domenica 13 ottobre 2019

Il governo del come fare i soldi



Tra le stravaganti ragioni che avrebbero indotto Matteo Salvini a farsi protagonista di una delle meno comprensibili crisi di governo che si siano mai verificate in Italia ce n’è una che lascia ancor più perplessi. Si è detto che Salvini ha avuto paura di affrontare la manovra economica di fine 2019, annunciata da tutti come il momento della verità di un governo, 5S-Lega, che aveva speso moltissimo per Quota 100 e Reddito di Cittadinanza ed ora non sapeva come trovare 23mld per evitare l’aumento dell’Iva. Salvini, insomma, se la sarebbe fatta sotto e avrebbe preferito filarsela per non affrontare una situazione che sembrava proibitiva.
Francamente è una spiegazione troppo infantile e spicciativa, benché tra i suoi sostenitori ci fosse uno come Massimo Cacciari, fine pensatore ed esperto amministratore, essendo stato sindaco di Venezia. Intanto il governo non era formato dal solo Salvini e del successo o dell’insuccesso della manovra ne avrebbero risposto collegialmente. E poi, davvero il governo Conte “uno” sarebbe stato meno abile del governo Conte “due”? Ne dubitiamo.
Giuseppe Conte, appena dopo il varo del suo nuovo governo, quando ancora aveva il vestito del precedente, è uscito in televisione e ha annunciato di aver trovato i 23mld di euro per scongiurare l’aumento dell’Iva. Era come uno che si era allontanato per cercare un oggetto smarrito e, avendolo ritrovato, lo annunciava trionfante e felice. Eureka!
E’ venuto spontaneo di pensare: ma dove cazzo li ha trovati 23mld, dove li aveva? In realtà i soldi ancora non esistevano, esistevano i rubinetti dai quali farli scorrere. Da che mondo è mondo, monarchie o repubbliche, dittatori o democraticissimi presidenti, quando lo Stato ha bisogno di soldi i suoi responsabili ricorrono alle tasse, aumentando le vecchie e inventandosene di nuove, fino alla patrimoniale, che di tutte è la più diretta e odiosa. Essa, infatti, colpisce il patrimonio immobiliare e finanziario dei cittadini, indipendentemente da quanto essi guadagnino col proprio lavoro. Lo fa in maniera brutale, semplicemente prendendosene una parte in percentuale, come fanno rapinatori e scippatori. I politici sanno che parlare di patrimoniale non conviene per non perdere il consenso dei ceti medi, quelli che nel bene e nel male in Italia sono elettoralmente decisivi. E quando non possono fare a meno dal ricorrerivi la chiamano diversamente. In Italia, per esempio, di patrimoniali ce ne sono già due, c’è l’Imu e c’è l’imposta di bollo.  
Dove Conte avrebbe dunque trovato i 23mld per scongiurare l’aumento dell’Iva? Probabilmente i suoi esperti ricercatori di soldi “nascosti” erano già a lavoro per mettere insieme se non proprio tutti i 23mld almeno la gran parte, in modo da potergli far dire vittorioso: ce l’abbiamo fatta. In realtà questi soldi non erano in nessun cassetto ma erano nei rubinetti dai quali farli scorrere, ovvero le tasche degli italiani. Ci sono imposte e imposte, ci sono tasse e tasse. Il non aver aumentato l’Irpef e alcune altre tasse più immediatamente percebili non significa aver rinunciato a tutta una serie di prelievi, che altro non sono che le inflazionatissime mani nelle tasche dei cittadini. Se ne sono sentite tante in proposito: tasse sulle merendine, tasse sui telefonini, tasse sui biglietti d’aereo, aumento del prelievo fiscale dalle vincite dei giochi di Stato e via cercando e ricercando. Alla fine i cittadini saranno tartassati; e quel che non pagano a olio pagano a grano, secondo un vecchio modo di dire popolare.
Si dirà: sempre meglio che l’aumento dell’Iva, che avrebbe provocato guasti più seri all’economia. Sì, ma non dite, signori politici, con insistenza psittacistica, “non abbiamo messo le mani nelle tasche degli italiani”, perché dirlo non è solo una bugia ma un’offesa all’intelligenza della gente. Il cittadino fa presto ad accorgersi che i conti alla fine non quadrano.
Il guaio è che queste tasse non saranno sufficienti a risolvere il problema, perché comunque sempre di danaro promesso si tratta. E’ come una volta facevano certi agricoltori che compravano e s’indebitavano promettendo ai creditori che avrebbero pagato alla raccolta. Lo Stato non ha i soldi, prevede che li possa raccogliere. Il governo, perciò, ha bisogno di avere credito in Europa; ha bisogno cioè di poter pagare non coi soldi ma con altre cambiali, probabilmente da rinnovare alla scadenza. Il vento europeo ora volge in suo favore, sono tutti di “famiglia” sinistrorsa. Ci si augura che quel vento possa volgere anche in favore dei cittadini, anche di quelli incazzatissimi con Salvini.

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