domenica 13 novembre 2011

Oppositori di Berlusconi: traditori o mosche cocchiere?

In un “Porta a Porta” di qualche anno fa, subito dopo le elezioni vinte da Berlusconi, credo nel 2001, il comunista Oliviero Diliberto, ministro della giustizia nel precedente governo di centrosinistra, disse che compito dell’opposizione era di far cadere il governo. A distanza di qualche anno, dico l’altro giorno, subito dopo le annunciate dimissioni di Berlusconi, il comunista Massimo D’Alema ha ripetuto pari pari la teoria dilibertiana. Rivoltosi alla maggioranza di centrodestra ha detto: “Cerchiamo di mandarvi a casa, è il compito naturale di un’opposizione” (Corriere della Sera del 9 novembre).
Primo, non ritengo un’offesa dare del comunista a qualcuno; secondo, i comunisti, in Italia, sono tra i politici più coerenti. Va dato loro atto. Personalmente non li amo, ma li stimo.
Tanto premesso, mi chiedo: è proprio democratico ritenere che il compito naturale di un’opposizione è di far cadere il governo e mandare a casa la maggioranza? Confesso di non capire molto di democraterie e dunque quanto prima chiederò al mio amico On. Giacinto Urso, democristiano, per sessant’anni a diversi livelli politici e amministrativi, se sia proprio questo il compito di un’opposizione democratica. Io arrischio, da incompetente di democrazia quale sono, una mia opinione. Compito di chi sta in maggioranza o all’opposizione è di operare per il bene del paese. Se pure è legittimo che ognuno cerchi anche – dico anche – di operare per il bene della propria parte politica, dovrebbe trovare un limite naturale nel non far danno al paese. Di più: riconosco che chi è all’opposizione, per il ruolo piuttosto scomodo e, per un malinteso senso della politica, penalizzante, possa spingersi oltre, rasentare la soglia del danno pubblico, ma mai varcarla. Arrecare danni al proprio paese non è ammissibile, neppure al più limpido dei democratici.
Chi fa di tutto, anche di bruciare il paese, pur di far cadere il governo, come dice Diliberto, o di mandare a casa la maggioranza, come dice D’Alema, allora non fa l’interesse del paese, ma della propria parte. Sarò fascista, ma io stabilirei precisi confini, oltre i quali sarebbe tradimento, con quel che ne seguirebbe.

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Da tre anni e mezzo circa le opposizioni non hanno fatto altro che dire che Berlusconi non faceva niente, a parte le leggi ad personam; che stava portando il paese al baratro; che doveva fare un passo indietro; che non era degno di fare il Presidente del Consiglio; che i suoi comportamenti erano incostituzionali; che un Presidente del Consiglio non poteva essere il più indagato del suo paese; che per colpa sua tutto il mondo ci rideva dietro; che l’aggravarsi della crisi economica era colpa sua perché i mercati non credevano nelle possibilità dell’Italia di riprendersi; che solo con la sua uscita di scena il paese avrebbe riacquistato fiducia e credibilità. Siamo stati anche noi fieri e duri critici di taluni comportamenti di Berlusconi, separando, però, il grano politico delle riforme, fatte o solo tentate, dal loglio dei comportamenti indecenti ancorché privati.
Ora l’opposizione è riuscita nel suo “compito naturale” e ha fatto cadere il governo, non con un voto di sfiducia parlamentare ma tramando coi poteri politici, economici e finanziari dell’Europa, mostrando il nostro paese come la sentina di tutti i mali, arrivando a dire ai nostri amici-hostes europei che Berlusconi non era credibile con le sue manovre economico-finanziarie. Un po’ come faceva il comico napoletano Massimo Troisi in una esilarante scenetta della “smorfia”, in cui un povero disgraziato chiedeva grazie a San Gennaro mentre chi gli stava accanto suggeriva al Santo di non dargli retta, perché quello era un ubriacone e sfaccendato.
Bene, sia come sia, Berlusconi si è dimesso. Chi scrive si riconosce politicamente, sia pure solo in parte, nella maggioranza di centrodestra, ma spera che ora tutto si risolva per il meglio e se potesse fare qualcosa lo farebbe per il bene del paese, perfino se governato da Diliberto e D’Alema. Se la casa brucia, occorre spegnere l’incendio; c’è sempre tempo per colpire chi l’ha appiccato. Forse questo diverso rapporto col proprio paese è un discrimine tra chi è di destra e chi di sinistra, non so se contemplato qualche anno fa da Norberto Bobbio o da altri che si appassionarono all’argomento.
Finora quel che si vede è solo una grande confusione, coi diversi protagonisti che danno calci come “cavalli malecarni”. Perfino il Presidente della Repubblica Napolitano è entrato a gamba tesa e, prima ancora che Berlusconi formalizzasse le dimissioni, ha nominato senatore a vita Mario Monti; e ha fatto capire, prima ancora delle liturgiche consultazioni, di volergli affidare anche il compito di formare il nuovo governo. Della serie “rispetto della Costituzione”, di cui in questi anni si è fatto uso e abuso!

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Molti si chiedono che cosa sia lo “spread”. Il significato del termine è diventato più introvabile della figurina del “feroce saladino” dei nostri nonni e bisnonni. A me, che pure non sono un esperto, sembra di aver capito che è la differenza tra il tasso d’interesse dei titoli di stato dell’Italia e quelli della Germania, posti, questi ultimi, come riferimento di valore. Che significa in parole povere? Che date due botteghe, l’Italia e la Germania, l’Italia, non godendo della fiducia dei mercati, è costretta a vendere la sua merce, che è la stessa della bottega tedesca, a condizioni più vantaggiose per il cliente speculatore e più svantaggiose per sé; ossia, se la bottega italiana vende pane deve dare un chilo e mezzo mentre la bottega tedesca ne dà un chilo. Fuori dalla metafora della bottega e del pane, l’Italia vende i suoi titoli ad un tasso di interesse maggiore di quelli della Germania, indebitandosi di conseguenza sempre di più. Postilla chiarificatrice: se il tasso d’interesse dei titoli tedeschi è del 2 % (per ogni cento euro di titoli te ne restituisco centoventi), quello dei titoli italiani, per incontrare compratori, deve essere del 3, 4, 5, 6, 7 % (per ogni cento euro te ne restituisco centotrenta…quaranta…cinquanta…), secondo l’andamento del mercato, che è influenzato da una serie di fattori, non esclusi quelli della crisi politica interna del paese Italia.
Se le cose stanno così, gran parte della colpa per l’aggravarsi della crisi economico-finanziaria dell’Italia è delle opposizioni, il cui “compito naturale”, secondo la dottrina Diliberto-D’Alema, è di bruciare la casa pur di far uscire l’inquilino.
Il governo in Italia è caduto per volere degli apparati economico-finanziari dell’Europa, governati dal duo Francia-Germania, a cui gli italiani delle opposizioni politiche hanno dato una mano. Decidano loro se sono stati decisivi. Se lo sono stati, sono dei traditori. Se non lo sono stati, sono delle mosche cocchiere. Per me, la prima che ho detto.

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La canea offerta ieri sera, 12 novembre, nei pressi di Palazzo Grazioli, poi del Quirinale e infine di Palazzo Chigi, da parte di una folla urlante contro Berlusconi, che andava a formalizzare le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica, spontanea o orchestrata che fosse, non è stata soltanto vergognosa, ma assai preoccupante. Epifanizza ancora una volta il modo di essere degli italiani, cialtroni e vigliacchi. Alcuni comportamenti ed alcune infelici espressioni pubbliche di Berlusconi probabilmente la legittimano pure, ma ancor più la legittimano espressioni come quelle di chi, come Bersani, ha parlato del 12 novembre 2011 come del giorno della Liberazione. L’avesse detto Di Pietro, che non brilla certo di conoscenze lessicali e di competenze linguistiche, si potrebbe anche passarci sopra; ma l’ha detto uno che se pure non sa da dove deriva “canea” sa che esiste un dizionario della lingua. Il De Mauro – cito uno che è politicamente vicino al Bersani – dice: “fig., moltitudine di persone schiamazzanti; lo schiamazzo stesso, cagnara; estens., il clamore di critiche aspre e malevole; la canea dei critici e dei giornalisti”. Sarà per questo che amo di più i gatti.

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