domenica 29 dicembre 2013

Se muore la Provincia di Lecce evviva la Regione Salento

Ormai si dà per scontata l’abolizione delle province. Per risparmiare soldi, dicono. Non ne siamo persuasi, sia che le aboliscano e sia che, abolendole, si risparmi davvero. Stante la Costituzione della Repubblica, quella che si dice la più bella del mondo, che i magistrati per protesta contro chi la voleva in qualche punto ritoccare agitavano come a Pechino le Guardie Rosse agitavano il libretto di Mao, le province non si possono toccare (artt. 114, 118, 128 e sgg.).
La Costituzione non è a convenienza; e, data la sua rigidità, non si presta a manipolazioni pragmatiche: o la si rispetta o non la si rispetta.
Ma, per comodità di ragionamento, mettiamo che le province, con o senza la Costituzione, vengano abolite. Quanto lo Stato risparmierà dalla loro soppressione, stando a quanto si dice, è solo questione di cifre; tutti concordano che lo Stato risparmierà. Abbiamo ragione di dubitare, e non perché abbiamo competenze tali da opporre cifre a cifre, segni a segni, ma perché non sono credibili quelle accreditate dai cosiddetti esperti. I quali, molto spesso, fanno i conti a metà, per la metà che più conviene ai loro ragionamenti.
Nessuno si chiede che cosa accadrebbe con l’abolizione delle province e quali potrebbero essere le conseguenze amministrative, politiche ed economiche. La Fornero, ministra del lavoro – per dire! – fece la riforma delle pensioni e, come il diavolo, fece la pentola ma non il coperchio, così lei si ritrovò dopo la legge con un problema che ancora grida vendetta, quello degli esodati. In Italia si inciampa perché prima di intraprendere un percorso nuovo nessuno esamina i luoghi e le problematiche del tragitto.
Quanto al risparmio, è da tre anni che lo Stato per risparmiare non fornisce più i servizi di una volta; e di benefici non se ne sono visti. Chi non si è accorto che giustizia, sanità, istruzione, ambiente e paesaggio, trasporti hanno perso efficienza, dopo tagli di tribunali, ospedali, scuole, soprintendenze, treni, strutture e personale? Dunque, gli italiani hanno bisogno di prove concrete, che finora nada. Nessuno ha visto una minchia di niente, direbbero i nostri cugini in loquela siciliani.
In realtà la soppressione delle province è un’altra allucinazione collettiva, un fare tanto per fare, perché non si dica che non si fa niente. Si dovrebbero abolire le regioni, invece, non foss’altro che per quanto i loro governi e le loro rappresentanze istituzionali hanno dimostrato in questi anni: inefficienza e sperpero di danaro per vana ostentazione di lusso e di ricchezza e per vergognosi usi e abusi personali.
Non è forse andata avanti lo stesso l’Italia nei ventidue anni in cui le regioni non c’erano? Anzi, se ben guardiamo, i guai finanziari italiani hanno le radici negli anni Settanta, dopo l’istituzione delle regioni. Le risorse accumulate col miracolo economico degli anni Sessanta sono state sperperate negli anni Settanta. E, invece, di prendersela con chi è responsabile del disastro, la classe politica, inefficiente e inefficace, se la prende con le povere province.
Non è questione di campanilismo o, ad essere onesti, pure. Ci chiediamo noi salentini: che cosa accadrà con l’abolizione della Provincia di Lecce sul piano di tutte quelle competenze che ancora oggi sono della provincia, così come previsto dalla Costituzione? Se già prima le proteste per il baricentrismo, che non deriva da baricentro, ma dalla tendenza di Bari di accentrare tutto, erano forti e i sostenitori delle esigenze salentine invocavano l’istituzione della Regione Salento, ora essa è un’autentica rivendicazione di popolo. Non è più la battaglia elitaria che da Ennio Bonea a Paolo Pagliaro ha accompagnato le competizioni elettorali e i movimenti culturali di questi ultimi anni, ma l’irrinunciabile istituzione che deve rispondere alle necessità politiche, amministrative, economiche, organizzative di una “regione” che ha di suo specificità nette ed evidenti.
In questi ultimi vent’anni il Salento è cresciuto, è diventato nel mondo una categoria culturale, e non solo per la pizzica, che certamente ha creato un alone d’interesse importante, ma anche per tante altre sue risorse naturali e potenzialità economiche. Eppure, quando si parla in televisione – ma non c’è da sorprendersi data l’ignoranza di tanti conduttori – di dialetto pugliese si fa riferimento al barese, che sta al leccese o al salentino come i cavoli a merenda. Qualcuno si chiederà: contano tanto la questione linguistica e l’immagine? Sì, bisogna tornare a dare la giusta importanza anche agli aspetti meno venali e materiali della vita.

Finora  la proposta della Regione Salento non ci aveva convinti più di tanto, anzi ci ha trovati perplessi e a volte anche critici. Se le province non fossero minacciate da abolizione, continueremmo ad essere perplessi e critici. Ma ora, davanti al pericolo che effettivamente una classe politica imbelle e sciagurata, abolisca le province, noi salentini protestiamoci Regione. Ne abbiamo tutti i diritti e le ragioni.

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