giovedì 15 agosto 2019

Purché il popolo non conti nulla




Nel nostro sgangherato mondo politico abbiamo due Mattei, l’uno e l’altro hanno una < e > in più. In realtà sono due matti.
Prendiamo il Matt[e]o Salvini. Era al governo da poco più di un anno, dove aveva strafatto ad libitum; aveva fatto crescere a dismisura il suo partito nei sondaggi, era diventato il personaggio più popolare d’Italia. E va bene che era anche il più amato e il più odiato. C’era gente che per arrivare a lui avrebbe percorso l’Italia a piedi. Ed altra, cristianissima, che sarebbe diventata turca per i suoi baciamenti pubblici a cristi e madonne. Quel povero Di Maio lo vedevi e ti veniva da piangere, mesto; anzi, sforzatamente gaio, era la maschera di Pierrot. Aveva iniziato con un partitone, era ridotto ad un partitino. Sondaggi, voi direte; ma i sondaggi oggi sono più credibili delle previsioni metereologiche, che pure si sbagliano di pochissimo. Se si sbagliano!
Che voleva di più Salvini? Voleva votare dall’oggi al domani, come se in Italia non ci fossero una Costituzione e delle leggi, che impongono tempi e procedure e tanti tanti avversari che si buttano come falchi sulla preda.
Dice Conte, il giubilato, col quale Salvini sostiene ancora di aver lavorato benissimo, che nel colloquio avuto a quattr’occhi gli ha detto papale papale: i sondaggi mi danno un vantaggio che io voglio capitalizzare subito. Posto che le cose siano andate così – in politica non credere a quel che dicono è un imperativo kantiano – che voleva Salvini, che Conte lo aiutasse nella sua mattana (da Matteo)?
E l’altro Matt[e]o, il Renzi, che da sempre ha ostacolato ogni accordo fra il Pd e i Cinquestelle, minacciando perfino scissioni, che fa? Altra mattana (sempre da Matteo)! Dice: bisogna fare subito un governo coi Cinquestelle, in disaccordo col suo segretario Zingaretti, il quale precipitosamente aveva detto che bisognava andare subito a votare.
Insomma una tromba d’aria – mettiamola così – al termine della quale chi prima era bianco si ritrova nero; e chi prima era nero si ritrova bianco. Chi era al governo sfiducia il governo, ovvero sfiducia se stesso, e chi era all’opposizione vota masochisticamente la fiducia al governo e si condanna a stare qualche anno altro all’opposizione. Il rovesciamento totale delle parti. Ad un certo punto si sono messi anche a farsi i dispetti. Prima Di Maio vuole tagliare 345 parlamentari e poi andare a votare, come se le due cose potessero stare come lunedì e martedì! Poi, quando il Matt[e]o Salvini capisce la provocazione dice: va bene, tagliamo i parlamentari e poi votiamo. Ma l’altro non ci sta e rilancia: tagliamo anche gli stipendi… E così, tra una mattana e l’altra, nel caldo torrido di una estate che gli annali patrii tramanderanno ai posteri come la più calda e politicamente la più sciocca, si è andati avanti fino all’incartamento della crisi.
E tutto questo perché? Per tenere il popolo lontano dalla politica. Il grande assente in tutta questa tragicomica vicenda è lui, il popolo, che in una sana democrazia dovrebbe essere sempre il punto di riferimento, il terminale di tutto. E’ vero che per dettato costituzionale il Presidente della Repubblica prima di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, deve verificare se in Parlamento è possibile un’altra maggioranza, ma questo non può mai avere il solo scopo di escludere il popolo dalla partita, peraltro con dichiarazioni esplicite da parte della gran parte dei soggetti politici. Non si deve votare per impedire che vinca Salvini. Ma se il popolo la pensa in questo modo, come gli si può andare contro? Ma in Italia strafottersene del popolo è regola mai scritta ma la sola rispettata fra scritte e non scritte.
Prendiamo l’immigrazione irregolare. Il popolo italiano in materia è categorico: non vuole che l’Italia diventi il paese refugium populorum, una balcanizzazione di razze e di religioni, a parte le degenerazioni del fenomeno, comprese le cooperative che sugli immigrati hanno fatto guadagni enormi nell’era presalviniana.
Il popolo è nel torto? E’ nella ragione? Se è nel torto una classe dirigente seria dovrebbe convincerlo a cambiare opinione. Invece non riesce che a piagnucolare indistinti e generici pietismi, mentre i poteri dello Stato sono gli uni contro gli altri: esecutivo contro giudiziario; e così i ministeri: interni contro trasporti e contro difesa. In questo modo il Paese appare al mondo lacerato e confuso. Che fanno gli altri paesi? La Germania gli immigrati irregolari li ammanetta, li seda, li mette sull’aereo e li riporta nei loro paesi di provenienza.  Il popolo italiano si riconosce in queste metodiche e non certo in quelle predicate dai suoi rappresentanti. Perciò il popolo italiano non deve votare, non deve democraticamente darsi il governo che vuole. Il Matt[e]o Renzi è stato badoglianamente esplicito: impedire che il popolo voti per impedire che Salvini vinca le elezioni! Una democrazia simile può anche non correre rischi sudamericani, dato che siamo in contesti geopolitici differenti, ma non può che tirare a campare in un modus vivendi popolo-istituzioni di reciproca strafottenza.
Un paese dove si ha paura del voto è destinato al disordine crescente, alle incertezze assunte a regime. Riflettiamo: se pure si volesse considerare il fenomeno “Salvini” una degenerazione della democrazia e del costume politico – e per certi aspetti lo è – ci si dovrebbe chiedere da dove e come è nato e cresciuto e riconoscere con onestà intellettuale che è figlio proprio di quel disordine e di quelle incertezze di cui si diceva, che producono fenomeni sempre più gravi e sempre meno gestibili.

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