Lo si leggeva nel volto la sera
del 22 agosto quando, al termine delle consultazioni, il Presidente della
Repubblica Mattarella, comunicava le “conclusioni” dei due giorni di colloqui
con le forze politiche. Era deluso dall’inconcludenza di quasi tutti gli ospiti
della crisi, i quali si erano detti disposti a fare un governo o andare a nuove
elezioni, che era come affermare una banalità assoluta. Che altro si può fare
in una crisi? Soprattutto i Cinquestelle, che, come un anno e mezzo prima, dopo
aver snocciolato una lunga sequela di cose che vorrebbero fare hanno concluso
che chiunque le avesse condivise avrebbe potuto contattarli per fare un accordo
di governo. Una sorta di annuncio commerciale: un AAA cercasi. Chi s’aspettava
un’indicazione con chi preferibilmente quelle cose si potevano fare rimaneva
deluso, se non proprio seccato. Proprio per questa indeterminatezza, per non
chiamarla irresponsabile dilettantismo, Mattarella, dopo aver richiamato tutti
al senso di responsabilità e ricordati i gravi adempimenti del Paese anche in
esposizione internazionale di questa ultima parte di anno, ha concesso una
proroga di altri cinque giorni. Appuntamento a martedì mattina 27 agosto.
Le opzioni in campo sono due:
governo M5s-Pd o riedizione di un governo M5s-Lega. Mattarella ha escluso
governi cosiddetti istituzionali. Altre ipotesi non se ne vedono.
La prima opzione è stata
determinata dall’abile e fulminea azione di Matteo Renzi. Il quale, da sempre
contro ogni intesa col M5s, ha colto subito l’occasione, pur di evitare
elezioni anticipate, di considerare non solo come fattibile un simile governo
ma indispensabile per non lasciare il Paese alla deriva salviniana, considerata
la maxima iniuria. E’ in effetti
l’azione di Renzi il colpo vero di questa crisi. Non fosse stato per questa
insospettabile sua piroetta si sarebbe andati dritti dritti al voto anticipato.
Naturalmente Renzi non è preoccupato solo della deriva salviniana ma anche di
perdere il controllo sui gruppi parlamentari del suo partito, oggi nelle sue
mani. La qual cosa accadrebbe con le liste approntate dalla segreteria
Zingaretti, a lui ostile.
La seconda opzione, altrettanto
insospettabile, è un governo-riedizione gialloverde. Ideatore, questa volta, è
Matteo Salvini, che in risposta al blitz di Renzi, ha risposto con un contro
blitz. Chi poteva immaginare che dopo aver provocato la rottura e la crisi
fosse poi suggeritore e promotore della stessa formula di governo? Ma tant’è.
Di fronte all’eventualità che si formasse un governo di sconfitti, M5s-Pd, con
grave nocumento per lui come leader, per la sua Lega, per il suo Nord e per il Paese intero,
Salvini ha fatto la contromossa.
Ma non meno indeterminata e
contraddittoria è la posizione degli altri. Berlusconi parla di un centrodestra
che non esiste. Esiste, e come!, fanno osservare i politici di Fi, basti vedere
come opera negli enti locali. Ma un governo centrale non è la stessa cosa. Le
divergenze fra Fi e FdI e Lega sono rimarcate da questi ultimi, che nelle loro
ipotesi Fi non la tengono neppure in considerazione.Fi è una forza liberale,
FdI e Lega due forze sovraniste. Fratelli d’Italia inoltre è per votazioni
subito. La Lega, invece, si è detta disponibile a rifare il governo col M5s. E,
allora, di quale centrodestra parliamo?
Fuori dagli addetti ai lavori, ovvero
dei politici, gli osservatori sono ancor più confusi. Abbiamo ascoltato
studiosi come Carlo Revelli e Michele Ainis (In Onda di giovedì, 22 agosto) affermare che in situazioni confuse
non bisogna ricorrere al voto e che, senza dirlo esplicitamente, bisogna
imporre una linea, che, se pure è formalmente costituzionale, quella di una
maggioranza parlamentare numerica, politicamente non lo è perché in direzione
opposta a quella che si teme il popolo elettore possa avere. E’ una tendenza fondamentalmente
antidemocratica e nello specifico attuale di parte, in favore di chi fa di
tutto per impedire che la Lega torni al governo, da sola o in compagnia. Il
fatto che la Costituzione stabilisca il voto ogni cinque anni non significa che
non si possa votare quando la situazione lo richiede. “Il Presidente della
Repubblica – dice l’art. 88 – può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le
Camere o anche una sola di esse”. E, se pure la politica è l’arte del
possibile, e dunque del discutibile, non si può ignorare un preciso disposto
della Costituzione, che peraltro non precisa quante volte si può votare e a che
distanza di tempo in caso di crisi.
Come andrà a finire è un rebus
con indicazioni depistanti. Quel che appare chiaro è che c’è un paese legale,
che grosso modo si può identificare col centrosinistra, dai Radicali ai Liberi
& Uguali, passando dal Pd o per una sua parte, contrario a che si voti per
vari motivi, che valgono per alcuni e non valgono per altri. Emma Bonino ha
fatto presente che votando con l’attuale sistema non ci sarebbe posto che per
cinque formazioni (M5s, Lega, Pd, Fi e FdI) gli altri sarebbero esclusi non
riuscendo a superare la soglia di sbarramento. E poi c’è un paese reale, che
vuole votare non riconoscendosi nell’attuale maggioranza parlamentare.
Le varie situazioni esaminate in questa breve carrellata,
politiche-parlamentari-costituzionali, ci fanno capire come questa crisi aperta
in maniera inopinata in un periodo in cui i bioritmi non producono né azioni né
scelte ponderate, è davvero complicata. Si capisce, allora, perché Mattarella
sia rimasto non solo deluso, ma col suo permesso, anche un po’ irritato dai
comportamenti dilatori ed elusivi degli attuali politici.
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