domenica 18 dicembre 2011

Monti "disperato", Schifani "pagliaccio", Fini "cialtrone": W l'Italia!

Ora lo dice anche Ernesto Galli Della Loggia: “Stato d’eccezione ma non se ne parla” (“Corriere della Sera” del 12 dicembre 2011). Sì, ma chi ne doveva parlare?
L’episodio più grave da quando esistono la Repubblica e la Costituzione, l’autentico vulnus, è stato l’operazione Napolitano-Monti, altrimenti detto governo tecnico. Dice Della Loggia: “All’ordine del giorno nelle vicende della Repubblica è oggi uno dei temi chiave della grande riflessione politologica del Novecento: lo «stato d’eccezione». Cioè quella condizione di straordinarietà nella vita di una Costituzione in cui, per la necessità di fronteggiare una situazione di emergenza, le sue regole sono sospese, a cominciare da quelle riguardanti la formazione del governo e l’ambito dei suoi poteri. La sospensione può avvenire in via di fatto o di diritto, anche se per ovvie ragioni sono ben poche (almeno a mia conoscenza) le costituzioni democratiche che prevedono, al di fuori del caso di una guerra, le procedure per dichiarare lo stato d’eccezione e i modi di questo”.
E’ sufficiente per capire che anche per il professor Galli Della Loggia la situazione politica italiana, quale si è determinata col governo Monti, è eccezionale e grave.
Va ricordato che in questi ultimi tre anni berlusconiani, che hanno preceduto il governo Monti, più volte Berlusconi ha rivendicato la necessità di rivedere la Costituzione per renderla meno ostativa o ritardante della dinamicità politico-amministrativa dello Stato e del Paese, mentre i suoi oppositori, politici giudici intellettuali comici nani e ballerine, hanno fatto della Costituzione una sorta di “santo sepolcro” e hanno fatto in tutte le sedi, coperte e scoperte, delle “crociate” in sua difesa. Ora se quel sepolcro era davvero “santo” si può discutere, ma che sia stato violato e proprio da chi lo difendeva non c’è dubbio alcuno.
Ma a rendere particolarmente grave l’operazione Napolitano-Monti è che nessuno ha ancora dimostrato che la situazione richiedeva davvero uno “stato d’eccezione”. Le misure adottate dal governo Monti potevano benissimo essere adottate da un governo politico, tanto più che i tecnici, chiamati al governo da Monti, sono gli stessi chiamati da Berlusconi a fornire consulenza al governo. Ed è qui il punto di maggiore eccezionalità e gravità: la politica ha abdicato e il Presidente della Repubblica ha agito in stato di improrogabile necessità, proponendosi come autentico “motore di riserva” del sistema in panne.
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Naturalmente c’è in Italia chi è dell’avviso che nell’operazione Napolitano-Monti non c’è alcun vulnus costituzionale, che anzi si è verificato un “ritorno alla costituzione” e che c’è da auspicarsi che per l’avvenire si continui a fare come ha fatto nella circostanza Napolitano, che si facciano solo “governi istituzionali”, che i ministri siano di nomina presidenziale e che si dia così inizio alla “terza repubblica”. Così Eugenio Scalfari (“la Repubblica” del 4 dicembre 2011).
Nella posizione di Scalfari, non nuovo a contorsionismi mentali per giustificare ciò che a lui piace o condannare ciò che a lui non piace, c’è tutta l’avversione del vegliardo nei confronti dei suoi avversari politici. Scalfari non è più da prendere in seria considerazione e il suo più recente percorso intimistico-filosofico è assai più stimabile delle sue apologie della sinistra e delle sue scomuniche della destra. E’ di tutta evidenza che un gesto è costituzionale o incostituzionale in sé, che la necessità di adeguare la costituzione ai tempi è opportuna o inopportuna in sé. E’ inaccettabile che tutto dipenda da chi compie il gesto. Se lo compie Berlusconi è un attacco alla costituzione da condannare; se lo compie Napolitano è un atto legittimo da osannare.
A tenere bordone al vecchio Scalfari soccorre Casini, l’eterno apprendista della politica cattolica italiana. Ha detto che per lui “Monti può fare quello che vuole” e che sarà un bene che resti nella politica. E’ un altro esempio di soggettivismo valutativo. Casini, come per la verità altri politici, cerca di nobilitare la viltà della politica facendola passare per una scelta libera e sagace, per dimostrare che non c’è nessuna discontinuità tra il prima e il dopo Monti e che tutto è ascrivibile alla politica. Se lo deve proprio ripetere più volte al giorno per convincersi, il pinzochero di Dio!
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Luca Ricolfi su “La Stampa” del 12 dicembre sostiene che “Per tagliare bisogna studiare”. Tesi: Padoa Schioppa, Tremonti ed ora Monti hanno effettuato tagli lineari perché non hanno studiato per conoscere i vari settori ed i loro problemi per effettuare tagli mirati e chirurgici. Le manovre che puntano sull’aumento delle tasse piuttosto che sui tagli alla spesa pubblica non risolvono la crisi, soprattutto sul versante della crescita. “Una correzione di 20 miliardi – dice Ricolfi – fatta con 15, con 10, o con 5 miliardi di tasse in più ha effetti profondamente diversi sulla crescita, e quindi sul futuro di un paese. Se gli aumenti di tasse sono eccessivi e/o mal indirizzati, i rischi di recessione aumentano, e la correzione può non bastare”. Ricolfi ritiene che per poter fare dei tagli mirati occorrono almeno due anni di studi, che i governi non hanno.
Se Ricolfi ha ragione – e ce l’ha – occorre dare all’emergenza governativa tecnica un’altra concessione importante: il tempo. Si rafforza cioè l’idea che la tecnocrazia non è più una necessità transitoria della politica ma è la condizione più opportuna e richiesta se si vogliono risolvere i problemi del Paese. Vuoi vedere che qui prima o poi si fa l’elogio della dittatura perpetua?
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Nel corso del dibattito sull’approvazione della manovra, al Senato qualcuno ha dato del “pagliaccio” al Presidente Schifani; e alla Camera qualcuno ha dato del “cialtrone” al Presidente Fini. Condanno il primo, plaudo al secondo. In ogni caso, al di là di personali antipatie e simpatie, di cui tutti soffriamo, i due presidenti non se le meritavano nello specifico. La manovra è iniqua. Non c’è chi non lo veda, chi non lo sappia. Ma cosa c’entrano Schifani e Fini?
Berlusconi ha detto che Monti è “disperato” e sull’inutilità di governare gli italiani ha scomodato Mussolini. Se le citazioni mussoliniane di Berlusconi rientrano nelle sue imprudenze o stravaganze non so, ma gli do ragione. Monti può ostentare tutta la sua sicurezza – per la verità tanto sicuro non pare – ma sta di fatto che la sua manovra, iniqua – e lui lo sa meglio e più di altri – rischia di non risolvere i problemi dell’Italia. Forse quelli dell’Europa, dove Monti può sempre mimetizzarsi nell’operato comune. Gli auguriamo che riesca bene. Monti è probo; ma intanto, come diceva Giovenale, per quel che ci riguarda probitas laudatur et alget (l’onestà è lodata ma ti fa vivere al freddo). Brrr…

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