domenica 25 marzo 2012

Monti e i prossimi cazzi amari

Sull’accordo sul mercato del lavoro tra governo e parti sociali semplicemente non c’è accordo. Basta con la cultura consociativa – ha detto Monti – nessuno può mettere il veto. Non è soltanto la Camusso, però, la trinariciuta segretaria generale della Cgil, che si oppone, ma tutta la sinistra. Pier Luigi Bersani, con cui Monti ha avuto una telefonata dallo stesso definita “difficile”, a “Porta a Porta” di Bruno Vespa, mercoledì sera, 21 marzo, ha detto che Monti con lui non può fare come ha fatto coi sindacati “prendere o lasciare”, anche se non ha detto che nell’eventualità dovesse farlo lui romperebbe. Si dice per dire, allora. Monti gli può toccare pure il naso, che tra ragazzi era l’estremo atto di sfida prima di passare alle “mazzate”. Monti comunque è avvisato. E – come si dice – uomo avvisato mezzo salvato. A sinistra sono proprio incazzati, e lui lo sa. E lo sa anche Napolitano, che si è speso perché si trovasse l’accordo. Gli interventi del Capo dello Stato, tosti all’inizio e lacrimevoli alla fine, non sono piaciuti a sinistra. Il capogruppo dell’IdV Belisario ha detto che “il monito del capo dello Stato rischia di diventare un ritornello stonato se rivolto solo ai sindacati e non anche al governo”. Per il segretario di Rifondazione comunista Ferrero le parole di Napolitano sono “gravi e fuori luogo” e ha perfino richiamato fantasmi del passato come la crisi del ’29 che spianò la strada al nazismo. Il sindacalista della Cgil Cremaschi ha definito l’intervento di Napolitano “profondamente sbagliato nei toni e nel linguaggio” dato che lui “non è un monarca”. Oliviero Diliberto si è fatto riprendere sorridente accanto ad una donna che indossava una maglietta su cui era scritto “Fornero al cimitero”. Una cosa che, complice la rima, riporta agli anni di piombo, quando sui muri si leggeva “camerata, basco nero, il tuo posto è al cimitero”.
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In soccorso di Monti non c’è solo Napolitano. Il PdL si è mobilitato ed è corso coi suoi pezzi grossi a proteggere sia Monti che Napolitano dagli attacchi della sinistra. Alfano, Cicchitto, Schifani si sono seriamente preoccupati. La facciata è la difesa di Napolitano, l’interno è la propria posizione politica. Il PdL, infatti, è sulle posizioni del governo e se in seguito alla levata di scudi della sinistra Monti dovesse cedere ne andrebbe di mezzo la sua autorevolezza. Apparirebbe chiaro che a salvare i lavoratori dal diktat di Monti e della Fornero sarebbe stata la sinistra. Per il PdL sarebbe una sconfitta intollerabile. Sulla questione del lavoro si stanno delineando i due schieramenti di sempre: da una parte il centrodestra che vuol far apparire il governo Monti la prosecuzione del governo Berlusconi e il centrosinistra che vuole marcarne la profonda discontinuità; in mezzo il terzo polo, che, con Casini si sbraccia in favore di Monti, e con Fini svolge il ruolo del super partes, arrivando a stigmatizzare il comportamento dell’esecutivo perché continua a non mostrare sensibilità verso le prerogative del Parlamento.
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In buona sostanza che cosa si contesta di questo accordo o disaccordo sul mercato del lavoro? La licenziabilità dei lavoratori. Si ammette che la modifica dell’art. 18 contiene importanti novità, accettabilissime, ma, secondo la Cgil e la sinistra, sulla licenziabilità contiene anche una trappola per i lavoratori. Va bene che valga per tutti, statali esclusi; va bene l’apprendistato che diventa contratto di ingresso dei giovani al lavoro; vanno bene i nuovi ammortizzatori; va bene il divieto delle dimissioni in bianco delle donne. Non va bene il licenziamento per motivi economici, che potrebbe diventare il motivo prevalente per sbarazzarsi di un dipendente fastidioso e sgradito. Il licenziamento per discriminazione, se provata, obbligherebbe il datore di lavoro al reintegro del licenziato. Per il licenziamento per motivi disciplinari decide il giudice, che può disporre il reintegro o un’indennità da un minimo di 15 ad un massimo di 27 mensilità. Il licenziamento per motivi economici, comporta solo l’indennità senz’altro. Per le sinistre c’è il rischio che ogni licenziamento sia fatto passare per motivi economici. Ma il vero punto del contrasto è il rovesciamento dei rapporti di forza tra il lavoro e l’impresa. Secondo le sinistre, così modificato l’articolo 18 altererebbe l’equilibrio in favore dell’impresa. Tutto questo appare assai più grave, dopo tutta una serie di provvedimenti (leggi pensioni) approvata in danno dei lavoratori. Si coglie, insomma, una sorta di politica reazionaria da parte del governo che trova giustificazione nella grave condizione di crisi finanziaria da cui si sta cercando di uscire.
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Non v’è dubbio che è in corso una fase reazionaria. Come definirla? Si dice che oggi non ci sono le condizioni che c’erano quando l’art.18 fu introdotto (Statuto dei Lavoratori, 1970); e si dice il giusto. Allora c’era il sole e il bel tempo. Oggi piove, c’è il vento e fa freddo. Vogliamo cautelarci? Ciò non significa che bisogna chiamare le cose con nomi diversi dalla condivisa nomenclatura per non farle capire alla gente. Un cappotto è un cappotto, non può essere un accappatoio. Il governo Monti pone dei problemi. Di fronte a quanto sta avvenendo e davanti alla forbice tra quello che dice la propaganda e quello che mostra la realtà, sorgono almeno due interrogativi. Il primo: fino a che punto il clima di paura di fallimento, alla greca per intenderci, è giustificato? Non è che per caso si sta facendo come gli antichi re che facevano dire agli aruspici e agli indovini ciò che loro avevano già deciso di fare, per far passare le loro decisioni come volere degli dei? Secondo: ma è poi vero che tanti provvedimenti impopolari e contropopolari e in danno della gente sortiranno effetti positivi e quando? Ci sono generazioni, nate tra gli anni Ottanta e i Novanta del secolo scorso, oggi con più di trent’anni, che stanno per essere bruciate: senza lavoro e senza prospettive di pensione. Sono come condannate alla morte sociale. E’ lecito o no chiedersi: che cosa sta facendo il governo per queste generazioni? Nulla, non sta facendo nulla. Si dice: stiamo lavorando per i nipoti! Ma se pure fosse vero, sarebbe una rassicurazione accettabile? Qui, intanto, c’è gente che sta male; e ancora il peggio deve venire. Ancora le misure adottate dal governo non hanno fatto sentire i loro morsi sulle famiglie, quando accadrà, saranno cazzi amari.
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La settimana 19-24 marzo si chiude con una sorta di sfida all’OK Corral che è il Parlamento. Monti è deciso a non modificare il suo testo di legge sul mercato del lavoro. Il “salvo intese” non è assimilabile al “Salva Italia”, è riferito al rapporto del governo col Capo dello Stato. Lo ha detto a Cernobbio: “Sulla riforma non accetto incursioni”. Le critiche che gli rivolgono dalla Lega lo rendono più determinato e reattivo. Ha risposto con durezza a Maroni e per Maroni a Tremonti, il quale aveva sempre sostenuto che l’economia italiana stava meglio perfino della tedesca. Un Monti, insomma, più che mai deciso. Il suo ragionamento è semplice e lapidario, a conferma che la sua è una “dittatura”: mi hanno chiamato per sanare il Paese, questo comporta misure che vadano nella direzione dell’interesse generale; la concertazione, i compromessi hanno rovinato il Paese. Ipse dixit!

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