domenica 27 ottobre 2013

Giustizia: la riforma impedita


In una democrazia i fattori di difesa dalla degenerazione dovrebbero prima di tutto esserci e poi essere efficienti ed efficaci. In genere questi fattori sono i cittadini che per intelligenza, studio ed esperienza allertano le istituzioni quando è superato il livello di guardia della tenuta democratica. In Italia questi fattori ci sono; purtroppo non sono considerati. Oggi non valgono neppure quanto valsero le oche del Campidoglio, le quali, starnazzando, permisero alle sentinelle romane di respingere i Galli di Brenno, quello del “Guai ai vinti”, che gli scolaretti di una volta già conoscevano benissimo alle Elementari.
Cosa vanno dicendo queste volontarie guardie disarmate della democrazia? Che c’è un gravissimo problema, quello di un potere dello Stato, la magistratura, che di fatto ha esautorato gli altri poteri. «La dilatazione del potere discrezionale della magistratura, diventata, con le sue sentenze in nome del popolo, il nuovo “sovrano assoluto”; che ha spogliato, di fatto, il Parlamento dell’esercizio della sovranità popolare e vanifica il potere del governo di gestire il Paese; unifica in sé tutti e tre i poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) che dovrebbero restare separati e divisi secondo il moderno costituzionalismo» (Piero Ostellino, Corsera del 23.10). Si può anche non essere d’accordo e pensare anzi che la giustizia italiana sia la migliore del mondo. Sta di fatto che quello che accade, in continuità di casi, è di una gravità enorme.
L’ultimo caso che fa veramente imbestialire – indignarsi oggi fa ridere – è quello dell’aereo DC 9 dell’Itavia, che la notte del 27 giugno 1980 scoppiò in cielo e s’inabissò nel mare di Ustica, portando con sé 81 innocenti vittime.
Dopo anni di analisi e perizie la magistratura, nei suoi tre gradi di giudizio, appurò che l’aereo ebbe un collasso strutturale. La colpa fu scaricata sulla compagnia aerea e sul suo titolare Aldo Davanzali, accusato di servirsi di “bare volanti”. Per quanto fin dall’inizio il Davanzali, cercasse di dimostrare che a colpire l’aereo era stato un missile – lo sapevano tutti che era stato un missile – grazie a tutta una serie di depistaggi, che vide coinvolti anche alti ufficiali dell’aeronautica militare, la magistratura gli diede torto. Il danno fu enorme, l’azienda, che era un fiore all’occhiello nazionale, un punto di riferimento di tante altre compagnie aeree, perfino estere, fu annientata.
Ora, a distanza di oltre 33 anni, la Corte di Cassazione (sezione civile) ha sentenziato che effettivamente l’aereo fu colpito da un missile, mentre nello spazio aereo attraversato infuriava una battaglia che coinvolgeva una ventina di aerei militari: nato, americani, inglesi, francesi, libici e italiani. La Corte di Cassazione non è una corte che viene da un altro pianeta, è parte organica dello stesso ordinamento giudiziario, lo stesso che aveva sentenziato in maniera completamente diversa.    
Di fronte ad un simile caso, viene di fare alcune considerazioni.
La prima è che spesso in Italia una parte della magistratura si oppone ad un’altra parte. Una condanna, l’altra assolve o viceversa, per cui non si capisce bene quale delle due abbia ragione, a nocumento della giustizia che resta aleatoria e affidata ad una serie di imponderabilità. Spesso il calcolo che viene fatto sui tempi e le sentenze è considerato organico all’esito finale. Una corte assolve, sapendo che dopo ce ne sarà un’altra che condanna, o viceversa. Lazzaroni e avvocati che li difendono hanno bisogno di una simile giustizia come i pesci hanno bisogno dell’acqua e gli uccelli dell’aria. Male che vada al colpevole, non è mai il male che avrebbe avuto da una giustizia meno calcolatrice e più rapida. Si sa che quando un delinquente la fa franca c’è sempre un onesto cittadino che viene penalizzato. In Italia è diffusa l’idea di una giustizia che conviene ai delinquenti; una giustizia dalla quale i buoni cittadini si tengono alla larga fino a rinunciare a volte dal ricorrervi. Bisognerebbe – se già non c’è – configurare il reato di uso calcolato e strumentale della giustizia. Il colpevole di simile reato non andrebbe condannato, ma castigato. Che è cosa un po’ diversa. Non sparirebbero del tutto prepotenti e canaglie, ma ce ne sarebbero di meno in circolazione. E sarebbe già tanto.   
La seconda è terribilmente più grave. Quando ad essere preso di mira è il titolare di un’azienda la magistratura non fa distinzione alcuna tra il titolare, che può essere colpevole o innocente, e l’azienda che dalla vicenda giudiziaria ne esce distrutta. Quando si parla di aziende si parla di importanti aspetti economici e sociali che riguardano singoli cittadini nell’immediato e più in generale e mediato il paese intero. Sicché i dipendenti di quell’azienda, assolutamente innocenti, finiscono per perdere il lavoro, vanno a pesare sullo Stato, che a sua volta da quell’azienda non incassa più le tasse. La giustizia in Italia, annientando le aziende, penalizza i dipendenti, impoverisce il paese. E’ una giustizia di stampo ottocentesco, che vede in un titolare d’azienda il padrone, il nemico di classe da abbattere.
La terza è che a fronte di simili ingiustizie nessuno paga. Chi risarcisce i danni ai Davanzali titolari dell’Itavia e di altre aziende? E se pure lo Stato li risarcisce con qualche milione di Euro, che cosa in effetti risarcisce, atteso che certi danni non sono risarcibili?
Dovrebbero pagare quei giudici che hanno mal sentenziato. Ma è un problema complicato, perché se un magistrato deve sentenziare con la spada di Damocle dell’errore giudiziario che gli taglia il collo appena alza la testa, non è sereno nelle valutazioni. Il rimedio in questo caso sarebbe peggio del male. Non esiste una soluzione semplice, evidentemente, tenendo conto anche che siamo in Italia, dove tutto viene travisato dalla diabolicità degli italiani, giudici e non; ma è indubbio che una riforma della giustizia è indilazionabile.
La riforma della giustizia, come ogni altra riforma, deve essere fatta dal Parlamento, il quale opera nella sfera del legislativo in nome del popolo italiano, tanto quanto fa la magistratura nella sfera del potere giudiziario, partendo proprio dal fatto che i due poteri devono essere separati e che la magistratura deve limitarsi ad applicare le leggi. I magistrati possono operare in nome del popolo italiano in quanto ricevono le leggi fatte dal Parlamento eletto dal popolo italiano. Senza il Parlamento la magistratura non potrebbe mai pronunciare sentenze “in nome del popolo italiano”.
D’altra parte il magistrato non può dire come magistrato obbedisco, ma come cittadino ho il diritto di esprimere il mio parere, di riunirmi in organismo politico e di lottare perché la riforma non si faccia. Il magistrato, nel momento in cui ricorre ad espedienti pirandelliani, non è più materia di diritto, ma di psicanalisi.  

Parole chiave: Democrazia  - giustizia  -  riforma – Itavia -  strage di Ustica


Argomento:  Riforma della giustizia

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