domenica 26 luglio 2015

L'immigrazione e le due Italie


Si può dire che l’immigrazione sia una crisi? O si offendono il Papa e i suoi sottoboccali, perfino laici, ovvero i politici italiani che alla benevolenza cattolica affidano le loro fortune elettorali, le loro carriere governative e dirigenziali?  Va bene per il Papa, che considera l’immigrazione un dono di Dio; ma per lo Stato?
Questa crisi in Italia ha operato una sorta di operazione sociale che in chimica si chiama dialisi, ossia la scomposizione sempre più netta della società italiana nelle sue componenti fondamentali: la classe politico-intellettuale e il popolo.
Per la verità le componenti dovrebbero essere tre, la terza purtroppo, quella  degli intellettuali, fa tutt’uno con quella politica, tradendo una missione che è istituzionale, per etica e funzione. Essa, invece di stare col popolo e contro il potere, è in difesa del potere e svolge il compito di rabbonire il popolo che recalcitra, spiegandogli che immigrazione è bello, è fatale, è ineludibile, rappresenta la ricchezza del paese. Gli italiani non fanno più figli? Nessuna preoccupazione, li fanno gli immigrati, che mantengono così il trend delle nascite. Grazie ai contributi dei lavoratori stranieri l’Inps potrà pagare le pensioni agli italiani. E sempre grazie agli stranieri in Italia si continua a consumare e a tenere in piedi la produzione. Insomma, gli intellettuali, che non vedono oltre il naso o vedono benissimo oltre quel che c’è ma tacciono, vanno in soccorso dei politici e non ipotizzano nemmeno alla lontana il danno che deriverà all’Italia dall’invasione immigratoria. Il loro imbonimento in realtà è un inganno; è un delitto contro il proprio Paese.
Il paragone che si fa tra l’immigrazione assorbita dai tedeschi di popolazioni euroasiatiche, contigue per civiltà, e l’immigrazione nostra di popolazioni africane che con l’Europa non hanno niente a che fare, è segno di malafede. L’integrazione costà è un fatto, già avvenuto. Qua da noi è solo l’inizio di una tragedia che abbiamo visto e vediamo in Inghilterra, in Olanda, negli stati Uniti d’America. Con gli africani e gli islamici non ci può essere integrazione alcuna. Chi oggi sostiene questa invasione afro-islamica si assume responsabilità storiche ben precise. Gli intellettuali dovrebbero insorgere, porsi alla testa del popolo, e invece seminano fandonie col chiaro scopo di renderlo insensibile e innocuo.
Ma torniamo alle due componenti. La prima, per convinzione, scelta o obbligo, sostiene che l’immigrazione va gestita non potendo essere respinta. Falso! Altri paesi, come Francia, Inghilterra e Ungheria, la respingono. La posizione italiana del resto è equivoca: per un verso l’immigrazione è un male e infatti si arrestano gli scafisti che trasportano in alto mare gli immigrati, per un altro è un bene perché ci consente di dimostrare la nostra solidarietà cristiana, più le già citate ingannevoli profende. Il governo ha mobilitato le prefetture per trovare edifici dove ospitare gli immigrati, per risolvere i problemi d’impatto socio-ambientale.
Ma non è solo questione tecnica, di spazi, di organizzazione. Il popolo è contrario, ormai non tollera l’invasione e ovunque i prefetti sistemino gli immigrati scoppiano tumulti ed incidenti; e dove i prefetti cercano di mediare, sensibili alle rimostranze popolari, vengono trasferiti dal ministro dell’interno perché incapaci e inadempienti. Ormai è chiaro: il potere politico e il popolo sono entrati in rotta di collisione.
Che il popolo non capisca, che non sia in grado di cogliere nei suoi giusti termini il fenomeno dell’immigrazione, come politici e intellettuali vogliono sostenere, è quanto di più antidemocratico possa pensare una classe politica sedicente democratica. Qui è in gioco il contratto sociale: i rappresentanti (classe politica) lo stanno tradendo, così legittimando la ribellione dei rappresentati (popolo). Tornano a scontrarsi la visione ideologica e la visione pragmatica. Il popolo può sbagliare, può non capire, può essere che nella sua ignoranza preilluministica abbia bisogno di essere guidato o spinto con la forza verso una direzione, può essere che sia perfino utile ingannarlo, secondo una vecchia teoria di stampo paternalistico; ma è un fatto indiscutibile che esso è sovrano. Ad un certo punto può ribellarsi. E’ legittimo che si ribelli. Le condizioni per una rivolta popolare crescono sempre più anche per altri fattori.
In Italia stiamo vivendo una fase di pre-democrazia. Abbiamo un governo che nessuno ha votato, che governa come se non dovesse mai sottoporsi a giudizio alcuno, che ha fatto della riforma elettorale la nuova tela di Penelope per ingannare i proci, leggi gli elettori. Percorsi simili nella storia hanno sempre portato a disastri.
Ancora. L’Italia è lo zimbello del mondo. Altro che l’Italietta di fine Ottocento, contro cui si levavano i nazionalisti! Son tre anni che due nostri militari, appartenenti ad un corpo di grande prestigio, come il Battaglione San Marco, sono tenuti in India sotto minaccia di processo e di condanna a morte, mentre le autorità italiane non sanno far altro che tentare vie che portano a lunghi percorsi che terminano in un vicolo cieco. Mettiamo pure che i due fucilieri di marina abbiano ucciso i due pescatori scambiandoli per due pirati, hanno fatto semplicemente il loro dovere. Se no non si capisce che ci stanno a fare sulle navi se non possono intervenire laddove è richiesto o pare che sia richiesto il loro intervento.
Ancora. L’Europa continua a penalizzare i nostri prodotti agricoli con assurde e comiche normative, come il fare formaggio senza latte, fare cioccolato senza cacao, tenere rigorosamente la dimensione delle vongole entro parametri europei; e noi continuiamo a fare i compitini a casa come scolaretti.
Può essere che per stare in Europa occorra rinunciare a pezzi di sovranità; ma proprio per questo occorre una classe dirigente all’altezza, di carattere e non di una manica di yes-man, sempre pronti a indecorosi e lesivi “obbedisco”.

domenica 19 luglio 2015

Tsipras e la Grecia, Renzi e l'Italia


L’accordo per il terzo salvataggio della Grecia è fatto, il prestito-ponte di sette miliardi approvato, tutto sembra risolto; ma è davvero così?
Che pensare di una situazione in cui chi deve avere i soldi dati in prestito deve prestarne altri al debitore per avere parte dei primi? Questo è accaduto con la Grecia. Io, che ti ho prestato dei soldi, siccome alla scadenza non hai da pagarmi la prima cambiale, te ne presto altri per pagarmela, perché se non me la paghi sei fallito, e allora non mi darai neppure gli altri. Detto così, tanto per capirci.
Il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea nelle persone dei suoi massimi responsabili, Lagarde e Draghi, continuano a dire che il debito greco va alleggerito, che va ristrutturato. Se diamo un senso alle parole, se le vogliamo riempire di qualcosa, diciamo che il debito va ridotto, meglio se reso sostenibile, meglio ancora se cancellato. Ma – ribadisce la Germania – per statuto il debito non può essere cancellato. Ed ha ragione.
La Germania ha la faccia e dice. Gli altri, che sono d’accordo, si nascondono dietro di lei. E dunque, come la mettiamo?
Il nostro Renzi, che una volta metteva la faccia dappertutto, pare che non ne abbia una neppure per farsi riconoscere dai suoi contradaioli e deve rivolgersi a Crozza per ricordarsi com’era.
Fanno ridere e irritano allo stesso tempo le trovate, secondo cui la Grecia dovrebbe impegnare i suoi beni nazionali, il Partenone, l’Acropoli ed altro ben… degli dei. L’Italia, ai tempi del governo Rumor impegnò le sue riserve auree. Ma i monumenti non sono trasportabili; non sono lingotti d’oro. Fanno ridere perché certi beni sono naturalmente indisponibili, sarebbe come sequestrare il Kilimangiaro o le Cascate Vittoria. Ricordano Totò che voleva vendere la Fontana di Trevi ad un ricco americano, immaginato tonto. Un dato di questi nostri tempi è che perfino il ridicolo e il comico vantano credenziali di serietà. Irritano perché rivelano la natura esclusivamente e grottescamente bottegaia di certi soggetti. Ricordano certe pretese dei signorotti nostrani di una volta, i quali al poveraccio che non aveva da restituire loro i soldi, richiedevano la figlia minorenne se la moglie valeva poco alla borsa del cazzo.
Dunque, dispiace constatare come la situazione greca ha solo una parvenza di soluzione. Di qui a non molto, tornerà più nera di prima, mentre il paese dovrà vedersela coi cocci di un governo di apprendisti stregoni: volevano fare i comunisti in casa dei padroni, come se quelli non avessero uomini e mezzi per buttarli fuori senza tanti complimenti.
Pare che Tsipras sia rinsavito. L’aria di Bruxelles gli ha fatto bene. Ha capito che per i comunisti non c’è più una Cuba, una mezza-Cuba in giro; e non parliamo della Russia o della Cina. Oggi, nel mondo, i poveri sono cresciuti in rapporto alla popolazione; ma i comunisti sono in estinzione. Ah no, ci sono quelli dei centri sociali; ma quelli hanno capito che per farsi mantenere è necessario stare in paesi capitalisti, che danno da mangiare e da bere e tra poco anche da fumare cannabis in assoluta legittimità.
***
In questi torridi giorni di luglio – speriamo che agosto sia più clemente in tutti i sensi – i media hanno messo in apprensione gli italiani con interminabili discussioni su probabili contraccolpi su di noi della questionaccia greca. Chissà quanti italiani avranno pensato al gruzzoletto in banca.
- Poveri noi, Sebastiano, i nostri risparmi che fine faranno? – dice la moglie al marito – Che dici, Rosina, ce li prendiamo e li mettiamo nel materasso? Troviamo un buco qualsiasi per nasconderli per eventuali ladri? Li spendiamo subito in qualcosa, ci compriamo la casa al mare, una bella campagna con un trullo in mezzo, almeno se tutto dovesse andar male abbiamo un bene che non può essere svalutato?
Domande che si saranno reciprocati mariti e mogli, afflitti dalle discussioni di politici ed economisti. La verità è che non si capisce più niente. Lo stesso prestito-salvataggio alla Grecia era inizialmente di ottanta miliardi, poi di ottantasei, poi di novanta, infine di oltre cento. Ma, insomma! Diteci una fregnaccia e basta; una sola, almeno possiamo dubitare in una sola direzione, invece di perderci in un groviglio di situazioni.
Certo, ormai i paesi dell’Unione Europea, come del resto del mondo, sono talmente collegati che il fallimento di uno trascina gli altri, tanto più se è importante. Fin qui ci arriviamo senza il supporto di tanti sapientoni, che tra di loro non vanno d’accordo neppure sotto tortura.
Altro aspetto della realtà odierna è che la ricchezza di un paese si fonda sul suo debito. L’Italia, per esempio, è la settima potenza mondiale, ma ha un debito di duemiladuecento miliardi di Euro; la sua ricchezza è talmente precaria che potrebbe bastare pure la crisi della Grecia a metterci nei guai.

P.S. Mentre in Grecia Tsipras ha rimpastato il governo buttando fuori tutti i comunisti, in Italia Renzi  fa il gradasso e promette mirabilia: abbattimento delle tasse, cancellazione dell’Imu, una rivoluzione incredibile. Ecco, cacciato il venditore di trovate geniali Berlusconi dalla porta, rientra dalla finestra sotto spoglie renziane. Ma sa o non sa Renzi del debito italiano che cresce senza interruzione? Sa o non sa che le bugie hanno le gambe corte? Una volta lo si imparava nella scuola elementare, oggi, nella “buona scuola” renziana i ragazzi sanno fare quello che fa Renzi, comunicare a cazzo, ma non sanno le cose più semplici, che le minchiate fanno fare una brutta fine a tutti.

domenica 12 luglio 2015

Sperando che la Grecia...


Pare che la Grecia stia riuscendo a non farsi espellere dall’Europa, sia pure da quella dell’Euro. Il Parlamento ellenico ha approvato un piano di 12 miliardi, elaborato con la malleveria morale francese,  per poter avere il denaro in prestito dalla Bce e poter riprendere un minimo di normalità economico-finanziaria. Provvedimenti di normalissima amministrazione, come il far pagare di più le tasse agli armatori e agli operatori economici delle isole (prima esenti), il taglio delle pensioni baby, la riduzione delle spese militari ed altri ancora. Non si capisce perché il governo di Atene non abbia provveduto prima ed ha atteso l’acqua alla gola, il fritto misto con Alba Dorata, l’arroganza del referendum e un popolo che ha esibito al mondo il suo stato pietoso.
La situazione greca, comunque, è molto delicata; fa pensare a quel contadino che per sfamarsi mangia  le poche  sementi che dovrebbe riservare per la semina e la riproduzione. Ecco perché i Tedeschi sono scettici e vorrebbero la Grecia fuori dall’Euro per almeno cinque anni (proposta Schäuble). Come può riprendersi un paese che deve lavorare solo per pagare i debiti e magari neppure ci riesce? Obiettivamente la situazione sembra senza via d’uscita.       
La cosa tuttavia – l’accordo intendiamo – ci fa piacere per due motivi: primo, perché l’Europa senza la Grecia è un’assurdità culturale e politica; secondo, perché noi salentini siamo messapi e magnogreci. Ciò non ci impedisce – anzi ci favorisce – di criticarci e di criticare i nostri più antichi padri, anche ferocemente. Che volete? Ci conosciamo!
Certo, emerge ancora una volta l’ambiguità tutta greca di un governo che rifiuta la proposta dei creditori di una manovra di 8 miliardi e mezzo, come condizione di altri prestiti di denaro, chiama a referendum il popolo greco, lo invita a votare a quella proposta e poi lo stesso governo risponde con una disponibilità ancora più dura. Ma non spacchiamo il capello. I greci sono fatti così, sempre tra Menippo e Caronte.
Comprendiamo, fra l’altro, una cosa molto importante, che ci fa enormemente piacere: l’incompatibilità provata di un programma di sinistra radicale, come è Syriza, il partito di Tsipras, e l’Europa. Non si capisce come possa essere venuto in mente agli amici greci di questo partito – ricordiamo che Syriza è l’acronimo di “Coalizione della Sinistra Radicale” – di irrompere in Europa e di imporre la sua legge comunista. Bene, se quel programma fosse stato pensato come cavallo di battaglia interno per sconfiggere i governi socialisti e di centrodestra degli anni passati; ma male, se pensato per averla vinta con l’Europa dei banchieri, del capitalismo finanziario, dell’ordine nei conti di ciascun paese membro, del pensiero unico dominante, che è ormai conditio sine qua non per stare in Europa. E non mi riferisco solo agli aspetti economici e finanziari, ma anche a quelli culturali, etici e religiosi.
Tsipras – ha commentato Danilo Taino sul “Corriere della Sera” di sabato, 11 luglio (La lezione che non va sprecata) è stato costretto a fare una kolotoumba, che in greco significa capriola, come ben sappiamo noi salentini che in dialetto diciamo ancora “culittrùmmula” o qualcosa di simile a seconda dei paesi. Normale che venisse lasciato da qualche suo fedele compagno, tipo l’ex ministro delle finanze Varoufakis, e tacciato di tradimento. Nella Grecia antica avrebbe rischiato l’ostracismo se non proprio la condanna a morte.
In buona sostanza Tsipras ha fatto una cosa intelligente, avendo capito finalmente che contro un potere come quello europeo non c’è nulla da fare. L’ha capito tardi, ma l’ha capito. Noi italiani lo abbiamo capito da anni, a tappe – se vogliamo – ma l’abbiamo capito.
Non ci fa piacere saperci un paese a sovranità limitata, mentre ci sono altri in sempre crescente egemonia come Germania e Francia. Ogni tanto strepitiamo, non tanto noi di destra, che avremmo più ragione di farlo, quanto quelli di sinistra, che qui in Italia alcuni stanno con Sel e il Pd ed altri in giro per trovare fortuna.
Mettiamo pure che la situazione greca trovi uno sbocco nell’immediato. Ancora è presto per dirlo; si vocifera appena. Ma dopo, che accadrà? E non solo per la Grecia.
Ci rendiamo sempre più conto che l’entrata nell’Europa dell’Euro non è stata una scelta felicissima, per una serie di importanti dettagli monetari che hanno penalizzato alcuni paesi come l’Italia, per un cedimento al pensiero unico dominante che mortifica quei paesi di assai più antica e illustre provenienza, primo fra tutti l’Italia. Insomma, ci lanciammo da un’altezza considerevole senza paracadute. Oggi – ma non da oggi – subiamo autentici diktat, specialmente nel campo economico-commerciale, l’ultima l’autorizzazione a produrre formaggio col latte in polvere, che danneggerà la nostra produzione.
Ma pensare di uscire dall’Europa è sbagliatissimo, sarebbe come precipitare dalla padella nella brace, la terra incognita di cui parlava Mario Draghi nell’ipotesi dell’uscita della Grecia. Viviamo perciò di speranza e di buoni auguri. La sovranità? E’ un lusso che non ci possiamo più permettere. Dobbiamo abituarci a dei Quisling, a dei proconsoli di Bruxelles, i quali se proprio non riescono a vincere le elezioni, vengono nominati. Ne abbiamo già conosciuti: Monti, Letta, Renzi; e il Quisling dei Quisling: Napolitano. E forse li dobbiamo pure ringraziare!

martedì 7 luglio 2015

La Grecia cambi mentalità


La sera di domenica 5 luglio, assistendo al tripudio per la vittoria del no al referendum greco, non riuscivo a capirne il senso. E siccome anche i nostri commentatori sprizzavano gioia ed enfatizzavano l’evento, io mi sentii un alieno. Quel referendum per me era un controsenso. Quando mai si è visto un governo chiedere al suo popolo se rispondere sì o no alla richiesta da parte di un organismo internazionale al pagamento dei debiti? Davvero i Greci non cambiano mai! L’ennesima furbata, che questa volta, però, mette allo scoperto quanto distante sia la loro mentalità levantina da quella luterana europea.
Assalito in un primo momento dal dubbio di essere in qualche modo prevenuto nei loro confronti per il mio vissuto svizzero in anni particolarmente formativi, mi ricordai che no, non poteva essere, perché già prima, quando frequentavo la scuola media in Italia, tenevo per i troiani, i turchi di oggi, e mi stavano antipatici i greci. Volete mettere il greco Achille, invulnerabile per interesse della madre che era una dea – altro che santi in paradiso – e mentre gli altri si dannavano in combattimento lui se la spassava nelle mollezze dell’amico Patroclo, con il troiano Ettore che invitava i suoi a non tener conto degli auspici divini per combattere dato che era più che sufficiente la difesa della patria? Via, siamo seri! Abbasso Achille e viva Ettore!
Mi tornarono alla mente le parole del troiano Laocoonte, che davanti al dono greco del cavallo, disse con forza: non accettiamolo, temo i greci anche quando portano doni! Così dice il mantovano Virgilio nell’Eneide: “timeo Danaos et dona ferentes!
E i tanti paradossi dei sofisti? Celebre quello di Protagora, che avendo insegnato ad un giovane avvocato col patto che quest’ultimo lo avrebbe pagato alla prima causa vinta si sentì dire che non gli doveva nulla perché se i giudici gli avessero dato torto non avrebbe vinto la causa e dunque nulla gli doveva, se gli avessero dato ragione non doveva pagare lo stesso. E Protagora di rimando: se i giudici ti daranno torto tu mi dovrai pagare e se ti daranno ragione avrai vinto la causa e mi dovrai pagare lo stesso per l’impegno assunto.
Ma l’episodio più calzante è quello narrato da Luciano di Samosata (filosofo del II sec.) nei suoi Dialoghi, relativo a quello tra Caronte e Menippo. Questi, quando morì, si presentò a Caronte per essere trasportato nel regno dei morti ma poi non volle pagare perché sprovvisto dell’obolo obbligatorio; e quando Caronte gli disse che senza l’obolo non sarebbe passato, quello senza fare una piega disse: e va bene, vuol dire che da morto resto nel regno dei vivi. Il povero Caronte non sapeva che decidere proprio come la Merkel oggi; e quando si rivolse a Ermes, il dio che l’aveva accompagnato fin lì, questi gli gridò: “Tu non sai, Caronte, che specie d’uomo hai traghettato? Un uomo libero, per l’esattezza: non gl’importa niente di nulla. Costui è Menippo!”.
Insomma, si potrebbe passare una vita a raccontare quanto la letteratura ci ha tramandato dei Greci. Il guaio è che oggi tante cose sono cambiate. Dove si ragiona e si decide è un po’ più sopra del Mediterraneo e della zona influenzata dai Greci. Ma la situazione che li vede protagonisti purtroppo non è molto differente dalle imprese dei loro sofisti. Così calcolano: noi abbiamo dei debiti e non abbiamo i soldi per pagarli, ci buttano fuori dall’Europa; ma l’Europa senza di noi subisce un danno assai più grave del mancato pagamento; dunque, se l’Europa non vuole trovarsi a mal partito ci deve abbonare i debiti, esattamente come finisce Caronte per abbonare a Menippo il pagamento dell’obolo.

Fuori da tanti ragionamenti anche gustosi c’è che l’Europa così com’è non funziona. Deve necessariamente avere dei meccanismi di difesa per impedire che a tanto si arrivi, o impedendo per tempo un simile debito o trovando sempre il modo per andare incontro alle parti più deboli della sua complessa formazione. Se l’Europa non vuole o non trova il modo di rivedersi, non ha che una strada da percorrere con la Grecia: metterla fuori dall’Unione, puntando sul fatto che la furbizia non può averla vinta sulla correttezza. Se non lo fa, aspettiamoci che altri paesi si comportino come la Grecia, la quale può avere la primazia della furbizia, non l’esclusiva. Resta, comunque che essa deve cambiare mentalità, perché, come dicono a Napoli, “accà nisciunu è fesso”.

domenica 5 luglio 2015

L'Europa e la Grecia; qualcuno finge di non capire


La crisi greca ha sbattuto in faccia a tutti, italiani compresi, una verità tanto concreta quanto difficile da riconoscere e da accettare: in Europa – nella tanto decantata Unione Europea dei popoli liberi e sovrani – i Paesi membri hanno perso progressivamente la loro sovranità nazionale. Beninteso, essi sono liberi di darsi il governo che vogliono, ma questo o si riconosce nel supergoverno europeo o deve mettersi da parte pena la cacciata del suo Paese dall’Unione attraverso la porta economico-finanziaria. Non è imperialismo nella forma, lo è nella sostanza. Come ogni impero che si rispetti l’Europa non può tollerare che nessuna sua “provincia” abbia politiche contrarie agli interessi generali o, per essere più realistici, agli interessi del paese egemone, nel nostro caso la Germania. Il IV Reich non è solo la battuta di un giornalista brillante (Vittorio Feltri, 2014); è qualcosa di più.
Nell’autunno del 2011 toccò a Berlusconi mettersi da parte perché il suo Paese era travolto da una strana crisi finanziaria, per il tramite di uno spread  artatamente provocato dai mercati, come ormai è stato ben dimostrato (Alan Friedman, 2014). Perché Berlusconi fu preso di mira? Per le sue mattane, che avevano irritato perfino la regina Elisabetta,  e per le sue puttane che avevano irritato i vertici della chiesa cattolica? Diciamo che questo bastava e avanzava per dirgli: amico, così non ci si comporta quando si è a capo del governo di un paese importante come l’Italia. Ma la verità politica è un’altra. La verità è che l’Europa, l’America, la Nato non potevano tollerare un capo di governo occidentale così stretto amico del dittatore libico Gheddafi, con cui faceva buoni affari per il proprio paese, e del quasi dittatore russo Putin, con cui addirittura c’era affinità elettive nel pubblico e nel privato. “Berlusconi deve essere distrutto”, dissero i nuovi Catone europei, ripetendo il mantra anticartaginese “Carthago delenda est” del senatore romano Marco Porcio Catone. E così fu. Vi provvide Napolitano, il saggio comunista convertito alla liberaldemocrazia, che incominciò a manovrare fin dall’estate del 2011 con quel grande commis europeo che è Mario Monti e con altri dello Stato sgheo. Ed è una.
Ci siamo mai data una risposta all’ignobile figuraccia che facemmo nei confronti di Romano Prodi, quando, candidato alla presidenza della repubblica nell’entusiasmo generale di una consistente maggioranza, fu poi dalla stessa miseramente impallinato nella votazione? E quando si fermano a raccontarcelo i grandi pensatori politici italiani, i politologi, gli scienziati della politica, che sull’argomento scivolano come abili pattinatori sul ghiaccio?
Prodi non era accetto all’Europa né all’America né alla Nato dopo le continue e serrate e brillantemente spiegate critiche fatte alla guerra in Libia e alla cacciata di Gheddafi; e non solo a questo. Prodi presidente della repubblica italiana era un rischio che l’Europa non poteva correre. Era necessario che Napolitano, l’abile manovratore pro domo europea, rimanesse al suo posto per garantire la continuità europeistica. E così fece il “grande vecchio”. Rieletto – caso unico nella storia repubblicana del nostro paese – chiamò al governo prima Enrico Letta e poi Matteo Renzi, entrambi graditi a Bruxelles. Matteo Renzi soprattutto faceva al caso: giovane, chiacchierino, senza un trascorso politico, né democristiano né comunista né partitocratico in senso lato, inefficacemente critico a parole, obbediente nei fatti.   
Il Movimento 5 Stelle non è nel torto quando rivendica, dopo le elezioni politiche del 2013, quel ruolo che Napolitano gli negò, preferendogli il Pd, che vincente con la lista era perdente come partito; per non dire della legge elettorale, il Porcellum, dichiarata incostituzionale dalla Consulta. Il povero Letta, che tanto ce l’ha con Renzi, dovrebbe prendersela con Napolitano e coi suoi referenti europei. Il suo governo in verità non ebbe né meriti né demeriti, era un espediente e serviva a rendere meno traumatico l’incarico a Matteo Renzi, uno che non era stato neppure eletto parlamentare della repubblica; uno che non aveva neppure un numero di matricola politico pur che fosse. Grillo al governo avrebbe riproposto in Europa lo stesso problema di Berlusconi, un governo cioè disorganico agli interessi europei. Il Movimento 5 Stelle non aveva nascosto i suoi propositi antieuropeistici, gridati tra vaffanculo e minacce di processi sommari in piazza.
Dati questi precedenti, il caso greco del governo Tsipras conferma la politica europea di intolleranza nei confronti di chi non si riconosce negli interessi superiori dell’Unione, ovverossia del paese egemone. Non è un caso che l’anti Grecia non è l’Europa, è la Germania. E ciò indipendentemente dal merito della questione.
Va da sé che la Grecia ha delle responsabilità sue proprie per la crisi che sta vivendo. Egemonia germanica o imperialismo europeo a parte – non che non contino, come si è detto – si capisce che in una qualsiasi società non si può tollerare che un suo associato pretenda di vivere al di sopra delle sue possibilità puntando sul lavoro e il sacrificio degli altri associati. I governi precedenti a Tsipras questo lo avevano capito e avevano iniziato un percorso di riabilitazione delle finanze adottando misure tali da garantire nel volgere di alcuni anni di sacrifici la ripresa e nello stesso tempo onorando i debiti che la Grecia aveva contratto con gli altri membri europei. Le misure di rigore adottate, per certi aspetti proibitive per il popolo greco – questo va riconosciuto! – hanno fatto perdere le elezioni ai governi di centrodestra a vantaggio del partito neocomunista di Tsipras, che ha promesso orgoglio nazionale e allegria sociale. Pensava evidentemente, Tsipras, di avere a che fare con fessi; non avendo capito quello che ormai tutti sanno in Europa, e cioè che la sovranità di ogni paese membro è limitata e condizionata.