sabato 28 maggio 2022

Salvini a Mosca? Fermatelo!

A voler essere proprio buoni si può interpretare l’annunciato viaggio a Mosca di Matteo Salvini come l’estremo tentativo del leader della Lega di invertire la tendenza dei sondaggi che lo vedono soccombere nei confronti di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia. Come è noto nel centrodestra, diviso su tutto tranne che lo stare insieme alle prossime elezioni politiche del 2023, vige il criterio di far guidare il governo in un eventuale successo dell’alleanza a chi prende un voto di più rispetto agli altri dello schieramento, in particolare di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, essendo gli altri molto lontani. Gli ultimi sondaggi danno il partito della Meloni al primo posto assoluto con più del 22%, mentre la Lega è ferma al 15% e Forza Italia all’8%. Dunque, stando ai sondaggi, se il centrodestra dovesse vincere le elezioni a Matteo Salvini spetterebbe niente di più che una poltrona ministeriale; cosa che al leader della Lega non va proprio giù. Di qui ogni tentativo per cambiare l’andamento delle cose. Salvini pensa perciò ad una clamorosa virata per invertire in suo favore la tendenza dei cittadini elettori, uno scoop politico senza precedenti. La sua diretta rivale interna, la Meloni, ha operato la scelta atlantica e benché all’opposizione sostiene il governo negli aiuti all’Ucraina, allora lui, al contrario, benché nella maggioranza di governo, va in direzione opposta, corteggiando Putin e la Russia. Ma, a parte una simile interpretazione, non peregrina, ci chiediamo che ci va a fare Salvini a Mosca? Veramente pensa di convincere Putin ad aprire uno spiraglio del cessate il fuoco e avviare trattative di pace? Davvero Salvini pensa di riuscire dove neppure papa Francesco è riuscito? Quel papa Francesco che lui ha a preso a punto di riferimento da qualche tempo a questa parte? Verrebbe di pensare ad un mitomane, uno cioè che confonde il desiderio con la realtà delle cose, un “padreterno”. Ed è così convinto della bontà dell’iniziativa che non prende neppure in considerazione un insuccesso. Questo suo viaggio, infatti, potrebbe ritorcersi contro se dovesse risolversi per una umiliazione, come fu quella che ricevette in Polonia, dove il sindaco della città visitata lo accolse donandogli una maglietta con su l’effigie di Putin e il rimprovero di averla indossata. Calcolo o straripante considerazione di se stesso, questo viaggio, se si farà, rischia di far fare una brutta figura al governo italiano e all’Italia nel suo insieme. Chi è Salvini a proporsi come negoziatore di pace? Non ha l’Italia un governo, già impegnato nella vicenda ucraina ai massimi livelli e ai massimi sforzi? Che si tratti, dunque, di una mancanza di rispetto a Draghi e all’Italia non c’è il minimo dubbio. Che potrebbe garantire Salvini a Putin se non la sua personale ammirazione, peraltro già nota perché espressa negli anni passati? Resta tuttavia che per il solo fatto di proporsi, indipendentemente da ogni altra considerazione, causa un danno d’immagine al Paese, una barzelletta. L’Italia apparirebbe come uno Stato dove un leader di partito, neppure dei più grandi, si autoinveste di autorevolezza e prestigio, senza nessun mandato, solo per dimostrare di contare più lui che il Presidente del Consiglio. Ora vi mostro io di che cosa son capace, buoni a nulla! Questa sarebbe l’Italia negli esiti della stravagante donchisciottesca iniziativa di Salvini: un paese debole nelle istituzioni e diviso politicamente. Se di tanto non si rendono conto nel suo partito e non fanno nulla per fermarlo dovrebbero intervenire le istituzioni ai loro massimi livelli. Perché qui non è in gioco solo la reputazione di Salvini e della Lega, ma dell’Italia intera, delle sue istituzioni, che risulterebbero svilite e compromesse. L’Italia, da quando è scoppiata la crisi ucraina, si è data molto da fare con provvedimenti che hanno avuto il plauso degli alleati, così forti e decisi da “meritarsi” le attenzioni dello stesso Putin, il quale non ha mancato di sottolinearlo quando si è trattato di individuare i paesi a suo dire più ostili. L’Italia per Putin, per il fatto che sostiene l’Ucraina, inviando armi, è in uno stato di guerra. Qui c’è poco da scherzare. C’è una guerra in corso, dagli esiti incerti, con possibili coinvolgimenti diretti; e l’Italia, in quanto membro della Nato e dell’Unione Europea, è fra i paesi più indiziati. Non si dovrebbe permettere a nessuno di compromettere la situazione in nessun senso più di quanto non sia già compromessa. Salvini perciò andrebbe fermato.

sabato 21 maggio 2022

Ucraina. Pace o giustizia? Questo è il dilemma

Dopo tre mesi di combattimenti in Ucraina e di discussioni sulle cause e sulle responsabilità della guerra si è ben lontani da una soluzione, che non può che essere o di pace o di giustizia, l’una escludente l’altra. La pace invocata da tutti e in primis dai pacifisti fondamentalisti, sempre e dovunque, non può che passare dalla cessione dell’Ucraina di alcuni suoi territori alla Russia, almeno Donbass e Crimea. Ma, posto che tanto bastasse – e non si è certi che lo sia – la conclusione sarebbe questa. Che uno stato di punto in bianco ne aggredisce un altro, lo invade e lo riduce in macerie, e in cambio della pace riceve i territori ambiti per i quali l’aveva aggredito. Sarebbe che ciascuno, sentendosi più forte, può modificare i confini a danno del suo vicino aggredendolo e ricattando tutti gli altri con la formula biblica del muore Sansone con tutti i filistei. Se ci fosse un tribunale internazionale riconosciuto processerebbe subito la Russia e la costringerebbe, anche con la forza, a lasciare il territorio ucraino e a pagare i danni. Ma questo tribunale non esiste. C’è l’Onu, ma ha le mani legate dal veto che può mettere la Russia, in quanto membro permanente, verso qualsiasi deliberazione. I paesi della Nato, che da subito hanno preso le difese dell’Ucraina, hanno dovuto limitarsi a inviare armi sempre più pesanti e a colpire la Russia con le sanzioni economiche, ben attenti ad evitare coinvolgimenti diretti ed escalation militari. La Nato – e per essa il suo stato leader, gli Usa – che pur si riconosce un qualche ruolo di garanzia del rispetto del diritto internazionale, non può fare altro per il ricatto nucleare. Le sanzioni economiche alla Russia, sempre più estese e più dure, per certi aspetti si ritorcono contro gli stessi paesi che le impongono, poiché alcuni di essi, come la Germania e l’Italia, dipendono dalle risorse energetiche russe. Se la Russia decidesse di chiudere i rubinetti, per questi paesi dipendenti sarebbe la rovina della loro produzione e il disagio diffuso per le popolazioni. Quando Putin parla di “suicidio dell’Occidente” si riferisce proprio alla crisi energetica che potrebbe colpire i paesi più esposti. Questa condizione e la paura di una guerra nucleare hanno creato nei paesi della Nato una situazione tale che più che la giustizia essi cerchino la pace quale che fosse, fosse pure la resa incondizionata dell’Ucraina. Che sarebbe il massimo dell’ingiustizia e il trionfo di un principio insostenibile per la democrazia: la legge del più forte. Si aggiunga che il grano ucraino fermo nei porti del Mar Nero e dunque sottratto alle popolazioni africane rischia di provocare un disastro umanitario dai risvolti inimmaginabili. Alla luce di queste considerazioni non si può non essere pessimisti sull’esito della guerra. Finora il male prodotto dall’invasione dell’Ucraina con la morte di migliaia di civili, la distruzione di intere città e villaggi, la spesa degli armamenti dei paesi Nato per aiutare l’Ucraina a difendersi, i risvolti economici delle sanzioni per i paesi sanzionatori, penalizza il fronte delle democrazie quanto quello russo. La crescente pressione dell’opinione pubblica dei paesi democratici di mettere fine alla guerra poco curandosi di ogni altro aspetto, rende la pace sempre meno compatibile con la giustizia. In Italia i contrari ad inviare armi all’Ucraina sono arrivati al 45%, molti di più dei favorevoli. Appare chiaro che l’opinione pubblica è spaventata da quanto è già accaduto e da quanto potrebbe accadere. Due forze di governo, M5S e Lega, sono contrarie all’invio di armi in Ucraina e sono motivo costante di frizioni politiche all’interno della maggioranza. La situazione, intanto, si va complicando. Due paesi, la Finlandia e la Svezia, tradizionalmente neutrali, hanno chiesto di aderire alla Nato, provocando le ire di Putin, che ha minacciato ritorsioni, per ora generiche. Se già Putin si sentiva assediato prima, ora che altri due paesi si sono aggiunti allo schieramento “nemico”, uno dei quali confinante, la Finlandia, per più di mille chilometri di confine, ha motivi in più per ostinarsi nella sua convinzione che la Nato e gli Usa mirano ad annientare la Russia. Ci troviamo davvero in una situazione difficilissima, dalla quale al momento è impossibile prevedere come se ne può uscire. Una cosa è certa: se pure si dovesse giungere alla pace, questa non può realizzarsi che tenendo “contento” in qualche modo e misura Putin, come in buona sostanza suggerisce il Presidente francese Macron; e dunque sacrificando la giustizia.

sabato 14 maggio 2022

Francesco, il papa che soffre per non poter fare di più

Quando la sera del 13 marzo 2013 fu eletto, papa Francesco dalla loggia centrale di San Pietro si presentò con un semplice “buonasera” preceduto da una pausa, che diede l’impressione di un non saper che dire altro. Un’impressione sbagliata perché di lì a poco egli avrebbe convinto che quello era il suo approccio comunicativo, pur banale, ma immediato e spontaneo, per così dire “alla buona” ma efficace. Eravamo abituati al liturgico “Cari fratelli e sorelle…”. Non un papa serioso e ieratico come Pio XII o Paolo VI, carismatico e sanguigno come Giovanni Paolo II, ma bonario e accattivante, come Giovanni XXIII, il papa del discorso della luna, e Giovanni Paolo I, una meteora di dolcezza e bontà durata appena un mese. Nel corso degli anni papa Francesco ha avuto modo di dimostrare la sua personalità apparentemente terra-terra con tutta una serie di affermazioni. Ne ricordiamo alcune, che a volte hanno fatto discutere. “Chi sono io per giudicare” a proposito dei gay. La sua condanna della terza guerra mondiale “a pezzi”. Se qualcuno ti offende la mamma è lecito rispondere colpendolo. Il continuo rivolgersi ai fedeli e ai grandi della Terra con reiterati “per favore” invece del canonico in nome di Dio. Fino a dare del “chierichetto di Stato” al patriarca di tutte le Russie Kirill I per essersi allineato alle posizioni di Putin sull’invasione russa dell’Ucraina. E il rimprovero ai paesi della Nato per aver “abbaiato alle porte della Russia” e scatenato la reazione di Putin. Perfino coi gesti ha dimostrato di essere un papa poco formale, ricordiamo quello di stizza e il colpo che diede ad una signora anziana che non gli lasciava la mano. Egli parla e agisce per come vede le cose, in maniera diretta e spontanea, quasi infantile, con figure e metafore visive, fisiche. La guerra a pezzi, appunto, l’abbaiare. Per altri aspetti Francesco si è dimostrato di grande fermezza, privilegiando i grandi temi politici e sociali. Lo dicono le sue battaglie per la difesa della natura e dell’ambiente, significativa la sua enciclica “Laudato si’”. Lo dicono le sue iniziative in favore dei poveri e le continue condanne della corruzione e delle guerre, i suoi appelli alla pace. Fu proprio un suo appello a fermare Obama dal portare la guerra in Siria quando già tutto era pronto per l’attacco. Il suo primo viaggio da papa fu a Lampedusa per gettare in mare una corona di fiori e ricordare il dramma degli immigrati morti nel tentativo di raggiungere l’Italia. Non meno determinata la sua opera di pulizia della chiesa, della sua corruzione, dei suoi problemi, primo fra tutti quello della pedofilia, secondo le indicazioni del suo predecessore Benedetto XVI, dimessosi per non sentirsi adeguato a causa della sua età e delle sue condizioni di salute ad un compito così arduo e importante. Sotto il suo pontificato sono stati messi sotto accusa e processati cardinali autorevolissimi, come il cardinale Becciu, sono state avviate inchieste interne, fatte riforme importanti, come quella dello Ior. La scelta del nome Francesco, come il poverello d’Assisi, racchiude ragioni e prospettive della sua missione pastorale da lui stesso spiegate. Tra le sue prime affermazioni ricordiamo “vorrei una chiesa povera, per i poveri”. Una scelta di vita, che purtroppo per un papa non è possibile, per quanto egli abbia fatto e faccia di tutto per dimostrare la sua vera vocazione alla francescana povertà, preferendo stare a Santa Marta anziché nell’appartamento del papa al Palazzo Apostolico. Pur conscio che mai potrebbe esistere una chiesa povera – al giorno d’oggi sarebbe perfino inutile se esistesse –, tanto si è dato da fare per i poveri, per i senzatetto, per gli umili, per i sofferenti. L’amore con cui ogni anno lava e bacia i piedi, ora di malati di Aids, ora di carcerati, ora di altre categorie di persone afflitte, uomini e donne, va ben oltre il rito pasquale del giovedì santo. Vi è in lui una partecipazione quasi mistica, che trasuda amore, misericordia, carità. A volte in lui si legge, sul suo volto teso, il rammarico per non poter fare di più di quello che egli si sforza di fare, una sorta di sofferenza che prevale sulla consapevolezza dell’istituzione che rappresenta. La sua sortita in solitaria sotto la pioggia davanti a San Pietro durante il lockdown del 2020 per la pandemia da Covid ha reso visibile l’immagine stessa del dramma e offerto di sé un’icona di angoscia umana per i mali del mondo. Oggi papa Francesco si è detto disposto ad andare a Mosca per incontrare Putin e cercare insieme un percorso di pace, prima che la guerra in Ucraina vada oltre e metta in pericolo l’intera umanità. “Ancora non è tempo” gli è stato risposto. Il Papa forse ha capito. Francesco sicuramente è rimasto male.

domenica 8 maggio 2022

Ucraina. che italiani saremmo se non ci sfilassimo

Sempre più insistentemente una parte del M5S e della Lega coi loro leader in testa, Conte e Salvini, premono perché l’Italia non invii più armi all’Ucraina, nonostante il decreto che autorizza il governo a farlo. La distinzione tra armi difensive e offensive è solo un distinguo pretestuoso che vuole nascondere la verità, che è il cambio di approccio alla crisi ucraina. Le loro argomentazioni si fondano sul fatto che fornire di armi un paese belligerante equivale a far durare la guerra, con tutti i disastri che ne conseguono. Inoltre, fornendo l’Italia armi all’Ucraina, di fatto è in guerra. E se è in guerra lo scenario cambia, perché la guerra non la vuole nessuno e soprattutto non l’ha votata il Parlamento, come vuole l’art. 78 della Costituzione. Il governo a questo punto dovrebbe allora informare il Parlamento per poi sapere dove si vuole andare e per decidere sul da farsi. Di qui al disimpegno dell’Italia dalle decisioni della Nato e dell’Europa la strada potrebbe essere breve se, come Conte ripete, è condizione perché il M5S resti al governo. Si sostiene che a noi questa guerra non interessa e che anzi converrebbe di più stare dall’altra parte, se non altro per non dover pagare le conseguenze delle sanzioni, anche se questo non viene detto esplicitamente per quel tanto di pudore opportuno in talune circostanze. D’altra parte la posizione di noi europei nei confronti della guerra russo-ucraina è diversa da quella degli americani. Appare di tutta evidenza l’asimmetria che c’è nella Nato. Non tanto per una questione geopolitica, la guerra si combatte in casa nostra mentre gli Usa la guardano di lontano, quanto perché noi europei con questa guerra abbiamo solo da perdere mentre gli americani hanno da guadagnare. Diverso, inoltre, è il ruolo che hanno nel mondo Stati Uniti ed Europa. Ma c’è un’altra ragione che spiega la diversità delle due posizioni. Mentre noi europei, per la nostra cultura e per la nostra storia, cerchiamo la pace e tendiamo a ricomporre il conflitto tra le parti quel che è stato è stato, gli americani, per la loro cultura e per la loro storia, tendono a punire il colpevole, in questo caso la Russia per aver aggredito uno stato sovrano. Riemerge chiaramente negli americani lo spirito del Far West: si sceglie l’albero, si prepara il cappio e s’impicca il reo. Essi vogliono che la guerra continui fino alla vittoria, fino cioè alla punizione della Russia. Lo ripetono continuamente. Sono le imprudenze e i toni alti di Biden, che evidentemente cerca di esacerbare ancor più gli animi perché la guerra continui. Di qui le dichiarazioni della Nato, che per bocca del suo segretario generale Stoltenberg, ha escluso che la Crimea o altri territori ucraini, occupati illegalmente, possano essere annessi dalla Russia, come pure il presidente ucraino Zelensky aveva proposto pur di avviare un processo di pace. Col passare del tempo la situazione diventa sempre più difficile e pericolosa. Le accuse rivolte dal presidente del parlamento russo Vyakeslav Volodin agli americani, dopo le rivelazioni del New York Times sul ruolo avuto dall’intelligence americana nell’uccisione di dodici generali russi da parte degli ucraini, sono pesanti e volte a dimostrare che gli Usa sono di fatto in guerra con la Russia; esse segnano un punto nell’escalation della tensione. Noi italiani, per i contrari all’invio di armi all’Ucraina, rischiamo di trovarci in una posizione diversa anche all’interno dell’Europa, dove, pur con tante titubanze da parte di alcuni si è fatta una scelta di unità atlantica. Non sarebbe la prima volta nella nostra storia di iniziare una guerra con degli alleati e di finarla con altri; così nella prima e così nella seconda guerra mondiale. Questa volta, però, un nostro disimpegno dalle scelte europee equivarrebbe ad un isolamento, che sarebbe deleterio per la nostra situazione. L’Italia potrebbe perdere quel ruolo di prestigio di paese guida nell’ambito europeo così sapientemente conquistato. Non si può essere europei e atlantisti solo nella buona sorte. Ogni scelta ha le sue conseguenze, ogni vantaggio ha i suoi costi. Saranno i prossimi giorni a portare qualche elemento di chiarezza. Domani, 9 maggio, giornata di festeggiamenti in Russia per i 77 anni dalla vittoria sul nazifascismo, Putin potrebbe annunciare qualcosa di importante e di decisivo. Per quel che riguarda noi italiani aspettiamo il ritorno di Draghi dall’America per riprendere il filo del dibattito politico sulla guerra già avviato prima della sua partenza.