Il governo Pd-5Stelle, che si è
voluto frettolosamente mettere in piedi pur di evitare lo scioglimento delle
Camere, è composto da due partiti perdenti e tra di loro acerrimi nemici, che
ha l’atto di concepimento da un’accoppiata formidabile di circostanze
assolutamente imprevedibili: la minchiata di Salvini di staccare la spina al
governo Conte e la furbata di Matteo Renzi di cambiare parere sull’accordo del
Pd coi Cinquestelle. Salvini è rimasto intronato dagli effetti dell’improvvida
sua stessa sortita, non sa più quello che dice e farfuglia. Renzi invece sa: ho
cambiato parere sull’accordo coi Cinquestelle per il bene del Paese impedendo la deriva Salvini nel
caso di elezioni anticipate. Legittima motivazione che non esclude, però,
l’altra, assai più vera e personale; ha cambiato parere perché le elezioni gli
avrebbero fatto perdere il controllo dei gruppi parlamentari del Pd, ora a lui
per la gran parte riconoscenti e devoti. Se ci fossero state le elezioni
anticipate, questa volta le liste le avrebbe fatte Zingaretti, magari con lo
stesso criterio di Renzi; e Renzi sarebbe rimasto fottuto.
Se questo era il governo stabile
e di prospettiva, chiesto dal Presidente Mattarella, allora è possibile pure
vedere il sole a mezzanotte. Mai in Italia si è visto un accordo così
“innaturale”, ma è pur vero che in Italia quando si grida al lupo fascista “si
scopron le tombe e si levano i morti”. Onestamente il lupo fascista, inventato
dai Dem, ha trovato proprio in Salvini il suo più forte accreditore. Ubriacato
da risultati elettorali esaltanti (Europee) e da sondaggi più che promettenti
(37%), Salvini è giunto a dire, come un fesso, “voglio i pieni poteri” e si è
comportato come quei monarchi orientali di una volta, i quali si concedevano
tutto fra bagordi e stordimenti vari. Magari voleva dire una cosa assai più
limitata, circoscritta alla sicurezza, dato che spesso per fermare le navi
piene di emigranti, entrava in conflitto col ministro dei trasporti Toninelli e
con la ministra della difesa Trenta; ma, qualunque cosa avesse voluto dire,
l’espressione, oltre che di per sé infelice, si è prestata all’insurrezione
generale contro il pericolo fascista, vero o falso che fosse. Lo sdegno nei
suoi confronti è aumentato in Italia e in Europa.
Probabile che l’insofferenza
contro Salvini e la decisione di mettere in moto qualcosa che lo
ridimensionasse o lo mettesse fuori causa abbia avuto inizio proprio di lì,
dalla sua incontinenza, di parole e di comportamenti. E’ stato un errore di
valutazione il suo pensare che le istituzioni e chi le rappresenta ad ogni
livello siano degli appendirobe. Invece hanno un cervello e un cuore e il
dovere di intervenire. E’ legittimo perciò pensare che la decisione di buttare
giù il governo Conte sia stata in qualche modo indotta.
Negli ultimi mesi Conte era in
stretto rapporto col Quirinale, spesso andava a riferire e ovviamente a
sentire. Il suo appoggio a Ursula von der Leyen alla presidenza della
Commissione Europea, fuori dallo spirito del governo gialloverde, molto
probabilmente gli è stato suggerito. Si consideri che l’unico punto di contatto
fra i due partiti del governo era il comune sentire antieuropeistico. Eluderlo
non poteva essere che una provocazione. Lo stesso Salvini, resosi conto di aver
agito precipitosamente, non valutando le insidie che potevano esserci, dopo
aver tentato ripetutamente di riallacciare i rapporti coi Cinquestelle, ha
sempre più insistito sul ribaltone, che a suo dire era preparato da tempo. E se
era preparato da tempo, perché lui non se n’è accorto e non si è preoccupato di
vedere da dove e da chi partiva? La verità è che in situazioni del genere si
ragiona inevitabilmente su sospetti e supposizioni, cercando tuttavia di
ancorarli ad una logica. Salvini non poteva sapere dell’agguato che lui stesso
si stava tendendo con le sue mani; ma è pur vero che questo agguato c’era.
Il paese ha dimostrato sempre più
insofferenza per il leader della Lega. Lo hanno aspettato dovunque per
contestarlo in maniera sempre crescente e pericolosa. Le sue visite alle
spiagge del sud, in Campania, in Calabria, in Puglia e in Sicilia si sono
trasformate in sollevazioni popolari, con striscioni ai balconi e contestazioni
anche violente in piazza.
Se perciò c’è stata una presa di
coscienza seguita da alcune iniziative per dire basta a Salvini è del tutto
legittima, direi obbligata. Che poi le iniziative per bloccarlo siano passate
da comportamenti discutibili dimostra solo che la politica non è tutta quella
che si vede e che si sente. C’è un’altra politica, altrettanto forte ed
efficace che non si vede e non si sente, ma agisce come quei corsi d’acqua
sotterranei che erodono fino ad erompere.
Questo governo, che vede il ritorno del centrosinistra, mentre il Paese
si è espresso nelle ultime consultazioni europee e amministrative sempre più
decisamente a destra, non ha radici nel Paese; è un governo che non risponde
alle aspettative dell’Italia che lavora e che produce. Poi, evidentemente, c’è
il popolo, che avrebbe diritto di dire la sua in condizioni di tranquillità e
di fiducia nelle istituzioni. Impedirglielo con ragioni o sotterfugi non è un
bel fare per la
democrazia. Dopo la caduta del governo, sia pure per ciò che
è sembrato un capriccio di Salvini, era del tutto scontato che si dovesse
andare ad elezioni anticipate. Il rispetto della Costituzione doveva essere
solo una presa d’atto formale, essendo evidente che in Parlamento non c’erano
le condizioni per trovare una nuova maggioranza politica. E se tanto lo possono
smentire i numeri di una maggioranza parlamentare che poi si è trovata, di
certo non lo può smentire l’imbroglio di un governicchio solo per impedire che
il popolo votasse.
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