giovedì 4 maggio 2017

Se il plagio non è più una vergogna


Questa volta il caso di plagio Le Pen-Fillon è clamoroso. Marine Le Pen, candidata alla presidenza della Repubblica Francese, ha copiato di sana pianta parti di un discorso che un paio di settimane prima aveva pronunciato il leader dei repubblicani Fillon, anche lui in corsa per la presidenza francese. I media si sono scatenati, proponendo la Le Pen e Fillon in contemporanea, una accanto all’altro, quasi fosse una gara di sci in parallelo, come i più anziani ricordano tra il nostro Thöni e lo svedese Stenmark.
Dallo staff della Le Pen si è ammesso il plagio, ma si è aggiunto “è stato voluto”, per dimostrare che il programma della Le Pen è lo stesso di Fillon e che dunque gli ex elettori di quest’ultimo avrebbero potuto fidarsi di lei e votarla “ad occhi chiusi” e magari anche “ad orecchi tappati”.
Sembrerebbe infantile come spiegazione, ma in un mondo come l’attuale, veramente una “gabbia di matti”, in cui la post-verità è più vera della verità, vale tutto e il suo contrario.
Fuori da infantilismi e mattane, il plagio è ancora da condannare? Forse a farlo oggi è solamente la scuola. Quando uno studente copia un compito in classe, in tutto o in parte, rimedia un “due” senza pietà e misericordia. Il professore non punisce solo l’incapacità dello studente di elaborare un tema con le sue sole capacità, come è normale che sia, ma anche la furbata. Nel voto stroncatorio scarica la sua rabbia perché costretto a perdere del tempo per trovare la fonte alla quale lo studente ha attinto. Glielo impongono in primis lo studente stesso, e poi il preside della scuola e la famiglia del ragazzo. Non più venti minuti per la correzione dell’elaborato ma a volte anche un’ora e più, per via del mare magnum di pubblicazioni che spesso circolano sull’argomento su libri, giornali e web.
Più sottilmente si sostiene che copiare parte di un testo non è plagio senz’altro, dato che lo si può utilizzare inserendolo in un contesto per fargli svolgere una funzione argomentativa diversa da quella originale. Sottigliezze in qualche modo fondate, a cui però non bisognerebbe mai ricorrere. In casi del genere, infatti, sarebbe d’obbligo indicare tra parentesi la fonte. Non facendolo, si compie un atto comunque disonesto.
Se a compierlo poi è un politico è estremamente grave. Già i politici sono, secondo la vulgata populistica, bugiardi e ladri; se poi si fanno scoprire in un modo così plateale, allora si danno la patente di fessi; che, in un paese come il nostro, è qualifica assai più infamante.
Utilizzare un argomento, già utilizzato da altri, ci sta, basta saperlo rielaborare dandogli una veste formale e stilistica propria. Non è originale ma neppure plagio.
Quando si verificano casi come questo, è di tutta evidenza che l’autore del plagio, che è quasi sempre un collaboratore del politico, è stato incauto, escludendo che lo abbia fatto apposta o per la ragione anzidetta o per dolo. Nel caso specifico, si ha l’impressione che chi ha preparato il discorso della Le Pen non ha copiato da chi aveva preparato il discorso di Fillon; più verosimilmente sia l’uno che l’altro, ovvero sia Le Pen che Fillon, potrebbero avere attinto alla stessa fonte; una fonte terza.
Comunque siano andate le cose, è certo che ormai a farla da padrona, perfino ai livelli alti della politica, è la sciatteria, che la facilità e la comodità di trovare testi bell’e pronti sul web, alimentano. E’ vero altresì che con altrettanta facilità si viene scoperti, perché basta digitare poche parole del testo galeotto, in sequenza compositiva, ed ecco l’indicazione della fonte.

Quel che fa impressione – ma si fa per dire – è che oggi neppure l’essere pubblicamente sbugiardati produce niente di particolare; e meno che niente produce nei politici. Essi, infatti, diventano sempre più sfacciati – non parlo solo dei nostri – ed anzi passare per dei “copioni” li riporta al loro essere ragazzi con tutta la simpatia che certi studenti discoli fanno.

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