Su una cosa siamo tutti d’accordo
in Italia, sul fatto che quanto è accaduto nella giornata di domenica 27 maggio
è qualcosa di estremamente grave per la nostra Repubblica.
Un conflitto senza precedenti si è scatenato fra i
partiti politici incaricati di fare il nuovo governo dopo il voto del 4 marzo e
la Presidenza della Repubblica, con conseguente richiesta di messa in stato
d’accusa “per alto tradimento” del Presidente, dopo che questi ha respinto la
proposta (ex art. 92 della Costituzione) da parte del Presidente del Consiglio
incaricato di nominare un ministro della lista presentatagli.
Ma era proprio imprevedibile
l’accaduto? Su questo e sulle ragioni del Presidente Mattarella si discuterà
all’infinito. Ma procediamo per gradi.
All’indomani delle elezioni del 4
marzo si è dovuto prendere atto che non c’era alcun vincitore in grado di fare
un governo che avesse il voto di fiducia della maggioranza parlamentare.
C’erano due semivincitori (coalizione del Centrodestra e Movimento Cinquestelle
in ambiguità di primato) e uno sconfitto (il Pd). All’interno del Centrodestra
c’era un vincitore (la Lega di Matteo Salvini) e uno sconfitto (Forza Italia di
Silvio Berlusconi). Questo, di lì a pochi giorni veniva restituito con
sorprendente puntualità all’agibilità politica dal Tribunale di Sorveglianza di
Milano. Un fatto questo non di poca rilevanza. Berlusconi, abbacchiato per il
suo esilio politico e per la recente sconfitta, recuperava animo e opportunità.
Salvini avvertiva l’importanza della novità e diceva che nella vita politica
conta pure la fortuna, che lui in quel momento sembrava non avesse.
Le strade da percorrere per fare
un governo erano impervie e strette per l’assoluta indisponibilità a trattare
da parte degli attori. Per i Cinquestelle chiusura netta a Forza Italia; per la
Lega chiusura netta al Pd; per il Pd chiusura netta al Centrodestra e ai
Cinquestelle. Sembrava un gioco ad evitarsi più che ad incontrarsi. Un gioco da
irresponsabili o da incapaci. Volavano insulti d’inaudita violenza. I
Cinquestelle a indicare Berlusconi solo con ingiuriosi epiteti; Berlusconi a
dire che lui i dirigenti del Movimento pentastellato li avrebbe volentieri
assunti alle sue aziende per pulire i cessi.
Solo dopo la minaccia del
Presidente della Repubblica di andare a nuove votazioni Cinquestelle e Lega si
mettevano a ipotizzare un’intesa, ma c’era bisogno che Berlusconi desse il via
libera a Salvini, per non compromettere la coalizione. Ricevuto
il via libera, le due forze politiche davano vita ad un “contratto”, in cui
venivano fissate le cose più importanti da fare; bene attente a non fare nomi
di ministri, non per virtù, ma per opportunità.
Conclusa la fase del “contratto”,
sottoposto dai due partiti ai loro rispettivi elettorati per averne il
consenso, è iniziato il braccio di ferro fra Di Maio e Salvini per chi dovesse
essere il premier. Per uscire dall’ennesima impasse, i due decidevano di farsi
da parte in favore di una terza persona, che i Cinquestelle individuavano in uno
sconosciutissimo Giuseppe Conte, professore universitario di diritto privato e
avvocato. Per bilanciare il protagonismo pentastellare sul nome del Premier la
Lega si accaparrava la nomina del Ministro dell’Economia e indicava il Prof.
Paolo Savona, famoso per le sue posizioni antieuro ed antieuropa. Di Maio e
Salvini stringevano il patto d’acciaio di non cedere su questi due nomi
qualunque cosa fosse accaduta.
Essi così sancivano di fatto una
politica iniziata con chiusure e indisponibilità. In buona sostanza,
Cinquestelle e Lega mettevano le basi per far saltare quello che loro stessi
sostenevano di avere faticosamente realizzato per quindici lunghi giorni. Sia
Salvini che Di Maio, a cui dava manforte non richiesta un Di Battista pentito di
non essersi candidato e particolarmente provocatore, si esibivano in comportamenti
e toni irriguardosi nei confronti della Presidenza della Repubblica e della
grammatica costituzionale, dando ad intendere che a comandare erano loro e che
Mattarella mai si sarebbe permesso di respingere la proposta di qualche
ministro.
C’è abbondante materiale per
convincersi che Salvini soprattutto non voleva che la cosa giungesse in porto,
poiché sapeva che il Presidente della Repubblica mai avrebbe fatto passare
Paolo Savona, nei confronti del quale l’Europa intera incominciava a
manifestare inquietudine, che si traduceva subito nella salita dello spread fra
titoli italiani e Bund tedeschi.
Quanto si faceva finta di non
sapere o di esorcizzare è puntualmente accaduto il 27 maggio. Mattarella, nel
rispetto dell’art. 92 della Costituzione, ha detto no a Savona, in quanto
percepito in Europa e dai mercati come uno che avrebbe avviato l’Italia ad
uscire dalla zona euro. Tanto ha fatto gridare all’alto tradimento e
all’invocazione dell’art. 90, che prevede la messa in stato d’accusa del
Presidente “per alto tradimento”. Un’accusa che di per sé è già un’infamia. Ma
lasciamo stare questi incontinenti, bisognosi di andar coi pannoloni sulla
bocca!
Chi cavilla su una diversa
interpretazione di questo articolo, pur munito da ventose costituzionali e
scientifiche, si arrampica sugli specchi di una scelta di campo fatta a monte.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e i ministri
su proposta di questi. E’ di tutta evidenza che quanto meno fra le due massime istituzioni
debba esserci convergenza. In difetto chi deve cedere non è il Presidente della
Repubblica che rappresenta lo Stato, la Nazione e la Società nel loro insieme,
ma chi di Stato, Nazione e Società rappresenta solo taluni aspetti e talune
parti.
Chi allegramente invoca la
possibilità di governare per farsi giudicare poi a “cose fatte” fa finta di
ignorare o ignora davvero che i danni che ne deriverebbero al Paese, per
improntitudine e incapacità, non sarebbero revocabili e potrebbero essere
letali.
Il Presidente della Repubblica ha
il diritto-dovere di impedire che il Paese vada verso il precipizio, peraltro
annunciato.
Mattarella forse ha sbagliato a
non impuntarsi subito quando Di Maio e Salvini hanno messo in essere procedure
inconsuete (contratto, consultazione della base), a spregio del dettato
costituzionale, o affermato delle gratuite espressioni di arroganza: il
Presidente non si permetterebbe di…il Presidente stia attento…il Presidente non
può mettersi contro chi è stato votato dal popolo e via di questo passo. Non è
solo una questione di etica e di buona educazione. I due hanno ingaggiato fin
dall’inizio una gara a chi più appariva prepotente e arrogante per soddisfare i
volgarissimi sentimenti popolari dei loro rispettivi “tifosi”.
Un linguaggio intollerabile. “Vengo
qui per fare l’avvocato del popolo italiano” disse Giuseppe Conte all’uscita
dal colloquio al Quirinale dopo aver ricevuto l’incarico. Ma, tanto per dirne
una, il Presidente Mattarella allora che fa, la guida turistica?
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