La sera di domenica 5 luglio,
assistendo al tripudio per la vittoria del no al referendum greco, non riuscivo
a capirne il senso. E siccome anche i nostri commentatori sprizzavano gioia ed
enfatizzavano l’evento, io mi sentii un alieno. Quel referendum per me era un
controsenso. Quando mai si è visto un governo chiedere al suo popolo se
rispondere sì o no alla richiesta da parte di un organismo internazionale al
pagamento dei debiti? Davvero i Greci non cambiano mai! L’ennesima furbata, che
questa volta, però, mette allo scoperto quanto distante sia la loro mentalità
levantina da quella luterana europea.
Assalito in un primo momento dal
dubbio di essere in qualche modo prevenuto nei loro confronti per il mio
vissuto svizzero in anni particolarmente formativi, mi ricordai che no, non
poteva essere, perché già prima, quando frequentavo la scuola media in Italia,
tenevo per i troiani, i turchi di oggi, e mi stavano antipatici i greci. Volete
mettere il greco Achille, invulnerabile per interesse della madre che era una
dea – altro che santi in paradiso – e mentre gli altri si dannavano in
combattimento lui se la spassava nelle mollezze dell’amico Patroclo, con il
troiano Ettore che invitava i suoi a non tener conto degli auspici divini per
combattere dato che era più che sufficiente la difesa della patria? Via, siamo
seri! Abbasso Achille e viva Ettore!
Mi tornarono alla mente le parole
del troiano Laocoonte, che davanti al dono greco del cavallo, disse con forza:
non accettiamolo, temo i greci anche quando portano doni! Così dice il
mantovano Virgilio nell’Eneide: “timeo
Danaos et dona ferentes!”
E i tanti paradossi dei sofisti?
Celebre quello di Protagora, che avendo insegnato ad un giovane avvocato col
patto che quest’ultimo lo avrebbe pagato alla prima causa vinta si sentì dire
che non gli doveva nulla perché se i giudici gli avessero dato torto non
avrebbe vinto la causa e dunque nulla gli doveva, se gli avessero dato ragione
non doveva pagare lo stesso. E Protagora di rimando: se i giudici ti daranno
torto tu mi dovrai pagare e se ti daranno ragione avrai vinto la causa e mi dovrai
pagare lo stesso per l’impegno assunto.
Ma l’episodio più calzante è
quello narrato da Luciano di Samosata (filosofo del II sec.) nei suoi Dialoghi, relativo a quello tra Caronte
e Menippo. Questi, quando morì, si presentò a Caronte per essere trasportato
nel regno dei morti ma poi non volle pagare perché sprovvisto dell’obolo
obbligatorio; e quando Caronte gli disse che senza l’obolo non sarebbe passato,
quello senza fare una piega disse: e va bene, vuol dire che da morto resto nel
regno dei vivi. Il povero Caronte non sapeva che decidere proprio come la
Merkel oggi; e quando si rivolse a Ermes, il dio che l’aveva accompagnato fin
lì, questi gli gridò: “Tu non sai, Caronte, che specie d’uomo hai traghettato? Un
uomo libero, per l’esattezza: non gl’importa niente di nulla. Costui è
Menippo!”.
Insomma, si potrebbe passare una
vita a raccontare quanto la letteratura ci ha tramandato dei Greci. Il guaio è
che oggi tante cose sono cambiate. Dove si ragiona e si decide è un po’ più
sopra del Mediterraneo e della zona influenzata dai Greci. Ma la situazione che
li vede protagonisti purtroppo non è molto differente dalle imprese dei loro
sofisti. Così calcolano: noi abbiamo dei debiti e non abbiamo i soldi per
pagarli, ci buttano fuori dall’Europa; ma l’Europa senza di noi subisce un
danno assai più grave del mancato pagamento; dunque, se l’Europa non vuole
trovarsi a mal partito ci deve abbonare i debiti, esattamente come finisce
Caronte per abbonare a Menippo il pagamento dell’obolo.
Fuori da tanti ragionamenti anche
gustosi c’è che l’Europa così com’è non funziona. Deve necessariamente avere
dei meccanismi di difesa per impedire che a tanto si arrivi, o impedendo per
tempo un simile debito o trovando sempre il modo per andare incontro alle parti
più deboli della sua complessa formazione. Se l’Europa non vuole o non trova il
modo di rivedersi, non ha che una strada da percorrere con la Grecia: metterla
fuori dall’Unione, puntando sul fatto che la furbizia non può averla vinta sulla
correttezza. Se non lo fa, aspettiamoci che altri paesi si comportino come la
Grecia, la quale può avere la primazia della furbizia, non l’esclusiva. Resta,
comunque che essa deve cambiare mentalità, perché, come dicono a Napoli, “accà
nisciunu è fesso”.
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