Nocerina: il calcio, i soldi, i tifosi


In questo paese ormai – l’Italia dico – non si può fare più un ragionamento libero. Non perché qualcuno ti mandi al confino politico o in carcere; ma perché c’è una sorta di sinedrio di moralisti, i quali leggono dentro le righe per vedere se trovano idee e opinioni in qualche modo difformi dal  pensiero unico dominante, per condannarti come reprobo. Questa gente si indigna un giorno sì e l’altro pure e per tre volte al giorno. S’indigna più volte di quante non si lavi i denti. Grida subito: vergogna, non se ne può più, bisogna prendere provvedimenti seri: tolleranza zero. La corte si adegua subito e da canale televisivo a canale televisivo è un propagarsi infinito, con gli indignati- cavallette che danno l’assalto al campo.
Il calcio, per essere il contenitore popolare più importante, è lo specchio su cui si riflette questo mondo di eterni indignati. Strutturato in senso verticale e orizzontale, dal vertice alla base, dal centro alla periferia, il mondo del calcio, fatto da calci-tranti, non sopporta i re-calcitranti. Tutti si devono adeguare. Tutti, benché diversi nei ruoli e nelle condizioni, devono sottostare.
Da anni ormai si gioca per i soldi. I campionati sono condizionati negli esiti sportivi: alcune squadre giocano il venerdì, altre il sabato, altre la domenica ed altre il lunedì successivo; alcune a mezzogiorno e mezzo, altre alle quindici, altre alle diciotto, altre alle venti e quarantacinque. Pensiamo solo un attimo che valore si potrebbe dare ad una gara di atletica o di ciclismo con gli atleti e i ciclisti che per la stessa gara fanno le loro prestazioni in giorni diversi, in orari diversi e in condizioni diverse.
A lor signori, i padroni del pallone, tutto questo sembra legittimo. Ove è lampante che lo fanno per i diritti televisivi, che producono fiumi di soldi. Sanno che ormai il calcio non ha più niente di sano e di sportivo. Ma intanto continuano a far soldi, ad insistere. Non dico che è solo il nostro paese, ormai è il sistema. E si potrebbe pure rispondere: e mo’ che si può fare? Così va il mondo.
Ma il mondo non è fatto solo di quattro faccendieri, che trasformano tutto in pecunia e tutto subordinano agli affari: è fatto anche di gente sana, pulita, appassionata, tifosa, che crede e si arrabbia – e fa bene ad arrabbiarsi quando pensa di aver subito un’ingiustizia. Chi fa gli erutti quando parla sarà pure un maleducato, avrà pure qualcosa sullo stomaco, ma non significa che ha torto.
Il calcio è fatto principalmente dai calciatori, i quali sono sottoposti a sforzi incredibili per essere pronti a giocare in qualsiasi ora, con qualsiasi temperatura, sotto il sole o la neve, il vento e la pioggia. Come soldati sul Piave: tacere e andare avanti. Si dice: prendono tanti soldi. In parte è vero; ma vale per pochi. La stragrande maggioranza sì e no riesce a mettere insieme quanto gli serve quando smette per crearsi un’attività lavorativa. Se tutto gli va bene, perché qualcuno lascia la pelle, qualcun altro la salute o l’integrità fisica. E ci sono casi in cui i calciatori non sono neppure pagati, come poveri operai dipendenti di un’azienda in fallimento.
Poi ci sono i tifosi, i quali si pretende che vadano allo stadio, paghino un fottìo di soldi per il biglietto e debbano comportarsi come spettatori ad un concerto sinfonico: non devono urlare più di tanto, non devono usare parolacce, non devono sfottere gli avversari, non possono inveire contro i calciatori e gli arbitri; non possono esporre striscioni offensivi. Insomma si pretende che i tifosi non facciano più i tifosi, ma i fedeli in pellegrinaggio a Loreto o a Monte Sant’Angelo.
Giudizi morali soltanto nei loro confronti? Macché! Punizioni di ogni tipo, fino all’interdizione di andare allo stadio, alla chiusura delle curve, all’impedimento di seguire la squadra in trasferta. Sono stati inventati perfino reati nuovi, come il razzismo territoriale. Dire “Forza Vesuvio, erutta e sommergi i napoletani” è reato, come è reato se si dice che “Giulietta era una zoccola e Romeo un cornuto”. Sfottò, che, da che calcio è calcio, è stato sempre fatto.
Per concludere, il calcio, che è dei calciatori e del loro pubblico, è diventato appannaggio degli affaristi, i quali escludono quanti non si comportano come educande.
Per tornare a Salernitana-Nocerina, partita a rischio, come spesso accade per antiche rivalità tra i tifosi, che spesso si picchiano anche fuori della partita, occorre porsi delle domande; ma non le solite, quelle che hanno già la risposta. Come quella dei tanti Varriale: sono delinquenti.
Perché l’accaduto di domenica è grave, solo perché i tifosi della Nocerina hanno minacciato di morte i loro giocatori se fossero scesi in campo per giocare? Solo perché i calciatori hanno fatto finta di infortunarsi per obbedire ai loro tifosi? Certo, non sono belle cose, né a vedersi né a sentirsi. Ma vogliamo chiederci per quale ragione una partita di calcio fatta per lo sport e per i suoi appassionati, deve escludere una componente per ridurre l’evento ad un puro fatto di soldi?  Per quale motivo non consentire ai tifosi, che evidentemente non tutti sono ultras, di seguire la propria squadra? Si può concepire una partita di calcio senza i sostenitori di una delle due squadre?
Ecco, a queste domande occorrerebbe dare una risposta. L’episodio di Salernitana-Nocerina deve essere utilizzato in senso risolutivo dei problemi che hanno ingabbiato il calcio in un sistema di mero profitto. E’ arrischiato ipotizzare le ragioni che hanno indotto i calciatori a stare coi loro tifosi invece di essere in linea col regolamento o con l’etica dello sport, ma non escluderei che alla base del loro comportamento possa esserci stata anche una protesta non proprio ortodossa. O meglio: mi piacerebbe che così fosse stato. 

Parole chiave: Nocerina Calcio Affari Soldi Tifosi

Argomento: Salernitana-Nocerina

domenica 10 novembre 2013

Pd-congressi: che sputtanamento!


Di tessere fasulle nel Pd, fatte a chicchessia – verrebbe di ricordare il “chicche” e “sia” di Totò – per gonfiare i consensi congressuali dei candidati Pd ai vari livelli dirigenziali se ne parlava da tempo, al punto che uno dei candidati alla segreteria nazionale, Cuperlo, aveva suggerito di stoppare il tesseramento. Tanto è stato poi fatto tra mille polemiche e mugugni. E sì perché ormai chi aveva da ingrassarsi si era ingrassato, alla napoletana: chi ha avuto, ha avuto” con quel che segue.
Renzi, che da qualche anno viene proposto agli italiani come il puer della quarta egloga di Virgilio, il “bombardino” di Firenze, fa il superiore dicendo che lui non si occupa di regole ma di fatti. In realtà è il solito furbo, che tace quando gli conviene tacere e parla, anche troppo, quando gli conviene parlare. Per lui la Cancellieri si doveva dimettere. Ma è stato bene attento a dirlo non durante i giorni di discussione, ma dopo, quando ormai il caso era stato archiviato con non poco imbarazzo di tutti. Se non ha sollevato lo scandalo delle tessere, vuol dire che a lui andava bene.        
Il fenomeno delle tessere ha rievocato il similare fenomeno della Democrazia cristiana, quando i suoi vari ras locali tesseravano pure i morti per giungere al confronto congressuale con un nutrito pacchetto di “consensi”. Ma francamente lo spettacolo offerto dal Pd dei giorni scorsi ha superato il limite della decenza. Un fenomeno che ha riguardato l’intero territorio nazionale e si aggira tra il 15 e il 20 % dei congressi sezionali. Non è volgare retorica se lo si paragona a quanto provoca un pozzo asettico che tracima coi suoi liquami e inonda il condominio.
La puntata di “Virus”, la trasmissione di Nicola Porro su Rai Due, dell’8 novembre ha mostrato l’indecente spettacolo con dovizie di particolari, dai comuni di Tricase e Alessano del più profondo Sud, ad alcuni comuni del più alto Nord piemontese, alla stessa Torino, ad altri comuni del Lazio, tra Roma e Frosinone, in una “unità d’Italia” incredibile nella furbizia più spicciola e idiota.
Ma come si può giungere a tanto? Un erogatore di soldi si apposta ad una cinquantina di metri dalla sezione dove avviene il tesseramento. Delle persone, “chicche” e “sia”, passano da lui, ritirano quindici euro, e poi vanno in sezione a ritirare la tessera, che dà diritto a partecipare a tutte le votazioni di partito. Le stesse, intervistate, hanno detto candidamente che non capivano niente di politica, che erano lì solo per fare un favore ad un amico, che non conoscevano neppure il nome del segretario nazionale del partito, che non sapevano perché si prestavano a quell’invereconda operazione e via di seguito. Sono andate a tesserarsi perfino persone notoriamente di destra e perciò avversarie; e tanto, per fare il favore all’amico o al compare. Ovvio che chi da sempre appartiene al partito inorridisca di fronte all’insulso spettacolo e si rifiuti di ritirare una tessera, che è ormai distintivo di vergogna.
La malattia del Pd è una vera e propria epidemia, che non risparmia nessuno e che mostra, ancora una volta, che in questo paese ormai è tempo di nerbate. Appena si incomincia a sperare in qualcuno o in qualcosa, ecco che avviene il peggio meno immaginabile.
Non sono passati che pochissimi mesi dall’incredibile spettacolo dei 101 che dopo aver partecipato ad una standing ovation pro Prodi per eleggerlo presidente della repubblica lo impallinano come neppure i cecchini democristiani degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso riuscivano a fare. Non si è ancora spenta l’eco della squallida figura che ha fatto il ministro Cancellieri, donna nella quale gli italiani avevano riposto tanta fiducia, ed ecco l’ennesimo spettacolo dei furbi del Pd che come cavallette danno l’assalto al partito. E dire che nei loro slogan si rifanno niente meno che all’«Italia giusta». Non hanno neppure il senso del ridicolo.
Questa gente, che si propone come alternativa a Berlusconi e addirittura alle larghe intese di Letta, sta dimostrando il peggio di un paese che sorprende sempre nello spostare l’asticella del sopportabile. Non si capisce come possa riuscire Renzi o chi altri a governare il paese quando tutti dimostrano di non riuscire a gestire i propri impulsi a frodare i loro stessi amici di partito.
Ma, a ben riflettere, quanto sta accadendo nel Pd è quasi una sorta di nemesi storica, dopo le abbuffate di vent’anni di antiberlusconismo all’insegna della predicata decenza, del rispetto della legge. Quando si credeva che ormai il mostro fosse finito, invece di prepararsi a dimostrare la recuperata salute pubblica, ecco l’abbandono sconsiderato ad ogni forma di indecenza, quasi a dimostrare che in questo paese finalmente si è tutti uguali, sia pure nella schifezza.
E’ probabile che ancora una volta il superamento del difficile momento politico che sta vivendo il Pd stia nella scissione, più volte preconizzata da Cacciari. Se non saranno gli ex democristiani a lasciare il Pd agli ex comunisti; saranno gli ex comunisti a lasciare il Pd agli ex democristiani. Solo così è possibile che ognuno torni a parlare in maniera chiara sapendo che chi ascolta si riconosce nel suo stesso vocabolario. Pensare di costruire un partito con linguaggi e comportamenti diversi è come ripetere l’errore della torre di Babele.

Nel Pd ormai non si capiscono più. Ma mentre gli ex democristiani hanno conservato intatte le abitudini dei loro padri, gli ex comunisti stentano a riconoscersi perfino tra di loro. Ecco perché lo spettacolo indecoroso delle tessere deve servire ad un coraggioso rinsavimento, prima che l’epidemia si trasformi in pandemia.      

domenica 3 novembre 2013

Cancellieri, il ministro che non t'aspetti


Chi l’avrebbe mai detto! Anna Maria Cancellieri, il ministro di giustizia del governo Letta, il ministro degli interni del governo Monti, il prefetto di ferro, con più cuore ma non con meno rigore del più famigerato “prefetto di ferro” di Mussolini, si è rivelato il più berlusconiano dei politici in circolazione. Ma come si può? Prendi il telefono, ti rivolgi ad un alto funzionario del ministero per far uscire dal carcere  la tua amica Gloria Ligresti, la stessa  titolare dell’azienda di cui era manager il figlio, solo qualche mese fa benservito con tre milioni e mezzo di euro di liquidazione. Incredibile! Una, due, tre volte incredibile!
Ma, dopo il primo attimo di incredulità, diciamo pure amara, perché nella vita bisogna pur credere in qualcosa e in qualcuno, si realizza che il caso è tipicamente italiano. Può anche accadere altrove, beninteso,  ma altrove un minuto dopo essere stato scoperto il ministro responsabile si dimette senza che nessuno glielo chieda o glielo imponga.
La Cancellieri doveva rassegnare le dimissioni, dopo aver chiesto scusa agli italiani. Non aveva altro da fare, per due ragioni, semplici e immediate, quando non ce ne fossero altre. La prima è per come lei era stata finora percepita dal Paese; la seconda perché c’è in piedi la questione colossale di Berlusconi con la giustizia, che rende i comportamenti dei politici a rischio-paragone.
Davvero infantili le ragioni che adduce la Cancellieri, che scomoda addirittura la Costituzione. Dovere di ministro, motivo umanitario, la Costituzione che vuole che il carcere sia educativo e non punitivo e via di questo passo, fino, magari, al “Deo lo vult” dei cavalieri crociati. Ma sono scuse, semplicemente per non compiere un atto, che dovrebbe stare in chi è ministro, come un gesto previsto e scattante per automatismo in circostanze del genere: dimettersi. Avrebbe dovuto dire: cittadini ho compiuto un gesto che non dovevo compiere da ministro quale finora ho dimostrato di essere; lascio perché un motivo non meno importante dell’etica civile mi ha suggerito di compiere un gesto umanitario. Non mi sento meno ricca di prima, ma, al contrario, assai più ricca, perché ho dimostrato che anche un ministro della Repubblica, inappuntabile, ha un cuore, che non lede ma arricchisce la donna che sono, il ministro che sono stato. Non lo ha fatto, accampando scuse da italianuzza, che, più che senso dello Stato o buon cuore, ha famiglia.
Sorprende che lei non capisca o faccia finta di non capire che la questione nella quale si è cacciata è assai più grande della cosa in sé. Troppe commistioni tre le due donne, tra le due famiglie; troppo alto il livello economico e sociale delle stesse per non pensare che certe cose accadono, oggi come ieri, tra potenti, ricchi, privilegiati. Quante persone non marciscono in carcere in attesa di giudizio, malate, se non nel corpo, nello spirito al punto che ne traggono le conseguenze suicidandosi? O queste cose la Cancellieri non le sa? Quando pensa alla Costituzione come appiglio per rimanere al suo posto, pensi invece allo spirito tante volte invocato della Costituzione che garantisce a tutti i cittadini italiani gli stessi diritti, le stesse opportunità.
Ora troveranno casi di intervento umanitario per dimostrare che lo stesso atteggiamento il ministro l’ha avuto in precedenza per altri. Ma se pure riescono a trovare migliaia di casi risolti in questo modo, non sminuisce affatto la gravità del suo gesto. Chi sta in alto non può aggrapparsi se non ad appigli più alti, non più bassi.
Probabile, comunque, che se la passi liscia, perché in Italia la giustizia, in ogni sua forma, è strabica. Cancellieri non è Berlusconi. L’avesse compiuto lui un interessamento del genere, apriti terra e inghiottiti Cesaria, come si dice da noi, nel Salento. 
Già è scattato in suo favore il Procuratore  capo di Torino Caselli per sostenere che tutto è avvenuto in piena regola e che l’intervento del ministro è stato del tutto inutile, perché già la procedura per far uscire dal carcere la Ligresti era stata avviata.
Solo il Movimento 5 Stelle ha chiesto immediatamente le dimissioni, annunciando una mozione di sfiducia individuale nei suoi confronti. Gli altri hanno dato il via ad una serie di caroselli ipocriti e strumentali.
I radicali addirittura sfruttano il caso per riprendere la questione dell’amnistia e dell’indulto. Quelli del Pd vogliono sentirla in aula prima di decidere se si deve o meno dimettere, come se lei non avesse già detto quello che aveva da dire. Ricordiamo che il ministro Josefa Idem di questo stesso governo si dimise per molto meno. Ma quella è tedesca di nascita! Conterà pure qualcosa.
Quelli di Scelta civica, cui la Cancellieri appartiene, dicono che è tutto in regola e che si sta montando un caso per mettere in difficoltà il governo. Perfino la Lega vuole attendere la discolpa parlamentare della rea.
E quelli del Pdl? Per loro la Cancellieri non ha fatto niente di male, si è comportata esattamente come Berlusconi, e perciò se passa come regolare il suo intervento per scarcerare la Ligresti, deve passare l’intervento di Berlusconi per scarcerare la Ruby. Tutto è negoziabile, perfino la retroattività delle cose oltre che delle leggi. Secondo i pidiellini, dato che ora si salva la Cancellieri, si provveda a rivedere il caso di Berlusconi e della Ruby, che ha già avuto una prima sentenza di condanna. La retroattività per il Pdl non serve se condanna, ma serve e come per assolvere. Ma come si fa, parafrasando il poeta Tonino Guerra di un famoso spoot televisivo, ad essere così fessi?

Parole chiave: Cancellieri  Item   Ligresti Giustizia  Dimissioni

Argomento: Caso Cancellieri