venerdì 23 agosto 2019

Mattarella irritato dall'indeterminatezza dei politici




Lo si leggeva nel volto la sera del 22 agosto quando, al termine delle consultazioni, il Presidente della Repubblica Mattarella, comunicava le “conclusioni” dei due giorni di colloqui con le forze politiche. Era deluso dall’inconcludenza di quasi tutti gli ospiti della crisi, i quali si erano detti disposti a fare un governo o andare a nuove elezioni, che era come affermare una banalità assoluta. Che altro si può fare in una crisi? Soprattutto i Cinquestelle, che, come un anno e mezzo prima, dopo aver snocciolato una lunga sequela di cose che vorrebbero fare hanno concluso che chiunque le avesse condivise avrebbe potuto contattarli per fare un accordo di governo. Una sorta di annuncio commerciale: un AAA cercasi. Chi s’aspettava un’indicazione con chi preferibilmente quelle cose si potevano fare rimaneva deluso, se non proprio seccato. Proprio per questa indeterminatezza, per non chiamarla irresponsabile dilettantismo, Mattarella, dopo aver richiamato tutti al senso di responsabilità e ricordati i gravi adempimenti del Paese anche in esposizione internazionale di questa ultima parte di anno, ha concesso una proroga di altri cinque giorni. Appuntamento a martedì mattina 27 agosto.
Le opzioni in campo sono due: governo M5s-Pd o riedizione di un governo M5s-Lega. Mattarella ha escluso governi cosiddetti istituzionali. Altre ipotesi non se ne vedono.
La prima opzione è stata determinata dall’abile e fulminea azione di Matteo Renzi. Il quale, da sempre contro ogni intesa col M5s, ha colto subito l’occasione, pur di evitare elezioni anticipate, di considerare non solo come fattibile un simile governo ma indispensabile per non lasciare il Paese alla deriva salviniana, considerata la maxima iniuria. E’ in effetti l’azione di Renzi il colpo vero di questa crisi. Non fosse stato per questa insospettabile sua piroetta si sarebbe andati dritti dritti al voto anticipato. Naturalmente Renzi non è preoccupato solo della deriva salviniana ma anche di perdere il controllo sui gruppi parlamentari del suo partito, oggi nelle sue mani. La qual cosa accadrebbe con le liste approntate dalla segreteria Zingaretti, a lui ostile.
La seconda opzione, altrettanto insospettabile, è un governo-riedizione gialloverde. Ideatore, questa volta, è Matteo Salvini, che in risposta al blitz di Renzi, ha risposto con un contro blitz. Chi poteva immaginare che dopo aver provocato la rottura e la crisi fosse poi suggeritore e promotore della stessa formula di governo? Ma tant’è. Di fronte all’eventualità che si formasse un governo di sconfitti, M5s-Pd, con grave nocumento per lui come leader, per la sua Lega, per il suo Nord e per il Paese intero, Salvini ha fatto la contromossa.
Ma non meno indeterminata e contraddittoria è la posizione degli altri. Berlusconi parla di un centrodestra che non esiste. Esiste, e come!, fanno osservare i politici di Fi, basti vedere come opera negli enti locali. Ma un governo centrale non è la stessa cosa. Le divergenze fra Fi e FdI e Lega sono rimarcate da questi ultimi, che nelle loro ipotesi Fi non la tengono neppure in considerazione.Fi è una forza liberale, FdI e Lega due forze sovraniste. Fratelli d’Italia inoltre è per votazioni subito. La Lega, invece, si è detta disponibile a rifare il governo col M5s. E, allora, di quale centrodestra parliamo?
Fuori dagli addetti ai lavori, ovvero dei politici, gli osservatori sono ancor più confusi. Abbiamo ascoltato studiosi come Carlo Revelli e Michele Ainis (In Onda di giovedì, 22 agosto) affermare che in situazioni confuse non bisogna ricorrere al voto e che, senza dirlo esplicitamente, bisogna imporre una linea, che, se pure è formalmente costituzionale, quella di una maggioranza parlamentare numerica, politicamente non lo è perché in direzione opposta a quella che si teme il popolo elettore possa avere. E’ una tendenza fondamentalmente antidemocratica e nello specifico attuale di parte, in favore di chi fa di tutto per impedire che la Lega torni al governo, da sola o in compagnia. Il fatto che la Costituzione stabilisca il voto ogni cinque anni non significa che non si possa votare quando la situazione lo richiede. “Il Presidente della Repubblica – dice l’art. 88 – può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse”. E, se pure la politica è l’arte del possibile, e dunque del discutibile, non si può ignorare un preciso disposto della Costituzione, che peraltro non precisa quante volte si può votare e a che distanza di tempo in caso di crisi.
Come andrà a finire è un rebus con indicazioni depistanti. Quel che appare chiaro è che c’è un paese legale, che grosso modo si può identificare col centrosinistra, dai Radicali ai Liberi & Uguali, passando dal Pd o per una sua parte, contrario a che si voti per vari motivi, che valgono per alcuni e non valgono per altri. Emma Bonino ha fatto presente che votando con l’attuale sistema non ci sarebbe posto che per cinque formazioni (M5s, Lega, Pd, Fi e FdI) gli altri sarebbero esclusi non riuscendo a superare la soglia di sbarramento. E poi c’è un paese reale, che vuole votare non riconoscendosi nell’attuale maggioranza parlamentare.
Le varie situazioni esaminate in questa breve carrellata, politiche-parlamentari-costituzionali, ci fanno capire come questa crisi aperta in maniera inopinata in un periodo in cui i bioritmi non producono né azioni né scelte ponderate, è davvero complicata. Si capisce, allora, perché Mattarella sia rimasto non solo deluso, ma col suo permesso, anche un po’ irritato dai comportamenti dilatori ed elusivi degli attuali politici.

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