domenica 11 marzo 2012

Monti, il riccio della politica

Tra volpi e leoni – diceva Niccolò Machiavelli – il principe deve essere volpe e leone. Chiara l’antifona. La politica è un luogo abitato da volpi e da leoni, il buon politico deve essere indifferentemente, a seconda della circostanza, ora volpe ed ora leone. Con la democrazia il bestiario politico si è affollato. Mario Monti, per esempio, che bestia è? Sembra fuori dalla visione politica del Machiavelli, dato che lui non solo rifiuta la categoria del politico – la mamma mi raccomandò di tenermi lontano dalla politica, io sono un tecnico – ma per diventare Capo del Governo, massima espressione del potere politico, non ha avuto bisogno di compiere atti tali da ricondurlo ad una delle due categorie politiche machiavelliane: l’astuzia e la forza. Anzi Napolitano, lo ha nominato proprio per imporre una tregua alle numerosissime volpi e ai numerosissimi leoni che avevano trasformato la politica in un circo equestre impazzito. Monti ha tutte le caratteristiche del riccio, che con lui entra nel bestiario politico. Lo dimostra tutte le volte che viene in qualche modo minacciato, direttamente (Bossi lo chiama traditore del Nord e gli dice che il Nord gli farà la “festa”) o indirettamente (il movimento no tav gli replica di non essere affatto intimidito dalle sue dichiarazioni). Allora si chiude in quel suo essere “tecnico” e mette fuori gli aculei, ossia le competenze tecniche, e si chiude a riccio. Ma la politica oggi si è enormemente complicata, anche i ricci potrebbero avere i loro problemi.
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“Credo che il nostro Paese richieda per un lungo periodo, almeno per l’intera prossima legislatura, un governo «tipo Monti»”. Dixit Michele Salvati sul “Corriere della Sera” di lunedì, 5 marzo. Ora si può essere anche più realisti del re, ma non si può essere più Salvati – con tutto il rispetto – di Salvati. Secondo lui Monti dovrebbe durare fino al 2018, perché c’è bisogno di “Un disegno che, nelle sue linee essenziali, non è né di destra, né di sinistra, che non riguarda la democrazia, ma le precondizioni della democrazia, quegli orientamenti comunemente condivisi che sono necessari affinché la dialettica tra i partiti possa svolgersi senza esasperazioni dannose” (Una seconda ricostruzione). Come se un Paese fosse un calciatore di pallone che si è rotto il menisco e ha bisogno di un certo periodo per rieducare l’arto! Secondo Salvati bisognerebbe ricostruire i menischi d’Italia, che se li è rotti. A leggere certe cose ci sarebbe da fare l’elogio dell’analfabetismo. Non si vuole capire che tutto nella realtà è come è e diversamente non potrebbe essere. Il grande Hegel, che lo ha spiegato molto bene, è odiato perché non confutato. Così in Italia la democrazia è come è stata, è come è; se non ci piace lo spettacolo, cambiamo registro: affidiamoci a un Monti, come ci siamo affidati. E poi dicono che il consenso a Mussolini e al fascismo non era autentico!
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Invece Monti deve stare attento a non toccare i fili dell’alta tensione politica. Alfano gli ha fatto saltare il vertice con PdL, Pd e UdC di mercoledì, 7 marzo, in cui si sarebbe dovuto parlare tra l’altro di giustizia e Rai. Alt – ha detto il segretario del PdL – finché si parla di economia, sviluppo e lavoro va bene; giustizia e Rai sono di competenza dei partiti e del Parlamento. Nulla da eccepire alle ragioni di Alfano. Il governo Monti tenta di allargarsi. Lo fa sua sponte o perché è indotto da equilibri politici? Io dico la seconda. Il Pd non è contento del governo Monti, che in buona sostanza sta facendo – e lo dice pure – quello che il governo Berlusconi diceva di voler fare e avrebbe fatto se glielo avessero consentito alleati (Tremonti più Lega) e avversari esagitati (magistrati, informazione in primis). La base e i quadri del Pd si agitano e allora per equilibrare la bilancia (tanto al PdL, tanto al Pd), ecco che nel vertice di cui sopra si deve parlare anche di giustizia e Rai, dopo che c’era stato già un abboccamento informale dei rappresentanti di Pd e UdC con la ministra di giustizia Severino. Marcia indietro, niente più vertice. Il ministro della cooperazione Andrea Riccardi ha avuto parole dure: “ecco la politica che mi schifo”; poi ha chiesto scusa. Ma l’incidente non è senza conseguenze. Il governo Monti non entri nella stanza della politica o avrà brutte sorprese!
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E tre! Dopo il caso Cesare Battisti, rifiutatoci dal Brasile perché in Italia non c’è giustizia seria e si perseguitano i dissidenti politici (queste le ragioni del Presidente Lula e del suo successore); e dopo il caso dei due marò del Reggimento San Marco antipirateria, imprigionati in India perché avrebbero ucciso due pescatori indiani; ecco il terzo caso di schiaffi all’Italia in mondovisione: l’ingegnere Franco Lamolinara rapito in Nigeria insieme con un collega inglese è stato ucciso nel corso di un blitz ordinato dal governo inglese per liberare gli ostaggi, di cui non si era dato avviso al nostro governo. Facciamo pure le nostre rimostranze. Che altro dovremmo fare? La guerra al Brasile, all’India e alla Nigeria? Rompere i rapporti diplomatici con l’Inghilterra? Ma gli schiaffi sono schiaffi e riceverli sotto gli occhi del mondo intero non è cosa. Quel che gli italiani non vogliono capire è che il rispetto degli altri è qualcosa che si matura nel tempo, attraverso comportamenti culturali. Se si continua a dare al mondo intero spettacoli di insulso antitalianismo ad ogni piè sospinto, come si può pretendere che gli altri ti rispettino? Gli italiani che il mondo conosce sono quelli dei film di Mario Monicelli, esibiti come pavidi e cialtroni; della magistratura democratica che sputtana il Capo del Governo senza mai riuscire a condannarlo; delle pagine di storia vergognose, come l’8 settembre e gli incredibili massacri di Cefalonia e Rodi, di cui meniamo vanto perfino. Ecco, allora, che l’Italia agli schiaffi che riceve non può andare oltre un ahi!, magari ripetuto o prolungato.
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La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza che condannava il Sen. Marcello Dell’Utri a sette anni di reclusione. Non c’erano sufficienti prove per condannare, il processo va rifatto. Ecco, qui mi va di dire che “per fortuna che Monti c’è”; se ci fosse stato Silvio la canea dei condannaioli a prescindere avrebbero inscenato un altro “se non ora, quando?”, con conseguente sputtanamento internazionale. Difatti i soliti Flores d’Arcais, Travaglio, Di Pietro e “processionisti della condanna prima di tutto” hanno incominciato a inveire contro la sentenza della Cassazione. Non erano quelli che dicevano che le sentenze vanno rispettate? Sì, sì, certo; ma solo quando vanno nella direzione dei loro desiderata. Non so se Dell’Utri è colpevole o innocente; ma mi viene di fare due obiezioni. La prima è che la giustizia deve condannare quando ha le prove, anche se è convinta “di suo” della colpevolezza dell’imputato. La seconda è che il reato di concorso esterno in associazione mafiosa è come la plastilina: lo puoi provare e lo puoi confutare quando vuoi e come vuoi, facendogli assumere tutte le forme possibili e immaginabili. Solo chi non conosce la vita sociale nel Mezzogiorno d’Italia può considerare prova di colpevolezza una stretta di mano o un abbraccio, la partecipazione ad una cerimonia di nozze o l’offerta di un caffè in un bar. Nel Mezzogiorno d’Italia i mafiosi possono essere tutti e nessuno, li puoi incontrare perfino al cimitero, in ospedale o in chiesa. La vita sociale nel Sud è un rischio di mafia. Che facciamo? Stiamo in clausura oggi per evitare la reclusione domani?

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