A volte si ha l’impressione di non
riuscire a comprendere il mondo che ci circonda, anche nelle sue manifestazioni
più banali.
Da alcuni anni le coste italiane
sono la meta agognata di migliaia e migliaia di profughi africani e asiatici.
L’isola di Lampedusa è diventata un simbolo planetario. Si vorrebbe che le
fosse assegnato il Nobel della Pace. Migliaia di profughi riescono a
raggiungere le nostre coste, altre migliaia
finiscono inghiottiti dalle acque del Mediterraneo, autentico cimitero
per tanti poveri disgraziati. Secondo le stime di Fortress Europe sarebbero circa 6.200 le vittime di naufragi nel
Canale di Sicilia dal 1994.
L’ultima tragedia, con centinaia
di morti, verificatasi il 3 ottobre, ha riproposto il problema in una
dimensione diversa, corrispondente alla portata del disastro; una tragedia che
per i tempi in cui si è svolta ha dato da pensare di più delle precedenti. Ma
nulla ha aggiunto alla gravità di un fenomeno che dura ormai da vent’anni.
Siamo di fronte ad un esodo senza
precedenti in epoca contemporanea. Che fare? Il Presidente del Consiglio Letta
e il suo vice Alfano hanno ribadito che le nostre coste sono sì italiane ma anche,
in quanto tali, europee, dato che facciamo parte dell’Europa; dunque è l’Europa
che si deve fare carico del problema. Lasciamo stare le parole di circostanza,
“vergogna”, “orrore” e chi più e meglio ha potuto dire, più e meglio ha detto. Le
parole nascondono l’incapacità di affrontare il problema nei modi e nei termini
più concreti. Le parole “vergogna” e “orrore” valgono né più né meno di “non
vogliamo o non possiamo fare nulla”. E tuttavia queste sono preferite ad una onesta
dichiarazione di impotenza.
Mi sono chiesto in questi giorni,
più volte, ascoltando il Papa, il Presidente della Repubblica, il Presidente
del Consiglio, ma se non riesco a vergognarmi, sono proprio un caso disperato
di insensibilità? Devo perciò preoccuparmi? Poi, ho ragionato. Mi son detto:
lasciamo stare, questa gente recita a soggetto. Lo fa per mestiere. In greco
antico gli ipocriti erano gli attori.
L’Europa ha semplicemente
calcolato il fenomeno e ha stabilito senza nemmeno farlo con convegni e atti
approvati di gestire il fenomeno in maniera spontaneistica, con un pizzico di
cinico laissez faire, nella migliore
tradizione del vecchio continente. Ogni paese alle prese con gli sbarchi se la
veda da solo. Se è capace di fronteggiarlo con successo, ben gli sta; e se no,
mal gli sta. Ognuno pensi da sé e per sé. Del resto in Europa arrivano dall’Asia
migliaia e migliaia di profughi o di clandestini dai paesi dell’Est attraverso
le frontiere di Germania, Polonia e regioni balcaniche.
Per quel che ci riguarda nessuno in
Europa si preoccupa quanto meno di contenere o di ridurre il fenomeno con una
più attenta e opportuna informazione. Nessuno ha il coraggio, per esempio, di
attivare mezzi e modi di informazione per scoraggiare tanta gente ad
avventurarsi in mare e raggiungere paesi che non sono quelli della loro
immaginazione. Al contrario, accade che un malinteso senso della
globalizzazione o di solidarietà, saputo propagandare, incoraggia questa gente a
venire. In questo modo si alimenta la criminalità degli organizzatori dei
viaggi e si espone questa povera gente ad ogni rischio, compreso quello di
morte.
Se la politica dell’Europa non
fosse alla me ne fotto, allora
dovrebbe procedere in un’altra maniera. Chiedersi preliminarmente se è giusto
che tanti abitanti dell’Africa e dell’Asia vengano in Europa, senza che
rischino la vita, senza che noi per questo ci dobbiamo vergognare. Se sì,
allora mandiamo in alcuni scali africani o del Medio Oriente le nostre navi e
stabiliamo un servizio di linea per svuotare il continente africano dei suoi
abitanti e riempire con gli stessi quello europeo; costruiamo centri di
accoglienza moderni e confortevoli; assicuriamo loro un posto di lavoro,
servizi ed ogni altro bene. Se non possiamo far questo – ed è di tutta evidenza
che coi problemi che abbiamo, non possiamo farlo – è inutile parlare di
vergogna e di orrore.
Ancora, se si vuole impedire lo
svuotamento dell’Africa e il sovraffollamento dell’Europa, fenomeni che
comporterebbero disastri inimmaginabili, chiediamoci perché questa gente lascia o fugge
dalla sua terra. Se alla domanda rispondiamo: per fame, per guerre, in cerca di
un mondo migliore – come effettivamente è - allora dobbiamo procedere di
conseguenza, affrontare il problema alla radice. Così come noi europei nei
secoli scorsi abbiamo colonizzato i loro paesi per sfruttarli, allo stesso modo
torniamo oggi per neocolonizzarli, questa volta per restituire loro quel che
abbiamo preso. Si sensibilizzino inglesi, francesi, belgi, spagnoli,
portoghesi, che si sono arricchiti sfruttando le colonie, invece di rimanere
indifferenti ed estranei al fenomeno, come se non li riguardasse, perché sono
più lontani. Tornare noi europei nei loro paesi significa dover mettere fine
alle loro stupide e ferocissime guerre, tribali e selvagge; e poi costruire le
premesse per avere in loco condizioni di vita basate sull’ordine e sul
benessere, magari sotto la guida dei nostri esperti e sotto la protezione delle
nostre forze armate. Dico nostre per dire sempre europee. Se neppure questo è
nelle possibilità o volontà dell’Europa, allora smettiamola di esibire la
nostra millenaria capacità di piangere con un occhio e di strizzare con l’altro.
Noi italiani non abbiamo nulla
di cui vergognarci. Da anni accogliamo
quanti si presentano sulle nostre coste. Lo facciamo alla meglio, perché
diversamente non siamo in grado di fare. Se la vergogna è un sentimento
personale, intimo, allora è un altro discorso. Ad ognuno capita, mangiando o
stando al caldo, di provare un senso di dispiacere per chi in quel momento sta
soffrendo la fame e il freddo. E’ umano che ognuno di noi di fronte a qualsiasi
sofferenza altrui si senta stringere il cuore. Vorrebbe fare qualcosa. Ma se
può fare poco o nulla, non si vergogna, semplicemente si dispiace.
Parole chiave: Lampedusa naufragi
Europa vergogna
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