Ormai si dà per scontata
l’abolizione delle province. Per risparmiare soldi, dicono. Non ne siamo
persuasi, sia che le aboliscano e sia che, abolendole, si risparmi davvero.
Stante la Costituzione
della Repubblica, quella che si dice la più bella del mondo, che i magistrati
per protesta contro chi la voleva in qualche punto ritoccare agitavano come a
Pechino le Guardie Rosse agitavano il libretto di Mao, le province non si
possono toccare (artt. 114, 118, 128 e sgg.).
Ma, per comodità di ragionamento,
mettiamo che le province, con o senza la Costituzione , vengano
abolite. Quanto lo Stato risparmierà dalla loro soppressione, stando a quanto
si dice, è solo questione di cifre; tutti concordano che lo Stato risparmierà.
Abbiamo ragione di dubitare, e non perché abbiamo competenze tali da opporre
cifre a cifre, segni a segni, ma perché non sono credibili quelle accreditate
dai cosiddetti esperti. I quali, molto spesso, fanno i conti a metà, per la
metà che più conviene ai loro ragionamenti.
Nessuno si chiede che cosa accadrebbe
con l’abolizione delle province e quali potrebbero essere le conseguenze
amministrative, politiche ed economiche. La Fornero , ministra del lavoro – per dire! – fece
la riforma delle pensioni e, come il diavolo, fece la pentola ma non il
coperchio, così lei si ritrovò dopo la legge con un problema che ancora grida
vendetta, quello degli esodati. In Italia si inciampa perché prima di
intraprendere un percorso nuovo nessuno esamina i luoghi e le problematiche del
tragitto.
Quanto al risparmio, è da tre
anni che lo Stato per risparmiare non fornisce più i servizi di una volta; e di
benefici non se ne sono visti. Chi non si è accorto che giustizia, sanità,
istruzione, ambiente e paesaggio, trasporti hanno perso efficienza, dopo tagli
di tribunali, ospedali, scuole, soprintendenze, treni, strutture e personale?
Dunque, gli italiani hanno bisogno di prove concrete, che finora nada. Nessuno ha visto una minchia di
niente, direbbero i nostri cugini in loquela siciliani.
In realtà la soppressione delle
province è un’altra allucinazione collettiva, un fare tanto per fare, perché
non si dica che non si fa niente. Si dovrebbero abolire le regioni, invece, non
foss’altro che per quanto i loro governi e le loro rappresentanze istituzionali
hanno dimostrato in questi anni: inefficienza e sperpero di danaro per vana
ostentazione di lusso e di ricchezza e per vergognosi usi e abusi personali.
Non è forse andata avanti lo
stesso l’Italia nei ventidue anni in cui le regioni non c’erano? Anzi, se ben
guardiamo, i guai finanziari italiani hanno le radici negli anni Settanta, dopo
l’istituzione delle regioni. Le risorse accumulate col miracolo economico degli
anni Sessanta sono state sperperate negli anni Settanta. E, invece, di
prendersela con chi è responsabile del disastro, la classe politica, inefficiente
e inefficace, se la prende con le povere province.
Non è questione di campanilismo
o, ad essere onesti, pure. Ci chiediamo noi salentini: che cosa accadrà con
l’abolizione della Provincia di Lecce sul piano di tutte quelle competenze che
ancora oggi sono della provincia, così come previsto dalla Costituzione? Se già
prima le proteste per il baricentrismo, che non deriva da baricentro, ma dalla
tendenza di Bari di accentrare tutto, erano forti e i sostenitori delle
esigenze salentine invocavano l’istituzione della Regione Salento, ora essa è
un’autentica rivendicazione di popolo. Non è più la battaglia elitaria che da
Ennio Bonea a Paolo Pagliaro ha accompagnato le competizioni elettorali e i
movimenti culturali di questi ultimi anni, ma l’irrinunciabile istituzione che
deve rispondere alle necessità politiche, amministrative, economiche,
organizzative di una “regione” che ha di suo specificità nette ed evidenti.
In questi ultimi vent’anni il
Salento è cresciuto, è diventato nel mondo una categoria culturale, e non solo
per la pizzica, che certamente ha creato un alone d’interesse importante, ma
anche per tante altre sue risorse naturali e potenzialità economiche. Eppure,
quando si parla in televisione – ma non c’è da sorprendersi data l’ignoranza di
tanti conduttori – di dialetto pugliese si fa riferimento al barese, che sta al
leccese o al salentino come i cavoli a merenda. Qualcuno si chiederà: contano
tanto la questione linguistica e l’immagine? Sì, bisogna tornare a dare la
giusta importanza anche agli aspetti meno venali e materiali della vita.
Finora la proposta della Regione Salento non ci
aveva convinti più di tanto, anzi ci ha trovati perplessi e a volte anche
critici. Se le province non fossero minacciate da abolizione, continueremmo ad
essere perplessi e critici. Ma ora, davanti al pericolo che effettivamente una
classe politica imbelle e sciagurata, abolisca le province, noi salentini
protestiamoci Regione. Ne abbiamo tutti i diritti e le ragioni.
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