Nel nostro sgangherato mondo
politico abbiamo due Mattei, l’uno e l’altro hanno una < e > in più. In
realtà sono due matti.
Prendiamo il Matt[e]o Salvini.
Era al governo da poco più di un anno, dove aveva strafatto ad libitum; aveva fatto crescere a
dismisura il suo partito nei sondaggi, era diventato il personaggio più popolare
d’Italia. E va bene che era anche il più amato e il più odiato. C’era gente che
per arrivare a lui avrebbe percorso l’Italia a piedi. Ed altra, cristianissima,
che sarebbe diventata turca per i suoi baciamenti pubblici a cristi e madonne. Quel povero Di Maio lo vedevi e ti veniva da piangere,
mesto; anzi, sforzatamente gaio, era la maschera di Pierrot. Aveva iniziato con
un partitone, era ridotto ad un partitino. Sondaggi, voi direte; ma i sondaggi oggi
sono più credibili delle previsioni metereologiche, che pure si sbagliano di
pochissimo. Se si sbagliano!
Che voleva di più Salvini? Voleva
votare dall’oggi al domani, come se in Italia non ci fossero una Costituzione e
delle leggi, che impongono tempi e procedure e tanti tanti avversari che si
buttano come falchi sulla preda.
Dice Conte, il giubilato, col
quale Salvini sostiene ancora di aver lavorato benissimo, che nel colloquio
avuto a quattr’occhi gli ha detto papale papale: i sondaggi mi danno un
vantaggio che io voglio capitalizzare subito. Posto che le cose siano andate
così – in politica non credere a quel che dicono è un imperativo kantiano – che
voleva Salvini, che Conte lo aiutasse nella sua mattana (da Matteo)?
E l’altro Matt[e]o, il Renzi, che
da sempre ha ostacolato ogni accordo fra il Pd e i Cinquestelle, minacciando perfino
scissioni, che fa? Altra mattana (sempre da Matteo)! Dice: bisogna fare subito
un governo coi Cinquestelle, in disaccordo col suo segretario Zingaretti, il
quale precipitosamente aveva detto che bisognava andare subito a votare.
Insomma una tromba d’aria –
mettiamola così – al termine della quale chi prima era bianco si ritrova nero;
e chi prima era nero si ritrova bianco. Chi era al governo sfiducia il governo,
ovvero sfiducia se stesso, e chi era all’opposizione vota masochisticamente la
fiducia al governo e si condanna a stare qualche anno altro all’opposizione. Il
rovesciamento totale delle parti. Ad un certo punto si sono messi anche a farsi
i dispetti. Prima Di Maio vuole tagliare 345 parlamentari e poi andare a
votare, come se le due cose potessero stare come lunedì e martedì! Poi, quando
il Matt[e]o Salvini capisce la provocazione dice: va bene, tagliamo i
parlamentari e poi votiamo. Ma l’altro non ci sta e rilancia: tagliamo anche
gli stipendi… E così, tra una mattana e l’altra, nel caldo torrido di una
estate che gli annali patrii tramanderanno ai posteri come la più calda e
politicamente la più sciocca, si è andati avanti fino all’incartamento della
crisi.
E tutto questo perché? Per tenere
il popolo lontano dalla politica. Il grande assente in tutta questa tragicomica
vicenda è lui, il popolo, che in una sana democrazia dovrebbe essere sempre il
punto di riferimento, il terminale di tutto. E’ vero che per dettato costituzionale
il Presidente della Repubblica prima di sciogliere il Parlamento e indire nuove
elezioni, deve verificare se in Parlamento è possibile un’altra maggioranza, ma
questo non può mai avere il solo scopo di escludere il popolo dalla partita,
peraltro con dichiarazioni esplicite da parte della gran parte dei soggetti
politici. Non si deve votare per impedire che vinca Salvini. Ma se il popolo la
pensa in questo modo, come gli si può andare contro? Ma in Italia
strafottersene del popolo è regola mai scritta ma la sola rispettata fra
scritte e non scritte.
Prendiamo l’immigrazione
irregolare. Il popolo italiano in materia è categorico: non vuole che l’Italia
diventi il paese refugium populorum,
una balcanizzazione di razze e di religioni, a parte le degenerazioni del
fenomeno, comprese le cooperative che sugli immigrati hanno fatto guadagni
enormi nell’era presalviniana.
Il popolo è nel torto? E’ nella
ragione? Se è nel torto una classe dirigente seria dovrebbe convincerlo a
cambiare opinione. Invece non riesce che a piagnucolare indistinti e generici
pietismi, mentre i poteri dello Stato sono gli uni contro gli altri: esecutivo
contro giudiziario; e così i ministeri: interni contro trasporti e contro
difesa. In questo modo il Paese appare al mondo lacerato e confuso. Che fanno
gli altri paesi? La Germania gli immigrati irregolari li ammanetta, li seda, li
mette sull’aereo e li riporta nei loro paesi di provenienza. Il popolo italiano si riconosce in queste
metodiche e non certo in quelle predicate dai suoi rappresentanti. Perciò il
popolo italiano non deve votare, non deve democraticamente darsi il governo che
vuole. Il Matt[e]o Renzi è stato badoglianamente esplicito: impedire che il
popolo voti per impedire che Salvini vinca le elezioni! Una democrazia simile
può anche non correre rischi sudamericani, dato che siamo in contesti
geopolitici differenti, ma non può che tirare a campare in un modus vivendi popolo-istituzioni di
reciproca strafottenza.
Un paese dove si ha paura del voto è destinato al disordine crescente,
alle incertezze assunte a regime. Riflettiamo: se pure si volesse considerare
il fenomeno “Salvini” una degenerazione della democrazia e del costume politico
– e per certi aspetti lo è – ci si dovrebbe chiedere da dove e come è nato e
cresciuto e riconoscere con onestà intellettuale che è figlio proprio di quel
disordine e di quelle incertezze di cui si diceva, che producono fenomeni
sempre più gravi e sempre meno gestibili.
Nessun commento:
Posta un commento