Renzi incalza Letta. Renzi, chi?
Il nuovo segretario del Pd, che significa Partito democratico, versione
riveduta e corretta della Dc, che significa Democrazia cristiana. E la
componente di sinistra? Non prendiamoci per fessi, non esiste più; ci sono
alcuni ex/post comunisti, ma come teste singole.
Abbiamo abbastanza anni – grazie
a Dio! – per ricordarci le diatribe tra i due cavalli di razza, come erano
chiamati Amintore Fanfani e Aldo Moro agli inizi degli anni Sessanta, che erano
anche gli inizi del centro-sinistra. Anche allora uno era al governo e l’altro
faceva il segretario del partito, salvo un periodo in cui Fanfani fu una cosa,
l’altra e l’altra.
Renzi, dunque, tiene sulle spine
Letta: o cambi passo o cambiamo cavallo. Bleffa, perché non conviene a nessuno
né cambiare passo né cambiare cavallo. Renzi al governo col Centro-destra di
Alfano? Non è pensabile. Andare al voto? E con quale legge? Letta passa al
galoppo? Su una strada dissestata finirebbe per rovesciare il carro.
Renzi si agita, non fa altro.
Purtroppo nemmeno Letta si muove. Non mi va di galleggiare – dice – e intanto
galleggia, come un sughero trasportato dalla corrente del fiume ma sempre fermo
sulla stessa acqua.
Cacciari dice che occorre stare
attenti perché Napolitano potrebbe perdere la pazienza e dimettersi da
Presidente della Repubblica. Allora sì – paventa il filosofo – sarebbe il
disastro. Non siamo d’accordo. I filosofi che pensano e scrivono sono cosa ben
diversa dai filosofi che chiacchierano in un talk-show. Probabilmente Cacciari
che scrive rimprovera parole fuori posto al Cacciari che parla. Se Napolitano
dovesse dimettersi o per una qualsiasi altra ragione non dovesse esserci più –
ai cani dicendo! anzi, oggi neppure ai cani – non succederebbe niente; anzi,
potrebbe essere lo strattone provvidenziale per sbrogliare la matassa di lacci
e laccioli.
Ci sono in cantiere diverse
riforme: la legge elettorale, il Senato, il titolo quinto della Costituzione.
Forse giungerà in porto solo la legge elettorale. E sarà tanto. L’abolizione
del Senato pare cosa troppo enorme per essere fatta così alla chetichella,
sotto l’incalzare verboso di un bullo fiorentino. Senza offesa, ormai così è
chiamato.
Quella che si vuol far passare
come riforma del Senato in verità è l’abolizione del Senato. Che fanno
presidenti di regione e sindaci di città metropolitane in assemblea senza un
soldo di indennità, senza un soldo da spendere? Che funzione hanno se non
quella di vedersi per chiacchierare? Probabilmente i nuovi senatori non
andrebbero mai a perder tempo. Che – come diceva il Poeta – a chi più sa più spiace. Una riforma
sarebbe necessaria, ma solo relativa a certe funzioni che ora sono fotocopia
della Camera. Ma come ritagliare uno spazio importante ad un Senato diverso
dall’attuale sarebbe un discorso troppo impegnativo e richiederebbe tempo.
Quanto al titolo quinto della
Costituzione, il percorso da fare è ancora più difficoltoso. Riguarda i
rapporti tra lo Stato e le Regioni; riguarda le Provincie e i Comuni. Una
materia, insomma, che si sa da dove comincia ma non si riesce a vedere dove
finisce. Salvo che non si voglia fare tabula
rasa. Dovrebbero essere abolite le Provincie. Dovrebbero essere ridotti i
Comuni. Anche qui non si capisce perché stravolgere il mondo, forse per non
giungere a nulla. Molto meglio sarebbe un programma più modesto ma più
fattibile, o sostenibile, come è di moda dire. Molto meglio tagliare le
Regioni, che sono state il fallimento del Paese.
Siamo in piena bagarre, per fortuna
senza accorgercene, presi come siamo dalla crisi economica, finanziaria,
occupazionale.
Gli ultimi tre giorni di gennaio
sono stati davvero inusuali, se così la vogliamo mettere, per quanto accaduto
alla Camera. Un po’ tutti si sono accorti che la jena che era in loro ad un
certo punto è emersa e si è fatta vedere nelle forme più stupide e abiette. I
grillini avevano ragione a protestare contro un decreto che teneva in sé
agganciate due cose assolutamente diverse, l’Imu e Bankitalia; ma il modo come
hanno reagito alla ghigliottina parlamentare della Boldrini è stato, sbagliato
è dir poco, semplicemente da palio paesano dove tutti si prendono a pomodori o
ad arance. Certo è che la
Boldrini ha avuto un successone. Per una settimana è stata in
tutte le trasmissioni radio-televisive a raccontare le sue pene. Un successo
che ha fatto invidia a Grasso, il quale per compenso, ha provocato i senatori
per la faccenda di costituire il Senato parte civile contro la compravendita di
senatori di Berlusconi. Non gli è andata molto bene. C’è stato un coro di
dissenso quasi generalizzato. Ma va bene lo stesso. A giorni inizia il
carnevale. E di carnevale ogni minchiata vale, tanto più se viene dalla Camera
o dal Senato. Anche in questo l’uno è la copia dell’altra. Bicameralismo
perfetto. Amen!
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