martedì 29 maggio 2018

Quirinale-5 Stelle: la Caporetto della Repubblica




Su una cosa siamo tutti d’accordo in Italia, sul fatto che quanto è accaduto nella giornata di domenica 27 maggio è qualcosa di estremamente grave per la nostra Repubblica. Un conflitto senza precedenti si è scatenato fra i partiti politici incaricati di fare il nuovo governo dopo il voto del 4 marzo e la Presidenza della Repubblica, con conseguente richiesta di messa in stato d’accusa “per alto tradimento” del Presidente, dopo che questi ha respinto la proposta (ex art. 92 della Costituzione) da parte del Presidente del Consiglio incaricato di nominare un ministro della lista presentatagli.
Ma era proprio imprevedibile l’accaduto? Su questo e sulle ragioni del Presidente Mattarella si discuterà all’infinito. Ma procediamo per gradi.
All’indomani delle elezioni del 4 marzo si è dovuto prendere atto che non c’era alcun vincitore in grado di fare un governo che avesse il voto di fiducia della maggioranza parlamentare. C’erano due semivincitori (coalizione del Centrodestra e Movimento Cinquestelle in ambiguità di primato) e uno sconfitto (il Pd). All’interno del Centrodestra c’era un vincitore (la Lega di Matteo Salvini) e uno sconfitto (Forza Italia di Silvio Berlusconi). Questo, di lì a pochi giorni veniva restituito con sorprendente puntualità all’agibilità politica dal Tribunale di Sorveglianza di Milano. Un fatto questo non di poca rilevanza. Berlusconi, abbacchiato per il suo esilio politico e per la recente sconfitta, recuperava animo e opportunità. Salvini avvertiva l’importanza della novità e diceva che nella vita politica conta pure la fortuna, che lui in quel momento sembrava non avesse.
Le strade da percorrere per fare un governo erano impervie e strette per l’assoluta indisponibilità a trattare da parte degli attori. Per i Cinquestelle chiusura netta a Forza Italia; per la Lega chiusura netta al Pd; per il Pd chiusura netta al Centrodestra e ai Cinquestelle. Sembrava un gioco ad evitarsi più che ad incontrarsi. Un gioco da irresponsabili o da incapaci. Volavano insulti d’inaudita violenza. I Cinquestelle a indicare Berlusconi solo con ingiuriosi epiteti; Berlusconi a dire che lui i dirigenti del Movimento pentastellato li avrebbe volentieri assunti alle sue aziende per pulire i cessi.  
Solo dopo la minaccia del Presidente della Repubblica di andare a nuove votazioni Cinquestelle e Lega si mettevano a ipotizzare un’intesa, ma c’era bisogno che Berlusconi desse il via libera a Salvini, per non compromettere la coalizione. Ricevuto il via libera, le due forze politiche davano vita ad un “contratto”, in cui venivano fissate le cose più importanti da fare; bene attente a non fare nomi di ministri, non per virtù, ma per opportunità.
Conclusa la fase del “contratto”, sottoposto dai due partiti ai loro rispettivi elettorati per averne il consenso, è iniziato il braccio di ferro fra Di Maio e Salvini per chi dovesse essere il premier. Per uscire dall’ennesima impasse, i due decidevano di farsi da parte in favore di una terza persona, che i Cinquestelle individuavano in uno sconosciutissimo Giuseppe Conte, professore universitario di diritto privato e avvocato. Per bilanciare il protagonismo pentastellare sul nome del Premier la Lega si accaparrava la nomina del Ministro dell’Economia e indicava il Prof. Paolo Savona, famoso per le sue posizioni antieuro ed antieuropa. Di Maio e Salvini stringevano il patto d’acciaio di non cedere su questi due nomi qualunque cosa fosse accaduta.
Essi così sancivano di fatto una politica iniziata con chiusure e indisponibilità. In buona sostanza, Cinquestelle e Lega mettevano le basi per far saltare quello che loro stessi sostenevano di avere faticosamente realizzato per quindici lunghi giorni. Sia Salvini che Di Maio, a cui dava manforte non richiesta un Di Battista pentito di non essersi candidato e particolarmente provocatore, si esibivano in comportamenti e toni irriguardosi nei confronti della Presidenza della Repubblica e della grammatica costituzionale, dando ad intendere che a comandare erano loro e che Mattarella mai si sarebbe permesso di respingere la proposta di qualche ministro. 
C’è abbondante materiale per convincersi che Salvini soprattutto non voleva che la cosa giungesse in porto, poiché sapeva che il Presidente della Repubblica mai avrebbe fatto passare Paolo Savona, nei confronti del quale l’Europa intera incominciava a manifestare inquietudine, che si traduceva subito nella salita dello spread fra titoli italiani e Bund tedeschi.
Quanto si faceva finta di non sapere o di esorcizzare è puntualmente accaduto il 27 maggio. Mattarella, nel rispetto dell’art. 92 della Costituzione, ha detto no a Savona, in quanto percepito in Europa e dai mercati come uno che avrebbe avviato l’Italia ad uscire dalla zona euro. Tanto ha fatto gridare all’alto tradimento e all’invocazione dell’art. 90, che prevede la messa in stato d’accusa del Presidente “per alto tradimento”. Un’accusa che di per sé è già un’infamia. Ma lasciamo stare questi incontinenti, bisognosi di andar coi pannoloni sulla bocca!
Chi cavilla su una diversa interpretazione di questo articolo, pur munito da ventose costituzionali e scientifiche, si arrampica sugli specchi di una scelta di campo fatta a monte. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e i ministri su proposta di questi. E’ di tutta evidenza che quanto meno fra le due massime istituzioni debba esserci convergenza. In difetto chi deve cedere non è il Presidente della Repubblica che rappresenta lo Stato, la Nazione e la Società nel loro insieme, ma chi di Stato, Nazione e Società rappresenta solo taluni aspetti e talune parti.
Chi allegramente invoca la possibilità di governare per farsi giudicare poi a “cose fatte” fa finta di ignorare o ignora davvero che i danni che ne deriverebbero al Paese, per improntitudine e incapacità, non sarebbero revocabili e potrebbero essere letali.
Il Presidente della Repubblica ha il diritto-dovere di impedire che il Paese vada verso il precipizio, peraltro annunciato.
Mattarella forse ha sbagliato a non impuntarsi subito quando Di Maio e Salvini hanno messo in essere procedure inconsuete (contratto, consultazione della base), a spregio del dettato costituzionale, o affermato delle gratuite espressioni di arroganza: il Presidente non si permetterebbe di…il Presidente stia attento…il Presidente non può mettersi contro chi è stato votato dal popolo e via di questo passo. Non è solo una questione di etica e di buona educazione. I due hanno ingaggiato fin dall’inizio una gara a chi più appariva prepotente e arrogante per soddisfare i volgarissimi sentimenti popolari dei loro rispettivi “tifosi”.
Un linguaggio intollerabile. “Vengo qui per fare l’avvocato del popolo italiano” disse Giuseppe Conte all’uscita dal colloquio al Quirinale dopo aver ricevuto l’incarico. Ma, tanto per dirne una, il Presidente Mattarella allora che fa, la guida turistica?

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