Il 18 ottobre dell’anno scorso se
ne andava Donato Valli, nella sua Tricase, dove era tornato a vivere da qualche
tempo.
Lo conobbi al mio primo anno
d’Università, quando era fra gli assistenti di Aldo Vallone con Ennio Bonea e
Luigi Manna e lavorava alla Biblioteca centrale dell’Università, poi con
insegnamento di Bibliografia e Biblioteconomia. La sua ambizione era la
cattedra di italianistica, che avrebbe conseguito un po’ di anni dopo.
All’epoca aveva già prodotto importanti saggi su Girolamo Comi, Luigi
Fallacara, Clemente Rebora, Umberto Saba e Piero Bigongiari, raccolti nel
volume Saggi sul Novecento poetico
italiano in una collana diretta da Aldo Vallone e Mario Marti. Un libro che
Vallone ci avrebbe fatto studiare per l’esame di Letteratura Moderna e
Contemporanea.
Per la malattia che lo aveva
colpito negli ultimi anni aveva un po’ abituato l’ambiente culturale salentino
e gli amici alla sua assenza da eventi e iniziative, nelle quali per decenni
era stato protagonista assoluto. Mario Spedicato aveva cercato di coinvolgerlo nelle
iniziative della Società di Storia Patria, senza mai riuscire a vincere le
resistenze della signora Enza, che intorno al suo Donato aveva steso una rete
di solida protezione. E, tuttavia, la notizia della sua morte destò in tutti
dolore e commozione.
Valli è stato il dominus della cultura salentina per
circa un cinquantennio, dagli anni Settanta del Novecento fino agli inizi degli
anni Dieci del Duemila. Dalla Biblioteca provinciale alla cattedra
universitaria di Letteratura Moderna e Contemporanea, dalla codirezione de L’Albero dell’Accademia Salentina di
Lucugnano al Rettorato, alla Biblioteca Salentina di Cultura, alla Società di
Storia Patria, attraverso studi critici pubblicati con editori locali e
nazionali, sui più importanti autori italiani, convegni di studio, conferenze,
presentazioni di libri e di mostre, non solo nello specifico della critica
letteraria. Ne sono testimonianza i tre volumi Aria di casa, in cui ricorrono in gran parte i suoi interventi per
così dire extra moenia, per indicare
scritti e discorsi fatti per le più varie circostanze fuori dell’ufficialità
accademica. Un esempio di docente universitario aperto alla società e alle
pubbliche istituzioni; un signore ed un amico che non sapeva mai dire di no.
Ebbe per sodali e collaboratori
studiosi di altissima elevatura, da Aldo Vallone a Mario Marti, da Oreste Macrì
all’insubre Maria Corti, da Nicola G. De Donno a – negli ultimi anni – Antonio Lucio Giannone
e Carlo Alberto Augieri.
Resta a tutt’oggi il critico e lo
storico di Girolamo Comi per eccellenza, di cui ha curato l’opera poetica e di
cui custodiva il Diario di Casa, che
avrebbe dovuto pubblicare cinquant’anni dopo la di lui morte, a partire da quest’anno,
essendo morto il poeta-barone nel 1968.
Valli è stato un esempio di
intellettuale integralisticamente organico, avendo volto la sua azione
culturale alla promozione della sua terra, valorizzandone risorse umane e
materiali. Un’opera, che ha attraversato il suo impegno di critico letterario
ed è andata oltre. Tre i punti fondamentali del suo straordinario vissuto: la
produzione critica, il Rettorato decennale, nel corso del quale l’Università si
è arricchita di nuove facoltà, uscendo da una fase di formazione, e la sua
disponibilità ad offrire il suo contributo a quanti glielo chiedessero, sia per
una presentazione di libro, sia per l’organizzazione di un evento.
Se avesse avuto anche maneggio
politico – era cattolico e dunque democristiano – avrebbe potuto raggiungere
traguardi assai più alti, a cui forse lui non voleva neppure arrivare. La
politica, infatti, la viveva con molto disagio, ma allo stesso tempo ne era
attratto, forse per il ricco ambiente tricasino in cui viveva, dove c’erano i Codacci
Pisanelli e i De Benedetto, l’uno ministro della Repubblica, l’altro presidente
della Provincia. La politica l’avrebbe vissuta anche con sofferenza estrema,
per le note vicissitudini giudiziarie nelle quali si ritrovò per la sua buona
fede. In una lettera, che non cito testualmente per non perdere tempo a
trovarla, poiché non ricordo l’anno, confessò che le scorrettezze in politica
non sono solo di chi le compie ma anche di chi le vede e non le denuncia; e si
doleva di non averlo fatto quando avrebbe dovuto. Ma era anche un uomo pratico
e sapeva che nella vita non si può inciampare ad ogni pietra.
Aveva un carattere che appariva
burbero. Solo un meccanismo di difesa, il suo. Dietro la scorza c’era una
persona cordialissima e profondamente umana, che sapeva apprezzare anche quello
che non condivideva se gli riconosceva giustezza di propositi e di ragioni.
Il suo ricordo, unitamente a
quello di tanti altri dell’ambiente, Vallone, Politi, Marti, Macrì, Rizzo,
Donato Moro, De Donno, Pisanò, ci richiama ad una realtà, quella delle forme di
cultura letteraria, che non è più la stessa di prima. Gli studi letterari
stanno cedendo terreno agli studi storiografici, sociologici, politici ed
economici. L’irruzione invasiva dei socials e di altre tecnologie della comunicazione
ha cambiato il costume, i rapporti, gli interessi. La cultura letteraria si è
ristretta sempre più in una ridotta, in cui i pochi sopravvissuti vivono come
nella Fortezza Bastiani. La percezione è che la cultura letteraria non è più
l’élite dell’intellighenzia, ma una forma residuale di un mondo che sta
precipitosamente cambiando. Forse il Salento non avrà più una stagione
letteraria come quella che ha caratterizzato il Novecento. Ma le sue figure più
imponenti, e fra queste Donato Valli, restano esempi e richiami di difficile
elusione e lasciano ben sperare.
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