domenica 6 novembre 2011

Alcune cosette su Berlusconi e gli italiani

Prima: gestire la fine. Altre volte Berlusconi ha dato l’impressione di essere finito; poi si è rialzato alla grande, raggiungendo livelli di consenso incredibili. Pensiamo a quelli della seconda metà del 2008, quando lui stesso disse che lo imbarazzavano. Ma, oggi, a differenza delle precedenti volte, c’è un dato che lo inchioda veramente alla fine: il contesto. Mentre in precedenti situazioni la crisi era nella sua leadership, contestata, a livello nazionale, da un avversario che lo avrebbe battuto, sia pure di misura, due volte, Romano Prodi, oggi non è solo la sua leadership in crisi, interna al suo stesso schieramento e nel Paese, ma è in crisi il Paese nel quadro di un’altra crisi, assai più vasta, che è quella europea e mondiale. Per lui non c’è possibilità alcuna. Concordo col direttore del “Corriere della Sera” Ferruccio De Bortoli che la storia nei confronti di Berlusconi sarà meno ingenerosa della cronaca e sono perfino convinto che non tutto il male di cui soffre oggi il Paese sia da attribuire a lui; ma quando è necessario uscire di scena, anche se può esserlo definitivamente, di una sola cosa occorre preoccuparsi: gestire l’uscita per limitare i danni e per non perdere del tutto la dignità che la carica istituzionale ricoperta ti ha conferito. Se Berlusconi non lo ha capito, non gli torna d’onore.

Seconda: perdita di credibilità dell’Italia. E’ vero, l’Italia oggi è da ridere. Che lo abbia fatto il galletto francese Sarkozy è la prova provata. Un gesto irriguardoso trova sempre uno a compierlo, specialmente quando nasce da percezione condivisa. Ma chi ha reso ridicola l’Italia? Berlusconi, va bene; soprattutto coi suoi comportamenti, non solo privati, ma anche pubblici: dichiarazioni inopportune, a volte volgari; barzellette sguaiate; atteggiamenti goliardici; bugie vergognose e lesive delle istituzioni. Un insieme di comportamenti del tutto inopportuni per un Capo di Governo, che, lo sappia o non lo sappia, lo voglia o non lo voglia, rappresenta tutto un Paese anche quando è chiuso nel suo bagno. Ma non sono meno responsabili almeno altri quattro soggetti. Primo, la magistratura, che da vent’anni lo aggredisce con inchieste strumentali, fatte col solo fine di tenerlo in assedio e di sputtanarlo al cospetto del mondo, senza riuscire mai a condannarlo. Secondo, la stampa, che massicciamente, a parte quella berlusconiana, lo ha tenuto sotto pressione, delegittimandolo sistematicamente ed esponendolo al ludibrio nazionale ed internazionale. Altro che “metodo Boffo”; qui siamo in presenza di un’autentica crociata. Terzo, il mondo dello spettacolo, cinema teatro satira, che in genere riesce ad arrivare, attraverso quella che George Mosse chiama l’estetica della politica, opere che pensate per divertire lo spettatore veicolano meglio di altre messaggi politici penetranti, diffusivi e devastanti, al pubblico più vasto, così bombardato quotidianamente e ridotto ad una folla di replicanti con un’unica scheda in testa: liberarsi di Berlusconi a qualunque costo. Quarto, ultimo ma non ultimo, l’opposizione, la quale, nella più “bella” tradizione della sinistra italiana non esita a bruciare il Paese pur di colpire il nemico politico. Ha insistito col mantra del passo indietro per il bene del Paese; ma lei non ne ha fatto uno nemmeno a lato.

Terza: gli italiani sono razzisti di sé stessi. Berlusconi è il quarto Presidente del Consiglio italiano che finisce miseramente, in maniera incredibile in un Paese che si dice democratico e che pronuncia più la parola costituzione del vangelo. Dal 1978 ad oggi altri tre Presidenti del Consiglio sono finiti in un modo che dovrebbe far riflettere: Aldo Moro, trucidato dalle Brigate Rosse in circostanze mai del tutto chiarite; Bettino Craxi, morto nel gennaio del 2000 ad Hammamet in Tunisia, dopo sei anni di latitanza; Giulio Andreotti, condannato per mafia e salvato, non si sa quanto per “combine” politico-giudiziaria, dalla prescrizione. Ai tanti indignati per Berlusconi sembra cosa da niente questa? Sembra loro che quattro uomini politici del calibro dei su citati siano soltanto quattro casi singoli che nulla hanno a che fare col modo di essere del popolo italiano? Della sua democrazia? Che non abbiano influito per niente sulla perdita di credibilità internazionale dell’Italia? E’ vero, l’Italia è da ridere; ma è altrettanto vero che quando qualche politico italiano cerca di dimostrare il contrario, cerca di accreditare un’altra immagine, allora si scatena la solita sterminata canea degli aficionados dei Veltroni, dei Prodi, dei chierichetti della democrazia e della costituzione che nutrono per gli italiani, probabilmente senza saperlo, il più feroce e insieme nascosto razzismo. Sicché viva sempre ciò che fanno gli americani, i francesi, gli inglesi, gli altri insomma; ma se le stesse cose le fanno gli italiani, allora giù scherni, sberleffi e risate. Forza, indignati, il brodo è servito. Calatevi dentro, con tutti i vostri Grilli e Guzzanti!

Quarta: antiberlusconismo dello stomaco. C’è un dato dell’antiberlusconismo sul quale vale la pena di soffermarsi, ed è quello non specificamente riconducibile al cuore, ma allo stomaco. Non occorre avere molta perspicacia per accorgersi che gli alfieri e le masse dell’antiberlusconismo hanno trovato in questi anni una stessa sintonia, come forse mai prima. Capi, gregari e truppa hanno trovato nello stomaco il nutrimento del cuore. Ancor più dei comunisti, variamente denominati nelle loro sigle, tutti meritevoli di autentico rispetto, perché coerenti – gli unici in Italia insieme ai radicali! – i più esagitati contro Berlusconi e berlusconiani sono stati gli ex democristiani, che per cinquant’anni hanno mangiato saccheggiando le finanze dello Stato. In genere impiegati pubblici, che il posto di lavoro lo hanno ottenuto grazie alla loro militanza politica, alla loro appartenenza famigliare, alla loro amicizia con chi per arte sottile ha imparato a commettere ogni sorta di illegalità senza mai lasciare traccia di nulla. Falsi invalidi, pensionati grazie alla raccomandazione di questo o quel sottosegretario. Falsi braccianti agricoli, che, con la complicità dei sindacati, percepivano indebitamente benefici di disoccupazione, di assistenza e di contributi per la pensione. Ladri e ladroni super specializzati a forzare qualsiasi piccola o grande cassaforte lavorativa e impiegatizia pubblica. Ci sono interi apparati comunali, provinciali e regionali in ogni parte del Mezzogiorno d’Italia che appartengono quasi per intero alla stessa clientela politica. Questa gente, con l’avvento di Berlusconi, non ha fatto la fame, perché già era nella cambusa da qualche anno, ma ha avvertito il pericolo dell’interruzione di un flusso che sembrava non dovesse finire mai. In questi anni si sono preoccupati dei figli e dei nipoti. Si può dire tutto il male che si vuole dell’era Berlusconi, ma non si può dire che tramite l’onorevole Tizio o il senatore Caio si era ottenuto o si poteva ottenere un impiego, si poteva vincere un concorso. Forse non è stato tutto merito del berlusconismo, probabilmente i tempi erano mutati, i partiti-agenzie d’impiego non c’erano più; i rapporti eletti-elettori si erano sfilacciati se non proprio interrotti, ma è un dato di fatto che l’era del collocamento per appartenenza politica era finita o comunque non era più un fenomeno. Il debito pubblico italiano, oggi del 120 % del Pil, affonda le sue radici nei radiosi anni del saccheggio democristiano e socialista. Forse questi “volontari della corte” dell’antiberlusconismo sperano di tornare a strafogare a sbafo. Forse, perché la mente e il cuore possono aver perso la memoria, ma lo stomaco no.

Quinta: si recuperi un minimo di cordialità! La fine di Berlusconi in assoluto non è un danno e non è un bene per l’Italia. Punti di vista, naturalmente. Chi si pone il problema del dopo ha ragione di avere qualche preoccupazione. Ma c’è oggi più della metà degli italiani che non pensano a niente, pensano solo alla fine di Berlusconi. Non vogliono neppure pensare a quel che accadrà dopo la sua uscita di scena, e non perché ritengano che qualsiasi cosa sia migliore, ma perché nella loro “memoria” intellettiva non c’è posto per altro. La gran parte di essi ha vissuto il periodo berlusconiano con la convinzione che Berlusconi era un concentrato di porcherie e che altrettante porcherie erano i suoi sostenitori, i suoi elettori, ossia l’altra metà degli italiani. Mai, come in questi ultimi vent’anni circa gli italiani si sono ritrovati così lacerati, visceralmente contrapposti. Mai la democrazia italiana è stata così screditata da chi pure la sostiene e si riempie la bocca, oltre che essersi riempito lo stomaco a suo tempo, con essa. Si ha ragione, perciò, di pensare che la fine di Berlusconi porti un minimo di serenità nei rapporti sociali, consenta un riavvicinamento dei cittadini, uno stare insieme senza ingiuriarsi e minacciarsi. Se così non fosse allora vorrà dire che Moro o Andreotti, Craxi o Berlusconi, gli italiani hanno bisogno di scannarsi, per atavico vizio di essere sempre contro un “tiranno”, vero o percepito, non ha importanza.

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