Di tessere fasulle nel Pd, fatte
a chicchessia – verrebbe di ricordare il “chicche” e “sia” di Totò – per
gonfiare i consensi congressuali dei candidati Pd ai vari livelli dirigenziali
se ne parlava da tempo, al punto che uno dei candidati alla segreteria
nazionale, Cuperlo, aveva suggerito di stoppare il tesseramento. Tanto è stato poi
fatto tra mille polemiche e mugugni. E sì perché ormai chi aveva da ingrassarsi
si era ingrassato, alla napoletana: chi ha avuto, ha avuto” con quel che segue.
Renzi, che da qualche anno viene
proposto agli italiani come il puer
della quarta egloga di Virgilio, il “bombardino” di Firenze, fa il superiore
dicendo che lui non si occupa di regole ma di fatti. In realtà è il solito
furbo, che tace quando gli conviene tacere e parla, anche troppo, quando gli
conviene parlare. Per lui la
Cancellieri si doveva dimettere. Ma è stato bene attento a
dirlo non durante i giorni di discussione, ma dopo, quando ormai il caso
era stato archiviato con non poco imbarazzo di tutti. Se non ha sollevato lo
scandalo delle tessere, vuol dire che a lui andava bene.
Il fenomeno delle tessere ha
rievocato il similare fenomeno della Democrazia cristiana, quando i suoi vari
ras locali tesseravano pure i morti per giungere al confronto congressuale con
un nutrito pacchetto di “consensi”. Ma francamente lo spettacolo offerto dal Pd
dei giorni scorsi ha superato il limite della decenza. Un fenomeno che ha
riguardato l’intero territorio nazionale e si aggira tra il 15 e il 20 % dei
congressi sezionali. Non è volgare retorica se lo si paragona a quanto provoca
un pozzo asettico che tracima coi suoi liquami e inonda il condominio.
La puntata di “Virus”, la
trasmissione di Nicola Porro su Rai Due, dell’8 novembre ha mostrato
l’indecente spettacolo con dovizie di particolari, dai comuni di Tricase e
Alessano del più profondo Sud, ad alcuni comuni del più alto Nord piemontese,
alla stessa Torino, ad altri comuni del Lazio, tra Roma e Frosinone, in una
“unità d’Italia” incredibile nella furbizia più spicciola e idiota.
Ma come si può giungere a tanto? Un
erogatore di soldi si apposta ad una cinquantina di metri dalla sezione dove
avviene il tesseramento. Delle persone, “chicche” e “sia”, passano da lui,
ritirano quindici euro, e poi vanno in sezione a ritirare la tessera, che dà
diritto a partecipare a tutte le votazioni di partito. Le stesse, intervistate,
hanno detto candidamente che non capivano niente di politica, che erano lì solo
per fare un favore ad un amico, che non conoscevano neppure il nome del
segretario nazionale del partito, che non sapevano perché si prestavano a
quell’invereconda operazione e via di seguito. Sono andate a tesserarsi perfino
persone notoriamente di destra e perciò avversarie; e tanto, per fare il favore
all’amico o al compare. Ovvio che chi da sempre appartiene al partito
inorridisca di fronte all’insulso spettacolo e si rifiuti di ritirare una
tessera, che è ormai distintivo di vergogna.
La malattia del Pd è una vera e
propria epidemia, che non risparmia nessuno e che mostra, ancora una volta, che
in questo paese ormai è tempo di nerbate. Appena si incomincia a sperare in
qualcuno o in qualcosa, ecco che avviene il peggio meno immaginabile.
Non sono passati che pochissimi
mesi dall’incredibile spettacolo dei 101 che dopo aver partecipato ad una standing ovation pro Prodi per eleggerlo
presidente della repubblica lo impallinano come neppure i cecchini
democristiani degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso riuscivano a
fare. Non si è ancora spenta l’eco della squallida figura che ha fatto il
ministro Cancellieri, donna nella quale gli italiani avevano riposto tanta
fiducia, ed ecco l’ennesimo spettacolo dei furbi del Pd che come cavallette
danno l’assalto al partito. E dire che nei loro slogan si rifanno niente meno
che all’«Italia giusta». Non hanno neppure il senso del ridicolo.
Questa gente, che si propone come
alternativa a Berlusconi e addirittura alle larghe intese di Letta, sta
dimostrando il peggio di un paese che sorprende sempre nello spostare
l’asticella del sopportabile. Non si capisce come possa riuscire Renzi o chi
altri a governare il paese quando tutti dimostrano di non riuscire a gestire i propri
impulsi a frodare i loro stessi amici di partito.
Ma, a ben riflettere, quanto sta
accadendo nel Pd è quasi una sorta di nemesi storica, dopo le abbuffate di
vent’anni di antiberlusconismo all’insegna della predicata decenza, del
rispetto della legge. Quando si credeva che ormai il mostro fosse finito,
invece di prepararsi a dimostrare la recuperata salute pubblica, ecco
l’abbandono sconsiderato ad ogni forma di indecenza, quasi a dimostrare che in
questo paese finalmente si è tutti uguali, sia pure nella schifezza.
E’ probabile che ancora una volta
il superamento del difficile momento politico che sta vivendo il Pd stia nella
scissione, più volte preconizzata da Cacciari. Se non saranno gli ex
democristiani a lasciare il Pd agli ex comunisti; saranno gli ex comunisti a
lasciare il Pd agli ex democristiani. Solo così è possibile che ognuno torni a
parlare in maniera chiara sapendo che chi ascolta si riconosce nel suo stesso
vocabolario. Pensare di costruire un partito con linguaggi e comportamenti diversi
è come ripetere l’errore della torre di Babele.
Nel Pd ormai non si capiscono
più. Ma mentre gli ex democristiani hanno conservato intatte le abitudini dei
loro padri, gli ex comunisti stentano a riconoscersi perfino tra di loro. Ecco
perché lo spettacolo indecoroso delle tessere deve servire ad un coraggioso
rinsavimento, prima che l’epidemia si trasformi in pandemia.
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