Invitato ad un piccolo convegno
per ricordare la figura dello studioso Aldo de Bernart di recente scomparso,
nell’ambito della manifestazione “Identità salentina”, organizzata da “Italia
Nostra – Sezione Sud Salento”, a Parabita, la sera di venerdì 27 settembre, mi
è capitato, come spesso accade, di dovermi sorbire una caterva di interventi,
relativi all’agricoltura e all’ambiente, che facevano parte dei preliminari
della serata. Per fortuna tutti molto interessanti e direi qualificati, da
quello d’apertura di Marcello Seclì, Presidente di “Italia Nostra – Sud
Salento”, a tutti gli altri, del Sindaco di Parabita Alfredo Cacciapaglia, del
Direttore generale dell’Anbi Puglia Anna Chiumeo, dell’Assessore provinciale
all’Agricoltura Francesco Pacella, del Prefetto di Lecce Giuliana Perrotta, di
Mario Capasso dell’Università del Salento delegato ai musei dell’ateneo
leccese. Preciso che Anbi vuol dire Associazione nazionale bonifiche
irrigazioni. Giusto per far capire la competenza e l’autorevolezza dell’ospite
invitata a relazionare.
La costante dei vari interventi è
stata l’educazione del cittadino al rispetto dell’ambiente. Se il cittadino non
capisce che danneggiare l’ambiente significa danneggiare se stesso e gli altri
diventa problematico che glielo faccia capire il poliziotto o l’autorità in
generale. L’esempio da tutti citato, non senza preoccupazione e allarme, è
stata la malattia che incomincia a falcidiare gli ulivi, che – mi è parso di
capire – è attribuita alle discariche nelle campagne di rifiuti nocivi per
l’ambiente e le colture, in particolare gli pneumatici, spesso scaricati lungo
i muretti a secco dei fondi agricoli, a volte all’esterno, altre volte
all’interno. Nessuno ha spiegato come facciano gli pneumatici a far seccare gli
alberi di ulivo. Forse non si vuole ammettere che è l’inquinamento dell’aria ad
essere nocivo alla salute di tutto ciò che vive sulla superficie di questo
nostro Salento, dalle palme agli agrumi, dai fichi ai fichidindia, agli ulivi,
per citare le colture più tipiche.
Ora, il problema è serio, molto
serio, specialmente se dalle colture passiamo agli uomini e constatiamo che il
tasso di mortalità per tumori qui nell’area jonico-salentina è tra i più alti d’Italia. Se non bastasse il
disturbo di vedere il paesaggio offeso dai rifiuti sversati o scaricati nelle
campagne e nelle periferie, dovrebbe perciò farci riflettere la nostra salute.
Forse, a come son giunte le cose,
bisognerebbe che al buon senso dei cittadini più sensibili subentrasse la
determinazione dello Stato a difendere con tutti i suoi mezzi ciò che il
cittadino non sa, non vuole o non può difendere da sé.
E’ ancora tempo di auspicare che
il cittadino si ravveda? Non lo so. Noi dobbiamo sperare di avere quanto prima
la coscienza civica che in Europa altri popoli già avevano cinquant’anni fa? E’
disperante.
Ho avuto la fortuna di passare
due anni della mia vita a Berna, in Svizzera, e di frequentare la scuola
pubblica; anni di particolare importanza formativa, tra i quindici e i
diciassette anni. Bene, agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, i
cittadini svizzeri erano quello che noi auspichiamo che diventino i nostri fra
qualche anno. Da non credere!
Diceva il Prefetto che ogni
cittadino deve essere vigile di se stesso e non aspettare che lo Stato,
l’autorità in generale faccia quello che egli è in grado di fare da sé. Giusto!
Io ricordo che a Berna ogni cittadino era il poliziotto di se stesso; e ogni
poliziotto era il cittadino di se stesso. Cosa voglio dire? Che il cittadino
non faceva nulla che il poliziotto che era in lui gli proibiva; ma era
altrettanto vero che ogni poliziotto chiamato per intervenire anche da una
telefonata di un privato cittadino lo faceva immediatamente. Qui non accade né
che il cittadino vigili da sé né che lo faccia il poliziotto, benché chiamato a
intervenire.
E’ una questione di educazione?
Probabilmente sì. Ma allora dobbiamo ammettere che la nostra scuola non ha
fatto nulla per educare il cittadino al rispetto dell’ambiente. Se prendo il
mio manualetto di educazione civica dell’a. s. 1958-59, “Cittadini di domani”,
Guida di Educazione civica ad uso del primo biennio dei corsi superiori
(Ginnasio e classi di collegamento), di F. Montanari e G. Nosengo, dell’editore
Le Monnier di Firenze, scopro che non c’è il minimo riferimento all’ambiente.
Si parla di tutto e di più, ma in astratto; nulla che possa far pensare che c’è
un ambiente da salvaguardare.
In quegli stessi anni in
Svizzera, a scuola, il rispetto dell’ambiente non lo si insegnava, non ce n’era
bisogno, lo si esercitava in concreto, con la raccolta differenziata della
carta, col non buttare nulla per terra, né l’involucro di un cioccolatino né la
buccia di banana o di arancia; il patrimonio pubblico, monumenti, aiuole,
piante non andavano danneggiati; per strada non si doveva giocare né a pallone
né ad altri giochi; i segnali stradali andavano rispettati qualunque fosse il
mezzo di trasporto con cui ci si muoveva, anche il monopattino – ce n’erano di
bellissimi, con le ruote gonfiabili – perfino a piedi. Per strada si doveva
camminare come si deve, in maniera ordinata, negli spazi prescritti; non si
doveva né cantare né tanto meno urlare; non si poteva correre né tanto meno
rincorrersi.
Quel tipo di educazione faceva
parte del modo di essere, di stare, di agire del cittadino fin dall’età
scolare. Diciamo la verità: un simile comportamento è oggi osservato in Italia?
Nemmeno per sogno. Il disordine regna sovrano. Non solo i ragazzi si comportano
come animali allo stato brado, in bicicletta vanno contromano e spesso
controsenso, sui marciapiedi, scartano il gelato e la carta la buttano
senz’altro, urlano e si rincorrono per strada, fanno quello che l’istinto
suggerisce loro in un dato momento. Questi cittadini, oggi bambini, da grandi
si comporteranno diversamente? No, faranno esattamente quello che riterranno
più opportuno per il loro piacere o interesse, poco curandosi di rispetto
dell’ambiente, del paesaggio, del bene comune. Lo si vede da come conducono i
cani a fare i loro bisogni per strada, nonostante un fottìo di leggi che
dovrebbe sanzionarlo.
Nel mio citato manualetto di educazione civica c’è un paragrafo
intitolato “Il bene comune”. Si legge: «Fondamento dell’interesse generale è il bene comune; il bene comune è
quell’insieme di cose, o meglio, quell’ordine di cose che mi permette di vivere
con il massimo di libertà e di sicurezza possibile. Ma che non ci potrebbe
essere per me, se non ci fosse per tutti». Come definizione potrebbe pure andar
bene, ma è e resta decisamente astratta, priva di qualsiasi – dico qualsiasi –
riferimento a cose e fatti concreti. E le conseguenze si vedono.Parole chiave: Italia nostra Identità salentina Cittadino Ambiente Aldo de Bernart
Argomento: Educazione ambientale
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