mercoledì 28 agosto 2019

Un governo di perdenti e di nemici




Il governo Pd-5Stelle, che si è voluto frettolosamente mettere in piedi pur di evitare lo scioglimento delle Camere, è composto da due partiti perdenti e tra di loro acerrimi nemici, che ha l’atto di concepimento da un’accoppiata formidabile di circostanze assolutamente imprevedibili: la minchiata di Salvini di staccare la spina al governo Conte e la furbata di Matteo Renzi di cambiare parere sull’accordo del Pd coi Cinquestelle. Salvini è rimasto intronato dagli effetti dell’improvvida sua stessa sortita, non sa più quello che dice e farfuglia. Renzi invece sa: ho cambiato parere sull’accordo coi Cinquestelle per il bene del Paese impedendo la deriva Salvini nel caso di elezioni anticipate. Legittima motivazione che non esclude, però, l’altra, assai più vera e personale; ha cambiato parere perché le elezioni gli avrebbero fatto perdere il controllo dei gruppi parlamentari del Pd, ora a lui per la gran parte riconoscenti e devoti. Se ci fossero state le elezioni anticipate, questa volta le liste le avrebbe fatte Zingaretti, magari con lo stesso criterio di Renzi; e Renzi sarebbe rimasto fottuto.
Se questo era il governo stabile e di prospettiva, chiesto dal Presidente Mattarella, allora è possibile pure vedere il sole a mezzanotte. Mai in Italia si è visto un accordo così “innaturale”, ma è pur vero che in Italia quando si grida al lupo fascista “si scopron le tombe e si levano i morti”. Onestamente il lupo fascista, inventato dai Dem, ha trovato proprio in Salvini il suo più forte accreditore. Ubriacato da risultati elettorali esaltanti (Europee) e da sondaggi più che promettenti (37%), Salvini è giunto a dire, come un fesso, “voglio i pieni poteri” e si è comportato come quei monarchi orientali di una volta, i quali si concedevano tutto fra bagordi e stordimenti vari. Magari voleva dire una cosa assai più limitata, circoscritta alla sicurezza, dato che spesso per fermare le navi piene di emigranti, entrava in conflitto col ministro dei trasporti Toninelli e con la ministra della difesa Trenta; ma, qualunque cosa avesse voluto dire, l’espressione, oltre che di per sé infelice, si è prestata all’insurrezione generale contro il pericolo fascista, vero o falso che fosse. Lo sdegno nei suoi confronti è aumentato in Italia e in Europa.
Probabile che l’insofferenza contro Salvini e la decisione di mettere in moto qualcosa che lo ridimensionasse o lo mettesse fuori causa abbia avuto inizio proprio di lì, dalla sua incontinenza, di parole e di comportamenti. E’ stato un errore di valutazione il suo pensare che le istituzioni e chi le rappresenta ad ogni livello siano degli appendirobe. Invece hanno un cervello e un cuore e il dovere di intervenire. E’ legittimo perciò pensare che la decisione di buttare giù il governo Conte sia stata in qualche modo indotta.
Negli ultimi mesi Conte era in stretto rapporto col Quirinale, spesso andava a riferire e ovviamente a sentire. Il suo appoggio a Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Europea, fuori dallo spirito del governo gialloverde, molto probabilmente gli è stato suggerito. Si consideri che l’unico punto di contatto fra i due partiti del governo era il comune sentire antieuropeistico. Eluderlo non poteva essere che una provocazione. Lo stesso Salvini, resosi conto di aver agito precipitosamente, non valutando le insidie che potevano esserci, dopo aver tentato ripetutamente di riallacciare i rapporti coi Cinquestelle, ha sempre più insistito sul ribaltone, che a suo dire era preparato da tempo. E se era preparato da tempo, perché lui non se n’è accorto e non si è preoccupato di vedere da dove e da chi partiva? La verità è che in situazioni del genere si ragiona inevitabilmente su sospetti e supposizioni, cercando tuttavia di ancorarli ad una logica. Salvini non poteva sapere dell’agguato che lui stesso si stava tendendo con le sue mani; ma è pur vero che questo agguato c’era.
Il paese ha dimostrato sempre più insofferenza per il leader della Lega. Lo hanno aspettato dovunque per contestarlo in maniera sempre crescente e pericolosa. Le sue visite alle spiagge del sud, in Campania, in Calabria, in Puglia e in Sicilia si sono trasformate in sollevazioni popolari, con striscioni ai balconi e contestazioni anche violente in piazza.
Se perciò c’è stata una presa di coscienza seguita da alcune iniziative per dire basta a Salvini è del tutto legittima, direi obbligata. Che poi le iniziative per bloccarlo siano passate da comportamenti discutibili dimostra solo che la politica non è tutta quella che si vede e che si sente. C’è un’altra politica, altrettanto forte ed efficace che non si vede e non si sente, ma agisce come quei corsi d’acqua sotterranei che erodono fino ad erompere.
Questo governo, che vede il ritorno del centrosinistra, mentre il Paese si è espresso nelle ultime consultazioni europee e amministrative sempre più decisamente a destra, non ha radici nel Paese; è un governo che non risponde alle aspettative dell’Italia che lavora e che produce. Poi, evidentemente, c’è il popolo, che avrebbe diritto di dire la sua in condizioni di tranquillità e di fiducia nelle istituzioni. Impedirglielo con ragioni o sotterfugi non è un bel fare per la democrazia. Dopo la caduta del governo, sia pure per ciò che è sembrato un capriccio di Salvini, era del tutto scontato che si dovesse andare ad elezioni anticipate. Il rispetto della Costituzione doveva essere solo una presa d’atto formale, essendo evidente che in Parlamento non c’erano le condizioni per trovare una nuova maggioranza politica. E se tanto lo possono smentire i numeri di una maggioranza parlamentare che poi si è trovata, di certo non lo può smentire l’imbroglio di un governicchio solo per impedire che il popolo votasse. 

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