sabato 11 giugno 2022

Referendum giustizia: chi ci capisce qualcosa...

Domenica, 12 giugno, gli italiani sono chiamati a referendum sulla giustizia. Giustizia sì o giustizia no? Macché! Quesiti quasi incomprensibili, dalle risposte varie e contraddittorie, aventi come costante una posizione contro la magistratura, colpevole a volte di fare un uso improprio ed eccessivo di alcune norme, che, prese in sé, sono delle buone, ottime norme. Sono cinque i quesiti a cui dovranno dare una risposta con un sì o con un no. Da quanto si è potuto capire dai vari dibattiti dedicati, in verità pochi e solo nell’ultima settimana, la materia è difficile e controversa e richiederebbe una ben diversa conoscenza delle problematiche. L’elettore medio non è in condizioni di capire le ragioni dei quesiti né la bontà delle tesi per l’abrogazione o meno delle norme esistenti. Di qui due atteggiamenti di fondo: o non votare proprio per non far raggiungere il quorum, posizione questa dei contrari ai referendum voluti dalla destra e dai radicali, o votare a tutti e cinque i quesiti con un sì politico, come suggerito dalle forze politiche proponenti. L’impressione diffusa è che questi referendum siano del tutto inutili, anche perché è in corso di approvazione la riforma della Ministra della Giustizia Marta Cartabia, che affronta e risolve taluni di questi quesiti. Cerchiamo lo stesso di dare un contributo di chiarimento, cercando di entrare nel merito dei quesiti, ma senza suggerire risposte. Da persone libere ci rivolgiamo a persone libere. Nel primo, scheda rossa, si chiede di abrogare la legge Severino, quella per la quale Silvio Berlusconi decadde da Senatore. Questa legge vuole che chi è condannato in primo grado per reati gravi sia incandidabile e se già eletto decada dalla carica. Chi si oppone, si appella alla presunzione di innocenza dell’accusato fino ai tre gradi di giudizio, con la condanna passata in giudicato. Sarebbe pure giusto, se non che prima che si arrivi a sentenza definitiva in Italia passano molti anni e può capitare che la lentezza della giustizia italiana vanifichi la norma. I garantisti dicono sì all’abrogazione; i giustizialisti dicono no. Nel secondo quesito, scheda arancione, si chiede di abrogare alcune norme in materia di misure cautelari, nella fattispecie quella che consente al giudice di tenere in carcere o agli arresti domiciliari l’accusato che a suo giudizio potrebbe, se libero, reiterare il reato per il quale è sotto processo. Qui, a prescindere dalla bontà della norma, si denuncia un abuso del giudice, il quale, a volte, tiene l’accusato in carcere o agli arresti domiciliari ricorrendo al pericolo della reiterazione solo perché non ha un motivo specifico o per costringere l’accusato a “parlare”. Il rischio qui è che si potrebbe abrogare una norma in sé valida per un modo eccessivo e anomalo di applicarla. La norma è una, poi ci son giudici e giudici. Dovrebbe prevalere il buonsenso. Nel terzo quesito, scheda gialla, si chiede di abrogare la norma che consente ad un magistrato di passare dalla magistratura inquirente (pubblico ministero) a quella giudicante (giudice) nel corso della sua carriera, perché si ritiene che in giudizio la situazione è troppo squilibrata a danno della difesa dell’accusato, appartenendo pubblico ministero e giudice alla medesima categoria (magistratura). Per eliminare lo squilibrio si vorrebbe l’abrogazione della norma dell’interscambiabilità delle carriere: o si è sempre magistrati giudicanti o si è sempre magistrati inquirenti. Il giudice sarebbe sempre terzo in giudizio, equidistante rispetto ad accusa (pubblico ministero) e difesa (avvocato). Nel quarto quesito, scheda grigia, si chiede di abrogare la norma che impedisce agli avvocati di valutare i magistrati nell’esercizio delle loro funzioni. Qui il cittadino elettore è meno coinvolto rispetto ai primi tre quesiti e non avrebbe motivazioni a dare una risposta secca con un sì o con un no, salvo che non opti secondo orientamente politico, fidandosi dei dirigenti del suo partito. Nel quinto quesito, scheda verde, si chiede di abrogare la normativa che riguarda la nomina a membro del Consiglio Superiore della Magistratura. Lo scopo è di impedire il formarsi delle correnti in seno al Consiglio, come è accaduto fino ad oggi, con le conseguenze che il caso Palamara ha evidenziato. Anche in questo quesito il cittadino elettore è poco coinvolto, trattandosi di materia legata alle dinamiche interne all’ordine giudiziario. Ma, a riflettere, dei cinque quesiti è il più importante, perché da quel che è emerso – il caso Palamara, appunto! – il Consiglio Superiore della Magistratura è il centro dove la giustizia diventa questione di uomini, di pericolose alleanze e di lobbie di potere, qualcosa che non è difficile accostare ad altre assai note “cupole”.

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