mercoledì 9 ottobre 2013

Dramma di Lampedusa: dolore sì vergogna no


A volte si ha l’impressione di non riuscire a comprendere il mondo che ci circonda, anche nelle sue manifestazioni più banali.  
Da alcuni anni le coste italiane sono la meta agognata di migliaia e migliaia di profughi africani e asiatici. L’isola di Lampedusa è diventata un simbolo planetario. Si vorrebbe che le fosse assegnato il Nobel della Pace. Migliaia di profughi riescono a raggiungere le nostre coste, altre migliaia  finiscono inghiottiti dalle acque del Mediterraneo, autentico cimitero per tanti poveri disgraziati. Secondo le stime di Fortress Europe sarebbero circa 6.200 le vittime di naufragi nel Canale di Sicilia dal 1994.
L’ultima tragedia, con centinaia di morti, verificatasi il 3 ottobre, ha riproposto il problema in una dimensione diversa, corrispondente alla portata del disastro; una tragedia che per i tempi in cui si è svolta ha dato da pensare di più delle precedenti. Ma nulla ha aggiunto alla gravità di un fenomeno che dura ormai da vent’anni.
Siamo di fronte ad un esodo senza precedenti in epoca contemporanea. Che fare? Il Presidente del Consiglio Letta e il suo vice Alfano hanno ribadito che le nostre coste sono sì italiane ma anche, in quanto tali, europee, dato che facciamo parte dell’Europa; dunque è l’Europa che si deve fare carico del problema. Lasciamo stare le parole di circostanza, “vergogna”, “orrore” e chi più e meglio ha potuto dire, più e meglio ha detto. Le parole nascondono l’incapacità di affrontare il problema nei modi e nei termini più concreti. Le parole “vergogna” e “orrore” valgono né più né meno di “non vogliamo o non possiamo fare nulla”. E tuttavia queste sono preferite ad una onesta dichiarazione di impotenza.
Mi sono chiesto in questi giorni, più volte, ascoltando il Papa, il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, ma se non riesco a vergognarmi, sono proprio un caso disperato di insensibilità? Devo perciò preoccuparmi? Poi, ho ragionato. Mi son detto: lasciamo stare, questa gente recita a soggetto. Lo fa per mestiere. In greco antico gli ipocriti erano gli attori.
L’Europa ha semplicemente calcolato il fenomeno e ha stabilito senza nemmeno farlo con convegni e atti approvati di gestire il fenomeno in maniera spontaneistica, con un pizzico di cinico laissez faire, nella migliore tradizione del vecchio continente. Ogni paese alle prese con gli sbarchi se la veda da solo. Se è capace di fronteggiarlo con successo, ben gli sta; e se no, mal gli sta. Ognuno pensi da sé e per sé. Del resto in Europa arrivano dall’Asia migliaia e migliaia di profughi o di clandestini dai paesi dell’Est attraverso le frontiere di Germania, Polonia e regioni balcaniche.
Per quel che ci riguarda nessuno in Europa si preoccupa quanto meno di contenere o di ridurre il fenomeno con una più attenta e opportuna informazione. Nessuno ha il coraggio, per esempio, di attivare mezzi e modi di informazione per scoraggiare tanta gente ad avventurarsi in mare e raggiungere paesi che non sono quelli della loro immaginazione. Al contrario, accade che un malinteso senso della globalizzazione o di solidarietà, saputo propagandare, incoraggia questa gente a venire. In questo modo si alimenta la criminalità degli organizzatori dei viaggi e si espone questa povera gente ad ogni rischio, compreso quello di morte.
Se la politica dell’Europa non fosse alla me ne fotto, allora dovrebbe procedere in un’altra maniera. Chiedersi preliminarmente se è giusto che tanti abitanti dell’Africa e dell’Asia vengano in Europa, senza che rischino la vita, senza che noi per questo ci dobbiamo vergognare. Se sì, allora mandiamo in alcuni scali africani o del Medio Oriente le nostre navi e stabiliamo un servizio di linea per svuotare il continente africano dei suoi abitanti e riempire con gli stessi quello europeo; costruiamo centri di accoglienza moderni e confortevoli; assicuriamo loro un posto di lavoro, servizi ed ogni altro bene. Se non possiamo far questo – ed è di tutta evidenza che coi problemi che abbiamo, non possiamo farlo – è inutile parlare di vergogna e di orrore.
Ancora, se si vuole impedire lo svuotamento dell’Africa e il sovraffollamento dell’Europa, fenomeni che comporterebbero disastri inimmaginabili,  chiediamoci perché questa gente lascia o fugge dalla sua terra. Se alla domanda rispondiamo: per fame, per guerre, in cerca di un mondo migliore – come effettivamente è - allora dobbiamo procedere di conseguenza, affrontare il problema alla radice. Così come noi europei nei secoli scorsi abbiamo colonizzato i loro paesi per sfruttarli, allo stesso modo torniamo oggi per neocolonizzarli, questa volta per restituire loro quel che abbiamo preso. Si sensibilizzino inglesi, francesi, belgi, spagnoli, portoghesi, che si sono arricchiti sfruttando le colonie, invece di rimanere indifferenti ed estranei al fenomeno, come se non li riguardasse, perché sono più lontani. Tornare noi europei nei loro paesi significa dover mettere fine alle loro stupide e ferocissime guerre, tribali e selvagge; e poi costruire le premesse per avere in loco condizioni di vita basate sull’ordine e sul benessere, magari sotto la guida dei nostri esperti e sotto la protezione delle nostre forze armate. Dico nostre per dire sempre europee. Se neppure questo è nelle possibilità o volontà dell’Europa, allora smettiamola di esibire la nostra millenaria capacità di piangere con un occhio e di strizzare con l’altro.
Noi italiani non abbiamo nulla di  cui vergognarci. Da anni accogliamo quanti si presentano sulle nostre coste. Lo facciamo alla meglio, perché diversamente non siamo in grado di fare. Se la vergogna è un sentimento personale, intimo, allora è un altro discorso. Ad ognuno capita, mangiando o stando al caldo, di provare un senso di dispiacere per chi in quel momento sta soffrendo la fame e il freddo. E’ umano che ognuno di noi di fronte a qualsiasi sofferenza altrui si senta stringere il cuore. Vorrebbe fare qualcosa. Ma se può fare poco o nulla, non si vergogna, semplicemente si dispiace.

Parole chiave:  Lampedusa   naufragi   Europa   vergogna

Argomento: immigrazione clandestina

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