domenica 18 agosto 2019

Salvini e il colpo di sole dell'8 agosto




Che cosa abbia potuto spingere Matteo Salvini l’8 agosto a chiedere al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte di mettersi da parte per andare a nuove elezioni non può essere stato che un colpo di sole, anche se tra i raggi martellanti di quei giorni di canicola agostana di motivazioni pseudorazionali ne circolavano, sconnesse da un disegno politico ponderato. Salvini deve essersi sentito come quei pugili che vengono sollecitati dai loro tifosi a dare il colpo del ko all’avversario in difficoltà. Chi erano i suoi tifosi? Quelli della Lega, la gente delle spiagge, gli intraprendenti operatori economici che pensano che fare i politici sia come fare gli imprenditori, né più né meno; delusi e scatenati dalla mancata approvazione delle autonomie differenziate delle loro regioni e dalla mancata flattax. Ma i politici che vogliano comportarsi come bottegai conviene che ruinorno direbbe Machiavelli.
Da mesi, almeno dalla campagna per le Europee e conseguente risultato elettorale, un giorno sì e l’altro pure, c’era chi sollecitava a staccare la spina, metafora del politichese nostrano per significare la fine traumatica del governo. Ma a ridosso di simili motivi sopraggiungeva forte la dissuasione per mancanza di alternative parlamentari, dato per scontato – ma non per l’assolato Salvini evidentemente – che alle urne non si sarebbe andati nel migliore dei casi se non dopo aver percorso l’iter costituzionale, che non è esattamente come passare dall’oggi al domani.
Salvini deve aver pensato: sono tutti e forse più di me per elezioni anticipate, ciascuno per un suo motivo. Lo sono Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il Pd nei tre corni Zingaretti-Calenda-Renzi esclude accordi col M5S. Il M5S è annichilito dalla disfatta elettorale e dalle prospettive per nulla promettenti. Gli altri, i cespugli: Leu e + Europa, non contano un fico neppure verde. Ergo: Mattarella scioglie il Parlamento e il 13 ottobre si va a votare.
Ma ecco la realtà. Tutte quelle forze politiche, singolarmente prese, che erano per le elezioni anticipate, si ritrovano improvvisamente più o meno compatte in un nuovo fronte ciellenista, da liberazione nazionale, tutte insieme per combattere il comune nemico, quello dei “pieni poteri”, il mattatore del Papeete. Fatta eccezione per i due partiti di destra, FI e FdI, che hanno continuato ad invocare le urne, tutti gli altri hanno cambiato parere, questo sì dall’oggi al domani.
E’ apparso subito che il gesto di Salvini è stato improvvido proprio per le ragioni che nei mesi precedenti suggerivano di non mettere in crisi il governo per mancanza di chiare vie d’uscita. Ora tutti si affidano alla saggezza e all’imparzialità del Presidente della Repubblica. Ci sono quelli che, come Renzi e Grasso, sono disposti a tagliarsi gli attributi – se ne hanno ancora! – per impedire le elezioni anticipate. Ci sono altri, come Zingaretti, che operano un distinguo fra un governicchio da evitare e un governo di legislatura, forse perché furbescamente pensano che sia difficile farlo, e chi, come Calenda, che minaccia scissioni nell’ipotesi di un accordo Pd-M5S. Ma ci sono altri ancora, i nostalgici del governo giallo-verde, e fra questi lo stesso Salvini, peraltro assai pentito dal gesto inconsulto dell’8 agosto, che sarebbero per una riedizione del governo e far passare la crisi come una passeggera febbre da caldo estivo. Chi è inchiodato alle urne subito, senza se e senza ma, sono quelli di Forza Italia e Fratelli d’Italia, che Salvini non ha tanto entusiasmo di riabbracciare peraltro davanti ad un notaio.
Uno degli aspetti più miserabili di questa crisi di governo è l’approvazione del taglio di 345 parlamentari, che allarga ancor più la forbice tra rapprentanti e rappresentati, mentre dà l’idea che in Italia tutto si salva con una bella scoppola al ceto politico. Per i 5 Stelle è una conquista decisiva, un successone, che potrebbero spendere alla grande coi loro sostenitori, una sorta di Vercingetorige dietro il carro di Cesare. Ma è possibile farlo questo taglio dal quale non nasce niente se non la soddisfazione di cui sopra? Salvini, che ha capito che non si può fare, stando come stanno le cose, ha detto che è d’accordo. Ma sì facciamolo pure questo cazzo di taglio, che sarà mai? Ma di rimando i 5 Stelle gli hanno detto che chi vota la sfiducia a Conte di fatto impedisce che il taglio dei parlamentari si faccia, spostando tutto al voto di sfiducia.
Qualcosa di nuovo potrebbe venir fuori il 20-21 agosto, quando Conte farà le sue dichiarazioni al Senato e il giorno dopo alla Camera.
In attesa di novità le ipotesi sul tavolo sono quattro. La prima è che Salvini e Di Maio dicano abbiamo scherzato, ora ci rimettiamo insieme e siamo più forti di prima.
Seconda, espletati gli adempimenti costituzionali, ossia consultazioni, incarichi esplorativi e quant’altro, si arrivi allo scioglimento delle Camere.
Terza, un governo di soli Pentastellati con appoggi esterni arcobaleno, magari presieduto da Di Maio, con Conte alla Commissione Europea.
Quarta, un governo di coalizione Pd-M5S con velleità di legislatura. E’ possibile tutto, anche se, a voler uscire da bizantinismi e ciellenismi fuori stagione, la soluzione più diretta e democratica è far decidere il popolo. Adattando alla bisogna quel che diceva Vanini, un filosofo non finito proprio bene per quello che diceva, si può dire che quanto più ci si allontana dal popolo tanto più ci si avvicina all’imbroglio. Può essere che alla fine Mattarella si faccia una tantum vaniniano e mandi tutti a votare.

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