Questa volta il caso di plagio Le
Pen-Fillon è clamoroso. Marine Le Pen, candidata alla presidenza della
Repubblica Francese, ha copiato di sana pianta parti di un discorso che un paio
di settimane prima aveva pronunciato il leader dei repubblicani Fillon, anche
lui in corsa per la presidenza francese. I media si sono scatenati, proponendo la Le Pen e Fillon in
contemporanea, una accanto all’altro, quasi fosse una gara di sci in parallelo,
come i più anziani ricordano tra il nostro Thöni e lo svedese Stenmark.
Dallo staff della Le Pen si è
ammesso il plagio, ma si è aggiunto “è stato voluto”, per dimostrare che il
programma della Le Pen è lo stesso di Fillon e che dunque gli ex elettori di
quest’ultimo avrebbero potuto fidarsi di lei e votarla “ad occhi chiusi” e
magari anche “ad orecchi tappati”.
Sembrerebbe infantile come
spiegazione, ma in un mondo come l’attuale, veramente una “gabbia di matti”, in
cui la post-verità è più vera della verità, vale tutto e il suo contrario.
Fuori da infantilismi e mattane,
il plagio è ancora da condannare? Forse a farlo oggi è solamente la scuola. Quando uno
studente copia un compito in classe, in tutto o in parte, rimedia un “due”
senza pietà e misericordia. Il professore non punisce solo l’incapacità dello
studente di elaborare un tema con le sue sole capacità, come è normale che sia,
ma anche la furbata. Nel
voto stroncatorio scarica la sua rabbia perché costretto a perdere del tempo
per trovare la fonte alla quale lo studente ha attinto. Glielo impongono in primis
lo studente stesso, e poi il preside della scuola e la famiglia del ragazzo.
Non più venti minuti per la correzione dell’elaborato ma a volte anche un’ora e
più, per via del mare magnum di pubblicazioni che spesso circolano
sull’argomento su libri, giornali e web.
Più sottilmente si sostiene che
copiare parte di un testo non è plagio senz’altro, dato che lo si può utilizzare
inserendolo in un contesto per fargli svolgere una funzione argomentativa
diversa da quella originale. Sottigliezze in qualche modo fondate, a cui però non
bisognerebbe mai ricorrere. In casi del genere, infatti, sarebbe d’obbligo
indicare tra parentesi la
fonte. Non facendolo, si compie un atto comunque disonesto.
Se a compierlo poi è un politico
è estremamente grave. Già i politici sono, secondo la vulgata populistica,
bugiardi e ladri; se poi si fanno scoprire in un modo così plateale, allora si danno
la patente di fessi; che, in un paese come il nostro, è qualifica assai più infamante.
Utilizzare un argomento, già utilizzato
da altri, ci sta, basta saperlo rielaborare dandogli una veste formale e stilistica
propria. Non è originale ma neppure plagio.
Quando si verificano casi come questo,
è di tutta evidenza che l’autore del plagio, che è quasi sempre un
collaboratore del politico, è stato incauto, escludendo che lo abbia fatto
apposta o per la ragione anzidetta o per dolo. Nel caso specifico, si ha
l’impressione che chi ha preparato il discorso della Le Pen non ha copiato da
chi aveva preparato il discorso di Fillon; più verosimilmente sia l’uno che
l’altro, ovvero sia Le Pen che Fillon, potrebbero avere attinto alla stessa
fonte; una fonte terza.
Comunque siano andate le cose, è
certo che ormai a farla da padrona, perfino ai livelli alti della politica, è
la sciatteria, che la facilità e la comodità di trovare testi bell’e pronti sul
web, alimentano. E’ vero altresì che con altrettanta facilità si viene
scoperti, perché basta digitare poche parole del testo galeotto, in sequenza
compositiva, ed ecco l’indicazione della fonte.
Quel che fa impressione – ma si
fa per dire – è che oggi neppure l’essere pubblicamente sbugiardati produce
niente di particolare; e meno che niente produce nei politici. Essi, infatti, diventano
sempre più sfacciati – non parlo solo dei nostri – ed anzi passare per dei
“copioni” li riporta al loro essere ragazzi con tutta la simpatia che certi
studenti discoli fanno.
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