domenica 25 novembre 2018

La rivoluzione dei cachielli




Si può far finta di niente. Noi italiani siamo maestri del far finta di niente. Ma nel nostro Paese c’è stata, il 4 marzo scorso, un’autentica rivoluzione. Negarlo non serve e può essere dannoso. Può essere che la rivoluzione fosse già in atto prima e che il risultato del 4 marzo sia stata una sua rappresentazione. Ma la rivoluzione c'è stata; che essa produca effetti veramente rivoluzionari è un altro paio di maniche. In che cosa si vede la rivoluzione? Nel ribaltamento degli uomini al potere e nelle modalità con cui sono giunti al potere. Intanto vediamo con chi abbiamo a che fare, chi sono i nostri rivoluzionari.
Non è facile rispondere alla domanda chi sono Luigi Di Maio, Barbara Lezzi, Danilo Toninelli, Alfonso Bonafede, Giulia Grillo, Laura Castelli ed altre “stelle” e “stelline”, più gli Alessandro Di Battista;  e potremmo continuare con la marea di illustri sconosciuti che siedono a Montecitorio e a Palazzo Madama. Già nelle elezioni del 2013 ci fu un'avvisaglia importante. I grillini, appena eletti, davanti alle sedi del Parlamento sembravano coi loro rolley e l'aria smarrita come tanti profughi appena sbarcati.
Chi di essi pensava veramente di trovarsi in così poco tempo ai vertici del potere senza nessuno sforzo, sull’onda dei vaffanculo di un comico rancoroso e di due paraculo come i Casaleggio, padre e figlio? 
Per definire i nostri rivoluzionari o forse rivoluzionati c’è un termine che potrebbe sembrare offensivo ma non lo è: cachielli. Il termine è dialettale, fa pensare a giovani vanesi, tanto irresponsabili quanto inconsapevoli di esserlo. Giovani che si atteggiano a persone serie, che si danno delle arie, che le sparano grosse come escono-escono, si trovino di fronte un loro pari o un luminare della scienza politica ed economica, del diritto e della medicina. La loro forza sta nel loro numero: hanno invaso l’ambiente politico come cavallette, stavo per dire come grilli. Il voto che li ha premiati nel Sud è stato plebiscitario; addirittura in alcuni collegi più eletti che candidati. 
Nella storia è già accaduto che un’intera generazione di politici o di intellettuali si siano caratterizzati per certi tratti comuni. Pensiamo, per esempio, agli scapigliati o ai crepuscolari, termini inventati dal critico letterario Giuseppe Antonio Borgese per indicare e definire alcuni giovani protagonisti di movimenti letterari di rottura nel loro ambiente. Una volta si indicavano le persone per come queste si facevano percepire. Come nei casi ricordati, il loro essere stava tutto nei loro nomi. Oggi si preferiscono nomi asettici, siglatici. Forse il più connotante è proprio grillini, non solo in riferimento al loro capo storico Beppe Grillo, ma per la colleganza all’insetto. Grilli parlanti, appunto! Saputelli, sempre pronti a pontificare e a sentenziare su tutto e su tutti. Come loro non c’è nessuno; prima di loro la disonestà, l’ingiustizia, la sciatteria, la negligenza.
Si tratta di persone giovani, tra i 25 e i 45 anni, per lo più di nessuna esperienza politica e amministrativa e di nessuna competenza, abili nel parlare, pronti a sfruttare le magagne del sistema, formidabili nel dare l’impressione di essere assolutamente estranei alla razza dei politici italiani, esperti di social e di rete. Capaci di dire le più grandi stronzate con naturalezza e noncuranza. Il ministro Toninelli prometteva un ponte a Genova sul quale poter portare i bambini a giocare, una sorta di Disneyland. La ministra Lezzi ritiene pochi i gradi dell’angolo giro, che ha la massima ampiezza, ne vorrebbe altri dieci, così 370 gradi. Presto si farà un’antologia di queste stravaganze che piacciono tanto alle persone che hanno figli più o meno della stessa età e della stessa cultura dei nuovi politici.
Questi giovani, disinvolti e arroganti, si atteggiano, menano vanto, presumono, non hanno difficoltà a dare dell’ignorante ad un professore di università, a mancare di rispetto a politici di lungo corso, ad esperti nelle più varie discipline; colpiscono nell’impunità, sanno di non essere dei bersagli. Hanno dentro il rancore di chi si sente frustrato. Il loro obiettivo è colpire chi sta meglio di loro, chi ha una bella professione, chi si è costruito una posizione. Ahi, l’invidia! Non indugiano ad inventarsi lauree mai conseguite, tanta è la loro autostima e tanto il disprezzo verso chi veramente le lauree ce l’ha e le competenze pure e conclamate. L’eurodeputato Marco Valli, grillino doc, si spacciava per laureato alla Bocconi e voleva proporsi in Europa come l’anti Draghi. E’ un poveraccio, che non sa distinguere tra errore e reato.
I grillini sarebbero comunisti se sapessero che cosa è il comunismo. Ma non lo sanno e dunque non avvertono neppure il disagio di un’esperienza storica da difendere, la dignità di una prova fallita. Sanno che gli altri sono dei figli di puttana; loro non sanno neppure di avere una madre.
Alcuni sono figli di ex missini, ovvero fascisti. Gli arrabbiati degli anni Sessanta-Ottanta, abituati a rompersi addosso le suppellettili di ogni locale dove si svolgevano i loro congressi di partito, di sezione o di provincia, di regione o di nazione. Molti elettori, ex missini, per corrispondenza di umorali sensi, si sono accodati al loro movimento, più convinti di poter mortificare gli odiati avversari che di poter ottenere dei risultati positivi per la nazione. Abbasso i vitalizi! Abbasso le pensioni d’oro! Non potendo essere tutti ricchi, allora tutti poveri! Viva la decrescita felice! Abbasso le grandi opere! Si dia a tutti il reddito di cittadinanza! Basta essere cittadini per avere diritto a tutto. Se i soldi lo Stato non ce l’ha per tutti, allora si prenda dai ricchi e si dia ai poveri. Sia la politica non l’opportunità per arricchirsi come nel passato, ma un’opportunità al ribasso, per avere un posto pur che sia. Ce l’hanno con la stampa perché non è lo specchio delle loro brame e non tollerano che vengano mostrati per quello che sono.
C’è da chiedersi: ma come è stato possibile un fenomeno del genere? Perché c’è stata una classe politica che non ha saputo difendere se stessa e il Paese. Come i re fannulloni diedero inizio a dinastie di maggiordomi, i politici disonesti e cialtroni, troppo sicuri di non venir mai spodestati, hanno lasciato che gli ultimi diventassero i primi. C’è solo da sperare che questi, dopo che i vecchi politici hanno meritato di diventare gli ultimi, riescano a dimostrare di aver meritato di essere diventati i primi.  Almeno questo!

domenica 11 novembre 2018

Italiani inventori di politica




Negli Stati Uniti d’America incominciano le manovre per le prossime presidenziali. Si cercano e si propongono candidature. L’ipotesi che possa correre anche Michelle Obama, moglie dell’ex presidente Barack Obama, dimostra una certa mancanza di prospettive politiche in quel Paese. Michelle sarebbe la seconda moglie di un ex presidente a tentare la corsa alla Casa Bianca, dopo la non fortunata esperienza di Hillary Clinton. Francamente non ci sembra una grande trovata proporre la moglie di un ex ad una carica politica, tanto più se si tratta di una carica apicale che più apicale non si può. Dà l'idea di un mondo piccolo. Di fronte alla mancanza di fantasia e di creatività americana noi italiani ci possiamo vantare di essere dei grandi inventori di politica. Passiamo a volo d’uccello su quest’ultimo secolo di storia.
Subito dopo la Grande Guerra, di cui si è appena commemorato il Centenario, quando l’onda lunga del comunismo sembrava dovesse travolgere l’Europa, l’Italia escogitò il fascismo. Questo fu nelle intenzioni del suo fondatore e dei suoi teorici il superamento della lotta di classe per trasferire la stessa a livello planetario fra paesi poveri e paesi ricchi. Benito Mussolini capì che il socialismo non era per l’Italia e più tardi lo stesso Lenin gli diede ragione, giudicandolo l’unico che avrebbe potuto fare la rivoluzione …col rosso ovviamente. Mussolini la fece col nero; e in questo si rivelò un inventore formidabile. Negli anni immediatamente successivi fu imitato in tutta Europa, dove nacquero e si svilupparono movimenti analoghi, alcuni dei quali addirittura giunsero al potere (Germania, Spagna), in altri lo influenzarono. Nella stessa Inghilterra il movimento fascista di sir Oswald Mosley ebbe una notevole simpatia e condivisione fino a lambire la casa reale. Del fascismo si può dire tutto il male che si vuole, ma se è diventato una categoria politica universale vuol dire che la sua importanza è pari alla sua forza semantica. Un’invenzione italiana! Che lo stesso Umberto Eco non ha mancato di rilevare nel suo Il fascismo eterno (1995, riedito in volumetto nel 2017, e subito balzato in testa alle classifiche).
Nel secondo dopoguerra l’Italia inventò una formula già avviata durante la guerra, il ciellenismo (da C.L.N. = Comitati di Liberazione Nazionale), ossia l’alleanza fra tutti i partiti e movimenti che avevano fatto la Resistenza, sfociata nella scelta repubblicana del 2 giugno 1946 e nella Costituzione (27 dicembre 1947), formula diventata più tardi dell’arco costituzionale. Fino ad un certo punto fu una scelta obbligata; divenne innovativa dopo.
La Democrazia Cristiana, che era il perno del sistema, anche potendo governare da sola, preferì farlo con partiti satelliti, che garantivano pluralismo di idee e di proposte e la tenevano al riparo dalla concorrenza esterna sia di destra che di sinistra. Le possibili minacce, infatti, le poteva tenere sotto controllo all’interno della coalizione, in cui si alternavano liberali, repubblicani e socialdemocratici. Una formula di notevole efficacia tattica.
La democrazia dei partiti durò fino agli inizi degli anni Novanta, quando scoppiò Tangentopoli, degenerazione in cui era tralignata. Ne seguì un’autentica rivoluzione che fece diverse vittime e mise fine alla Prima Repubblica. E qui si mise in moto ancora una volta il laboratorio politico italiano per un’altra invenzione italiana: il berlusconismo, un sistema che ha alla base lo strapotere economico e mediatico di un uomo di successo, spregiudicato fino all’ostentazione del vizio, dell’abuso e della commistione di interessi pubblici e privati. Un misto di liberalismo e populismo che ha fatto gridare qualcuno al lupo fascista.
Anche questa invenzione avrebbe fatto scuola in diverse parti del mondo. Si consideri l’analogo statunitense di Berlusconi che è Donald Trump, pur con notevoli sfumature. Il berlusconismo, che presenta aspetti e articolazioni diversi, in dipendenza dal carattere personale dei suoi interpreti, si può definire un sistema fondato su un “politico diversamente dittatore”. Un “berlussolini” che non ha bisogno di imporre nulla perché condizioni e uomini del suo paese sono particolarmente propensi e disposti a seguirlo, un po’ per necessità e un po’ perché c’è il vuoto in alternativa. Ancora una volta il laboratorio politico italiano ha dato al mondo un prodotto di “qualità”, alla stregua di un vestito di Valentino o di un bolide della Ferrari.
Oggi i sistemi politici, in difetto di ideologia, che è il propellente della loro efficienza, durano poco. Il berlusconismo è durato vent’anni circa con qualche colpo di coda sempre meno convincente. Dalla sua crisi, però, ancora una volta il genio italico è uscito alla grande, direi alla grandissima, indipendentemente da quali saranno o potranno essere i risultati. La nuova invenzione si chiama grillismo, ovvero M5S, che ha filiato altre stupefacenti soluzioni politiche, come la formula della triarchia Conte-Di Maio-Salvini, ossia un capo del governo di nessun potere decisionale e due sottocapi, che di fatto sono supercapi, i quali decidono sulla base di un contratto. Qui veramente siamo all’apoteosi dell’inventività. Sono entrati nel vocabolario politico parole con nuovi significati, come codice etico interno e contratto; altre con recuperi nobilitanti come populismo.
Che da questo si producano soluzioni efficaci è da vedere, ma intanto non si può non prendere atto della formidabile fantasia propositiva del Paese, che, quando tutto sembra crollare, ecco che vien fuori la trovata geniale.