In una democrazia i fattori di
difesa dalla degenerazione dovrebbero prima di tutto esserci e poi essere
efficienti ed efficaci. In genere questi fattori sono i cittadini che per
intelligenza, studio ed esperienza allertano le istituzioni quando è superato il
livello di guardia della tenuta democratica. In Italia questi fattori ci sono;
purtroppo non sono considerati. Oggi non valgono neppure quanto valsero le oche
del Campidoglio, le quali, starnazzando, permisero alle sentinelle romane di
respingere i Galli di Brenno, quello del “Guai ai vinti”, che gli scolaretti di
una volta già conoscevano benissimo alle Elementari.
Cosa vanno dicendo queste volontarie
guardie disarmate della democrazia? Che c’è un gravissimo problema, quello di
un potere dello Stato, la magistratura, che di fatto ha esautorato gli altri
poteri. «La dilatazione del potere discrezionale della magistratura, diventata,
con le sue sentenze in nome del popolo, il nuovo “sovrano assoluto”; che ha
spogliato, di fatto, il Parlamento dell’esercizio della sovranità popolare e
vanifica il potere del governo di gestire il Paese; unifica in sé tutti e tre i
poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) che dovrebbero restare
separati e divisi secondo il moderno costituzionalismo» (Piero Ostellino,
Corsera del 23.10). Si può anche non essere d’accordo e pensare anzi che la
giustizia italiana sia la migliore del mondo. Sta di fatto che quello che
accade, in continuità di casi, è di una gravità enorme.
L’ultimo caso che fa veramente
imbestialire – indignarsi oggi fa ridere – è quello dell’aereo DC 9 dell’Itavia,
che la notte del 27 giugno 1980 scoppiò in cielo e s’inabissò nel mare di
Ustica, portando con sé 81 innocenti vittime.
Dopo anni di analisi e perizie la
magistratura, nei suoi tre gradi di giudizio, appurò che l’aereo ebbe un
collasso strutturale. La colpa fu scaricata sulla compagnia aerea e sul suo
titolare Aldo Davanzali, accusato di servirsi di “bare volanti”. Per quanto fin
dall’inizio il Davanzali, cercasse di dimostrare che a colpire l’aereo era
stato un missile – lo sapevano tutti che era stato un missile – grazie a tutta
una serie di depistaggi, che vide coinvolti anche alti ufficiali
dell’aeronautica militare, la magistratura gli diede torto. Il danno fu enorme,
l’azienda, che era un fiore all’occhiello nazionale, un punto di riferimento di
tante altre compagnie aeree, perfino estere, fu annientata.
Ora, a distanza di oltre 33 anni,
la Corte di
Cassazione (sezione civile) ha sentenziato che effettivamente l’aereo fu
colpito da un missile, mentre nello spazio aereo attraversato infuriava una
battaglia che coinvolgeva una ventina di aerei militari: nato, americani,
inglesi, francesi, libici e italiani. La Corte di Cassazione non è una corte che viene da
un altro pianeta, è parte organica dello stesso ordinamento giudiziario, lo
stesso che aveva sentenziato in maniera completamente diversa.
Di fronte ad un simile caso,
viene di fare alcune considerazioni.
La prima è che spesso in Italia
una parte della magistratura si oppone ad un’altra parte. Una condanna, l’altra
assolve o viceversa, per cui non si capisce bene quale delle due abbia ragione,
a nocumento della giustizia che resta aleatoria e affidata ad una serie di
imponderabilità. Spesso il calcolo che viene fatto sui tempi e le sentenze è
considerato organico all’esito finale. Una corte assolve, sapendo che dopo ce
ne sarà un’altra che condanna, o viceversa. Lazzaroni e avvocati che li
difendono hanno bisogno di una simile giustizia come i pesci hanno bisogno
dell’acqua e gli uccelli dell’aria. Male che vada al colpevole, non è mai il
male che avrebbe avuto da una giustizia meno calcolatrice e più rapida. Si sa
che quando un delinquente la fa franca c’è sempre un onesto cittadino che viene
penalizzato. In Italia è diffusa l’idea di una giustizia che conviene ai
delinquenti; una giustizia dalla quale i buoni cittadini si tengono alla larga
fino a rinunciare a volte dal ricorrervi. Bisognerebbe – se già non c’è –
configurare il reato di uso calcolato e strumentale della giustizia. Il
colpevole di simile reato non andrebbe condannato, ma castigato. Che è cosa un
po’ diversa. Non sparirebbero del tutto prepotenti e canaglie, ma ce ne
sarebbero di meno in circolazione. E sarebbe già tanto.
La seconda è terribilmente più
grave. Quando ad essere preso di mira è il titolare di un’azienda la
magistratura non fa distinzione alcuna tra il titolare, che può essere
colpevole o innocente, e l’azienda che dalla vicenda giudiziaria ne esce distrutta.
Quando si parla di aziende si parla di importanti aspetti economici e sociali
che riguardano singoli cittadini nell’immediato e più in generale e mediato il paese
intero. Sicché i dipendenti di quell’azienda, assolutamente innocenti,
finiscono per perdere il lavoro, vanno a pesare sullo Stato, che a sua volta da
quell’azienda non incassa più le tasse. La giustizia in Italia, annientando le
aziende, penalizza i dipendenti, impoverisce il paese. E’ una giustizia di stampo
ottocentesco, che vede in un titolare d’azienda il padrone, il nemico di classe
da abbattere.
La terza è che a fronte di simili
ingiustizie nessuno paga. Chi risarcisce i danni ai Davanzali titolari
dell’Itavia e di altre aziende? E se pure lo Stato li risarcisce con qualche
milione di Euro, che cosa in effetti risarcisce, atteso che certi danni non
sono risarcibili?
Dovrebbero pagare quei giudici
che hanno mal sentenziato. Ma è un problema complicato, perché se un magistrato
deve sentenziare con la spada di Damocle dell’errore giudiziario che gli taglia
il collo appena alza la testa, non è sereno nelle valutazioni. Il rimedio in
questo caso sarebbe peggio del male. Non esiste una soluzione semplice, evidentemente,
tenendo conto anche che siamo in Italia, dove tutto viene travisato dalla
diabolicità degli italiani, giudici e non; ma è indubbio che una riforma della
giustizia è indilazionabile.
La riforma della giustizia, come
ogni altra riforma, deve essere fatta dal Parlamento, il quale opera nella
sfera del legislativo in nome del popolo italiano, tanto quanto fa la magistratura
nella sfera del potere giudiziario, partendo proprio dal fatto che i due poteri
devono essere separati e che la magistratura deve limitarsi ad applicare le
leggi. I magistrati possono operare in nome del popolo italiano in quanto
ricevono le leggi fatte dal Parlamento eletto dal popolo italiano. Senza il
Parlamento la magistratura non potrebbe mai pronunciare sentenze “in nome del
popolo italiano”.
D’altra parte il magistrato non può
dire come magistrato obbedisco, ma come cittadino ho il diritto di esprimere il
mio parere, di riunirmi in organismo politico e di lottare perché la riforma
non si faccia. Il magistrato, nel momento in cui ricorre ad espedienti
pirandelliani, non è più materia di diritto, ma di psicanalisi.
Parole chiave: Democrazia - giustizia
- riforma – Itavia - strage di Ustica
Argomento: Riforma della giustizia
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