domenica 12 giugno 2011

Una fatwa italiana per Cesare Battisti

Gli italiani sono indignati per la scarcerazione in Brasile del terrorista pluriomicida Cesare Battisti. Lo è il Presidente Napolitano, lo sono gli altri, da Berlusconi a Frattini, ai presidenti di Camera e Senato e giù di lì. Ovviamente non mancano quelli che sono contenti. Che Italia sarebbe se almeno una volta fosse unita?
Qualche anno fa scrissi per il “Quotidiano” un articolo, suggerendo di lasciar perdere Cesare Battisti. Non fu pubblicato, perché il “Quotidiano” di Lecce in buona sostanza sta dalla parte politica che ritiene di dover chiudere la stagione terroristica all’insegna di quel che è stato è stato. Posizione assai diffusa tra tanta bizzocheria di sinistra. Nel mio suggerimento era trasparente una decisa condanna di Battisti e di chi lo proteggeva. Ma nello stesso tempo ero e sono del parere che nel contesto generale dei delitti e delle pene in ambito terroristico, in presenza di tanti scarcerati e di tanti altri carcerati per modo di dire, la vicenda di Cesare Battisti poteva anche considerarsi conclusa per lo Stato e il popolo italiani. In fondo quel suo essere fuggiasco per il mondo era già una pena, da aggravare con un “fine pena mai”, ossia con l’interdizione perpetua di mettere piede in Italia.
Allora ci indignavamo per il fatto che la Francia, mentre diceva che ce l’avrebbe consegnato, lo faceva fuggire, si dice per mezzo dei servizi segreti, con la contezza e la contentezza di Carlà Brunì, già première dame. La quale non ha mai nascosto le sue simpatie per il terrorismo rosso, benché la di lei famiglia avesse lasciato l’Italia negli anni in cui infuriava il terrorismo e cercato scampo in Francia. Così raccontano le cronache, che la riguardano.
Non era una battuta la mia. Lasciate perdere Battisti! Ero convinto che non avremmo mai smesso di indignarci per le offese che a causa sua avremmo continuato a ricevere da paesi coi quali avevamo buoni rapporti. Così è stato. Con la Francia abbiamo più volte sfiorato l’incidente diplomatico. Col Brasile rischiamo di peggio. Ora, o ci teniamo la schiaffeggiata e facciamo finta di niente o dovremmo rompere i rapporti diplomatici seriamente, con tutto quel che ne conseguirebbe.
E’ assolutamente inaccettabile che un paese col quale abbiamo proficui rapporti economici – lasciamo stare l’amicizia, l’avevamo pure con Gheddafi – insulti la nostra giustizia, che ha condannato Battisti in maniera definitiva, e violi la nostra sovranità nazionale.
Qui Battisti c’entra poco. E’ l’Italia che c’entra, come Stato sovrano, dotato di un sistema di giustizia assolutamente ipergarantista. Se l’Italia ha condannato ingiustamente Battisti – come francesi prima e brasiliani dopo asseriscono – vuol dire che l’Italia è percepita come uno Stato non democratico o non sufficientemente democratico, ma una sorta di dittatura che perseguita i suoi avversari politici. I fantasmi di Mussolini e dei fratelli Rosselli sono tornati più volte, pur senza essere nominati, a turbare le nostre opere e i nostri giorni.
Chi ci ha fatto l’affronto non è stata l’alta corte di giustizia brasiliana, la cui subordinazione al potere politico è affar suo, bensì quel presidente Lula, che è qualcosa che sta tra Pancho Villa ed Emiliano Zapata. Il quale – Lula, dico – assurto alla presidenza del suo paese, pur sforzandosi di interpretare da cristiano il ruolo, è rimasto quello che è: un dittatorello sudamericano, con la fisima della rivoluzione. Per Lula Cesare Battisti è un eroe. Non dice che è innocente; del resto non lo potrebbe dire. Dice che per quel che ha fatto non merita il carcere. Aver ucciso quattro persone e invalidato a vita una quinta è atto che rientra nella lotta rivoluzionaria dei proletari contro i borghesi.
Oh come li capisco certe volte gli islamisti, quando lanciano le loro fatwe! Sì, io non sono un imam, non sono neppure arabo e se non credo in Dio figurarsi se credo in Allah. Eppure non mi dispiacerebbe che qualche italiano, ideologicamente antitetico a Lula, ma della sua stessa pelle, raggiungesse quel Battisti e gli portasse i saluti di tutti quegli italiani che ancora non hanno barattato la dignità nazionale con qualche esportazione di manufatti e gli ricordasse che oltre all’ipocrisia diplomatica c’è anche la sana sincerità popolare e che se vale il detto “vox populi vox dei” ancor più vale per analogia “opus populi opus dei”. Amen!
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