Che cosa abbia potuto spingere
Matteo Salvini l’8 agosto a chiedere al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte
di mettersi da parte per andare a nuove elezioni non può essere stato che un
colpo di sole, anche se tra i raggi martellanti di quei giorni di canicola
agostana di motivazioni pseudorazionali ne circolavano, sconnesse da un disegno
politico ponderato. Salvini deve essersi sentito come quei pugili che vengono
sollecitati dai loro tifosi a dare il colpo del ko all’avversario in
difficoltà. Chi erano i suoi tifosi? Quelli della Lega, la gente delle spiagge,
gli intraprendenti operatori economici che pensano che fare i politici sia come
fare gli imprenditori, né più né meno; delusi e scatenati dalla mancata
approvazione delle autonomie differenziate delle loro regioni e dalla mancata
flattax. Ma i politici che vogliano comportarsi come bottegai conviene che ruinorno direbbe
Machiavelli.
Da mesi, almeno dalla campagna
per le Europee e conseguente risultato elettorale, un giorno sì e l’altro pure,
c’era chi sollecitava a staccare la spina, metafora del politichese nostrano
per significare la fine traumatica del governo. Ma a ridosso di simili motivi
sopraggiungeva forte la dissuasione per mancanza di alternative parlamentari,
dato per scontato – ma non per l’assolato Salvini evidentemente – che alle urne
non si sarebbe andati nel migliore dei casi se non dopo aver percorso l’iter
costituzionale, che non è esattamente come passare dall’oggi al domani.
Salvini deve aver pensato: sono
tutti e forse più di me per elezioni anticipate, ciascuno per un suo motivo. Lo
sono Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il Pd nei tre corni Zingaretti-Calenda-Renzi
esclude accordi col M5S. Il M5S è annichilito dalla disfatta elettorale e dalle
prospettive per nulla promettenti. Gli altri, i cespugli: Leu e + Europa, non
contano un fico neppure verde. Ergo: Mattarella scioglie il Parlamento e il 13
ottobre si va a votare.
Ma ecco la realtà. Tutte quelle
forze politiche, singolarmente prese, che erano per le elezioni anticipate, si
ritrovano improvvisamente più o meno compatte in un nuovo fronte ciellenista, da
liberazione nazionale, tutte insieme per combattere il comune nemico, quello
dei “pieni poteri”, il mattatore del Papeete. Fatta eccezione per i due partiti
di destra, FI e FdI, che hanno continuato ad invocare le urne, tutti gli altri
hanno cambiato parere, questo sì dall’oggi al domani.
E’ apparso subito che il gesto di
Salvini è stato improvvido proprio per le ragioni che nei mesi precedenti
suggerivano di non mettere in crisi il governo per mancanza di chiare vie
d’uscita. Ora tutti si affidano alla saggezza e all’imparzialità del Presidente
della Repubblica. Ci sono quelli che, come Renzi e Grasso, sono disposti a
tagliarsi gli attributi – se ne hanno ancora! – per impedire le elezioni
anticipate. Ci sono altri, come Zingaretti, che operano un distinguo fra un
governicchio da evitare e un governo di legislatura, forse perché furbescamente
pensano che sia difficile farlo, e chi, come Calenda, che minaccia scissioni
nell’ipotesi di un accordo Pd-M5S. Ma ci sono altri ancora, i nostalgici del
governo giallo-verde, e fra questi lo stesso Salvini, peraltro assai pentito
dal gesto inconsulto dell’8 agosto, che sarebbero per una riedizione del
governo e far passare la crisi come una passeggera febbre da caldo estivo. Chi
è inchiodato alle urne subito, senza se e senza ma, sono quelli di Forza Italia
e Fratelli d’Italia, che Salvini non ha tanto entusiasmo di riabbracciare peraltro
davanti ad un notaio.
Uno degli aspetti più miserabili
di questa crisi di governo è l’approvazione del taglio di 345 parlamentari, che
allarga ancor più la forbice tra rapprentanti e rappresentati, mentre dà l’idea
che in Italia tutto si salva con una bella scoppola al ceto politico. Per i 5
Stelle è una conquista decisiva, un successone, che potrebbero spendere alla
grande coi loro sostenitori, una sorta di Vercingetorige dietro il carro di
Cesare. Ma è possibile farlo questo taglio dal quale non nasce niente se non la
soddisfazione di cui sopra? Salvini, che ha capito che non si può fare, stando
come stanno le cose, ha detto che è d’accordo. Ma sì facciamolo pure questo
cazzo di taglio, che sarà mai? Ma di rimando i 5 Stelle gli hanno detto che chi
vota la sfiducia a Conte di fatto impedisce che il taglio dei parlamentari si
faccia, spostando tutto al voto di sfiducia.
Qualcosa di nuovo potrebbe venir
fuori il 20-21 agosto, quando Conte farà le sue dichiarazioni al Senato e il
giorno dopo alla Camera.
In attesa di novità le ipotesi sul
tavolo sono quattro. La prima è che Salvini e Di Maio dicano abbiamo scherzato,
ora ci rimettiamo insieme e siamo più forti di prima.
Seconda, espletati gli
adempimenti costituzionali, ossia consultazioni, incarichi esplorativi e
quant’altro, si arrivi allo scioglimento delle Camere.
Terza, un governo di soli
Pentastellati con appoggi esterni arcobaleno, magari presieduto da Di Maio, con
Conte alla Commissione Europea.
Quarta, un governo di coalizione Pd-M5S con velleità di legislatura. E’
possibile tutto, anche se, a voler uscire da bizantinismi e ciellenismi fuori
stagione, la soluzione più diretta e democratica è far decidere il popolo. Adattando
alla bisogna quel che diceva Vanini, un filosofo non finito proprio bene per
quello che diceva, si può dire che quanto più ci si allontana dal popolo tanto
più ci si avvicina all’imbroglio. Può essere che alla fine Mattarella si faccia
una tantum vaniniano e mandi tutti a
votare.
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