Pare che la Grecia stia riuscendo
a non farsi espellere dall’Europa, sia pure da quella dell’Euro. Il Parlamento
ellenico ha approvato un piano di 12 miliardi, elaborato con la malleveria morale
francese, per poter avere il denaro in
prestito dalla Bce e poter riprendere un minimo di normalità
economico-finanziaria. Provvedimenti di normalissima amministrazione, come il
far pagare di più le tasse agli armatori e agli operatori economici delle isole
(prima esenti), il taglio delle pensioni baby, la riduzione delle spese
militari ed altri ancora. Non si capisce perché il governo di Atene non abbia
provveduto prima ed ha atteso l’acqua alla gola, il fritto misto con Alba
Dorata, l’arroganza del referendum e un popolo che ha esibito al mondo il suo
stato pietoso.
La situazione greca, comunque, è
molto delicata; fa pensare a quel contadino che per sfamarsi mangia le poche
sementi che dovrebbe riservare per la semina e la riproduzione. Ecco
perché i Tedeschi sono scettici e vorrebbero la Grecia fuori dall’Euro per
almeno cinque anni (proposta Schäuble). Come può riprendersi un paese che deve
lavorare solo per pagare i debiti e magari neppure ci riesce? Obiettivamente la
situazione sembra senza via d’uscita.
La cosa tuttavia – l’accordo
intendiamo – ci fa piacere per due motivi: primo, perché l’Europa senza la
Grecia è un’assurdità culturale e politica; secondo, perché noi salentini siamo
messapi e magnogreci. Ciò non ci impedisce – anzi ci favorisce – di criticarci
e di criticare i nostri più antichi padri, anche ferocemente. Che volete? Ci
conosciamo!
Certo, emerge ancora una volta
l’ambiguità tutta greca di un governo che rifiuta la proposta dei creditori di
una manovra di 8 miliardi e mezzo, come condizione di altri prestiti di denaro,
chiama a referendum il popolo greco, lo invita a votare a quella
proposta e poi lo stesso governo risponde con una disponibilità ancora più
dura. Ma non spacchiamo il capello. I greci sono fatti così, sempre tra Menippo
e Caronte.
Comprendiamo, fra l’altro, una
cosa molto importante, che ci fa enormemente piacere: l’incompatibilità provata
di un programma di sinistra radicale, come è Syriza, il partito di Tsipras, e
l’Europa. Non si capisce come possa essere venuto in mente agli amici greci di
questo partito – ricordiamo che Syriza è l’acronimo di “Coalizione della
Sinistra Radicale” – di irrompere in Europa e di imporre la sua legge comunista.
Bene, se quel programma fosse stato pensato come cavallo di battaglia interno per
sconfiggere i governi socialisti e di centrodestra degli anni passati; ma male,
se pensato per averla vinta con l’Europa dei banchieri, del capitalismo
finanziario, dell’ordine nei conti di ciascun paese membro, del pensiero unico
dominante, che è ormai conditio sine qua
non per stare in Europa. E non mi riferisco solo agli aspetti economici e
finanziari, ma anche a quelli culturali, etici e religiosi.
Tsipras – ha commentato Danilo
Taino sul “Corriere della Sera” di sabato, 11 luglio (La lezione che non va sprecata) è stato costretto a fare una kolotoumba, che in greco significa
capriola, come ben sappiamo noi salentini che in dialetto diciamo ancora
“culittrùmmula” o qualcosa di simile a seconda dei paesi. Normale che venisse
lasciato da qualche suo fedele compagno, tipo l’ex ministro delle finanze
Varoufakis, e tacciato di tradimento. Nella Grecia antica avrebbe rischiato
l’ostracismo se non proprio la condanna a morte.
In buona sostanza Tsipras ha
fatto una cosa intelligente, avendo capito finalmente che contro un potere come
quello europeo non c’è nulla da fare. L’ha capito tardi, ma l’ha capito. Noi
italiani lo abbiamo capito da anni, a tappe – se vogliamo – ma l’abbiamo
capito.
Non ci fa piacere saperci un
paese a sovranità limitata, mentre ci sono altri in sempre crescente egemonia
come Germania e Francia. Ogni tanto strepitiamo, non tanto noi di destra, che
avremmo più ragione di farlo, quanto quelli di sinistra, che qui in Italia
alcuni stanno con Sel e il Pd ed altri in giro per trovare fortuna.
Mettiamo pure che la situazione
greca trovi uno sbocco nell’immediato. Ancora è presto per dirlo; si vocifera
appena. Ma dopo, che accadrà? E non solo per la Grecia.
Ci rendiamo sempre più conto che
l’entrata nell’Europa dell’Euro non è stata una scelta felicissima, per una
serie di importanti dettagli monetari che hanno penalizzato alcuni paesi come
l’Italia, per un cedimento al pensiero unico dominante che mortifica quei paesi
di assai più antica e illustre provenienza, primo fra tutti l’Italia. Insomma,
ci lanciammo da un’altezza considerevole senza paracadute. Oggi – ma non da
oggi – subiamo autentici diktat, specialmente nel campo economico-commerciale,
l’ultima l’autorizzazione a produrre formaggio col latte in polvere, che
danneggerà la nostra produzione.
Ma pensare di uscire dall’Europa è sbagliatissimo, sarebbe come
precipitare dalla padella nella brace, la terra incognita di cui parlava Mario
Draghi nell’ipotesi dell’uscita della Grecia. Viviamo perciò di speranza e di
buoni auguri. La sovranità? E’ un lusso che non ci possiamo più permettere.
Dobbiamo abituarci a dei Quisling, a dei proconsoli di Bruxelles, i quali se
proprio non riescono a vincere le elezioni, vengono nominati. Ne abbiamo già
conosciuti: Monti, Letta, Renzi; e il Quisling dei Quisling: Napolitano. E forse li dobbiamo pure ringraziare!
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