Matteo Renzi ha subito il 4
dicembre scorso una delle più nette e umilianti sconfitte che politico
italiano, Mussolini a parte, abbia mai subito. Berlusconi, tanto per fare il
primo paragone che ci viene a tiro, anche per la vicinanza temporale, è stato
cacciato per congiura di Palazzo, tutto compatto alla bisogna, compresi
giannizzeri e maggiordomi; non è stato mai sconfitto davvero dall’elettorato,
nemmeno quando è stato “battuto” da Prodi con percentuali irrilevanti e
sospetti di brogli. Renzi, invece, è stato così battuto come nessuna nerboruta massaia
batte i propri panni impolverati e sporchi.
Netta, la sconfitta, lo dice il
risultato con tutti gli annessi e i connessi (percentuale di votanti, giovani
contrari sui quali faceva affidamento, un diffuso astio popolare). Si è avuta
l’impressione che ci fossero elettori disposti perfino a pagare pur di votargli
contro.
Umiliante, la sconfitta, la rendono
i suoi atteggiamenti, dal “se perdo lascio la politica perché io non sono come
gli altri”, continuamente ripetuto, all’occupazione delle televisioni, alle
elargizioni di danaro, alle bugie, alle sue bombarde contro l’Europa, a quel
suo proporsi come un vecchio saggio davanti a scolaretti che fa tanta
irritazione. Del resto così aveva esordito in Senato: con le mani in tasca e
con un fare da vecchio condottiero della politica, lui che puzzava di “trovatello”
lontano un miglio.
In nessun politico italiano era
apparso mai così stridente lo scarto tra ciò che era e ciò che voleva sembrare.
No, non si tratta di un caso di maleducazione; Renzi non è maleducato, soffre
di un evidente complesso di superiorità, una specie di convinta predestinazione
ad essere e a fare cose straordinarie nella vita. Non a caso si è proposto come
il “rottamatore”.
Il giorno successivo alla
tremenda scoppola subita la televisione lo ha ripreso per strada mentre se la
fischiettava come un operaio che aveva appena smesso di lavorare e andava a
prendere la metro per tornare a casa. Perché lui se si comporta come un grand’uomo
davanti a platee importanti; poi si comporta come uno spazzacamino dopo aver
scapolato. Il giorno successivo ancora, alla direzione del suo partito, ha
continuato ad ostentare disinvoltura coi suoi tipici atteggiamenti di
grand’uomo, rivolgendosi all’assemblea con “oh, ragazzi”, “boni”, e via
apostrofando. Che non è linguaggio da sedi istituzionali ma da bar o da stadio.
La batosta avuta non si capisce
se non si tengono in considerazione anche questi elementi, che saranno pure
marginali ma servono a capire l’uomo. Si racconta che ad Achille Starace Lecce,
che pure era la sua città e si era in regime fascista, non perdonò mai
l’essersi presentato in pubblico col frustino in mano.
Naturalmente ce ne sono altri, di
motivi, che spiegano la sconfitta di Renzi, innegabili come l’aria che
respiriamo. Primo, la sua nomina, ovvero la sua investitura, avvenuta secondo
modalità feudali, da parte di Napolitano. Secondo, un parlamento considerato “illegale”
perché votato con una legge incostituzionale (e qui le virgolette non c’entrano!).
Terzo, il mettere continuamente il voto di fiducia per far passare leggi non
condivise nemmeno dal suo stesso partito. Quarto, la spregiudicatezza nel
violare intese con gli alleati. Quinto, il fallimento delle sue riforme,
proposte come fiori all’occhiello. Sesto, la prepotenza di sbattere fuori dalle
commissioni parlamentari quelli che non gli erano ubbidienti e i direttori di
testate giornalistiche non in linea. Il caso de Bortoli in testa. Si fa male a
non parlare. In Italia oltre al linguaggio, c’è il silenzio politicamente
corretto. Quello dei giornalisti è reticenza.
Nei giorni di consultazioni da
parte del Presidente della Repubblica, lui ne ha fatte altre in parallelo da
Palazzo Chigi, poco curandosi di apparire quanto meno irriguardoso. Se potesse
rottamare Mattarella, forse voluto da Napolitano, di sicuro lo farebbe.
Ora, se non vuole che la gente lo
fischi e lo spernacchi per la strada, deve uscire di scena. Se ne deve stare
buono-buono per un po’ di tempo; deve mettersi a disposizione della causa del
proprio partito e della nazione, con umiltà. Né farebbe male se trovasse il
modo per chiedere scusa a quanti in questi due anni e mezzo ha offeso o
umiliato, incominciando dal popolo italiano.
La situazione che lascia è
davvero ingarbugliata e grave. L’elettorato ha detto chiaramente che vuole
votare, che vuole recuperare finalmente una condizione di paese normale. Resta
tuttavia l’inghippo del sistema elettorale, che non c’è o non è uniforme per
Camera e Senato. E già! Anche qui si nota l’improntitudine di Renzi, ha dato
per certo che il referendum l’avrebbe vinto e che il Senato sarebbe stato
eletto con le Elezioni Regionali. Conclusione: se si dovesse votare coi sistemi
vigenti, sarebbe un’altra porcata. Per fare una legge elettorale uniforme è
necessario fare prima un governo. E qui è il punto. Quanto durerà? Il tempo per
la legge elettorale o per far maturare il vitalizio ai tanti parlamentari che
ci sono nelle due Camere? E se, per non farla sporca, si decidesse di portare
fino a conclusione la legislatura, fino al 2018? Sono domande che i cittadini
si pongono e che forse troveranno una qualche risposta nei prossimi giorni. Sarebbe
auspicabile che la cosiddetta casta desse prova di onestà, facendo una legge
elettorale quanto prima per evitare il fondato sospetto di mischiare interessi
personali e meschini ad interessi generali e nobili.
E Renzi? Resta una risorsa
importante per il Paese, a condizione che faccia tesoro degli errori commessi,
che consideri questo suo primo governo un periodo di tirocinio, di prova per vedere
che cosa è andato bene e che cosa è andato male. Se pensa, come purtroppo
sembra voglia fare, che era nel giusto e che è rimasto vittima di chi non vuole
che in questo Paese cambi mai niente, ovvero del partito grigio della
conservazione, come si diceva una volta, e persevera nei suoi atteggiamenti di parvenu della politica, un incontinente
dello strafare e dello stramostrare, allora il suo destino è segnato.
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