Se c’è un aspetto che indulge
alla comprensione nello sconsiderato colpo di sole di Salvini dell’8 agosto è
l’aver liberato le maschere di questo nostro allegro paese tenute nascoste dal
pudore e dall’ipocrisia. Nulla di nuovo nemmeno all’ombra di un parlamento che
ne ha viste di tutti i colori, figurarsi sotto il sole agostano. Sorprende solo
la fulmineità con cui tutti sono usciti allo scoperto come se stessero aspettando
da chissà quanto tempo l’occasione per sprizzar fuori come atleti che allo
sparo dello starter schizzano dai blocchi di partenza in una gara di velocità.
Velocissimi sono stati i vari lideroni
e liderini a mostrarsi diversi da quello che erano prima o, meglio, di come
prima apparivano. Una vera gara di trasformismo che ricorda il celebre Leopoldo
Frègoli, il trasformista che fra Ottocento e Novecento si esibì nei teatri di
tutto il mondo in fulminei cambi d’abito e di parte. Nomen omen, ché a fregare nel
nostro caso hanno mirato tutti. Frègoli gareggiava col tempo, questi qua tra di
loro, goffi e impudichi.
Chi se l’immaginava un Matteo
Renzi, da sempre avverso al M5S invocare subito un accordo col partito di
Grillo? E chi poteva immaginare un Grillo, inventore dei vaffa ai vecchi della schifosissima casta, invocare subito un
accordo col Pd, il partito di Bibbiano, per arginare i “barbari” della Lega?
Chi, un Prodi, uscito dal museo delle cere, a invocare l’alleanza dell’Ursula
con Pd-M5s-Fi, come se fosse una sua invenzione? Chi, uno Zingaretti, che non
vuole un accordo provvisorio col M5s ma non ne disdegna uno di legislatura? E
se questi sono i capi, ve li immaginate i loro codazzi di grandi, medi, piccoli
e piccolissimi cortigiani? C’è da ridere fino a pestarsi i cabbasisi (Camilleri copyright),
a vederli tutti indaffarati e sudaticci a cercare nuovi look politici fingendo tutti di crederci. Le risate saranno
triplicate e di più quando non passerà molto tempo e tutti dovranno riprendere
la maschera dismessa, dato che il volto di ciascuno non si sa dove sia andato a
finire e ciascuno se l’è dimenticato perfino com’era.
Non fosse per altro, grazie
Salvini per lo spettacolo provocato!
Ma come non c’è festa senza qualche
lacrima di pianto e lutti senza un po’ di riso, come non basta una lacrima a
cancellare la gioia di una festa e non c’è risata a cancellare la tristezza di
una tragedia, così rimuoviamo il riso e cerchiamo di capire dove si vuole
andare o piuttosto come si vuole uscire da una situazione che sembra una farsa
ma è purtroppo una tragedia.
La prima considerazione che viene
di fare è che comunque si posizioni il M5s, col Pd o di nuovo con la Lega, deve
dire addio al < movimento > che fu. Il M5s, a differenza di tutte le
altre maschere, che non hanno mai negato di essere tali, aveva la pretesa di
non essere una maschera, ma il volto vero di un progetto rivoluzionario che
faceva della sua diversità la cifra della sua credibilità. Nel momento in cui pure
lui si dispone ad alleanze con chiunque pur di…, di fatto decreta la sua
diversità e dunque la sua credibilità.
Per converso gli altri, quelli
dal pedigree ideologico, dalle nobili ascendenze, che vantavano un’identità
politica e che rimproveravano al M5s di essere un’accozzaglia di avventurieri
senza arte né parte, nel momento in cui tutti fanno a gara per averlo come
compagno, di fatto rinunciano alla propria identità e s’accozzagliano come
possono. Sembrano tante Lady Chatterly che fanno la fila per farsi il guardiacaccia.
Il livello è unico ed è quello dei grillini. E gli ex grillini, i duri e puri,
scoprono che è perfino bello trasgredire, che certe amicizie convengono più di
altre e che il popolo alla fine non si sa dove stia e con chi stia. Già, perché
c’è anche un trasformismo del popolo, che ora riversa voti a caterve su Renzi,
ora su Grillo, ora su Salvini, così a brevi periodi di distanza.
Questa carnevalata estiva segna
davvero un momento cruciale nella storia politica di questo paese. Il M5s,
criticabilissimo quanto vogliamo, costituiva un’apertura, una speranza, diciamo
un’utopia. Pur nato dal più becero populismo e dallo più stomachevole
demagogismo, specialmente per chi lo aveva fondato, un comico straricco che ora
imita con le sue residenze lo psiconano Berlusconi, opponendo alla villa San
Martino di Arcore quella di Bibbona, era un elemento di novità che avrebbe
potuto creare situazioni diverse nel paese, costringere gli altri a rifare i
conti con se stessi, a chiedersi se per caso non avessero sbagliato e non
ritenessero di correggersi per mettersi in linea con chi costituiva, nel caso
del M5s, una proposta di rigenerazione. Questa disponibilità del M5s ad unirsi
con chiunque decreta la fine di un percorso, nel quale, a dire il vero, ci
credevano soltanto i suoi sostenitori e forse pochi altri. Ma era importante
che ci credessero. Ora non ci crede più nessuno.
La figuraccia di Salvini, con le
sue accelerazioni e frenate improvvise, non solo ridimensiona un leader che con
tutti i suoi difetti dava a una certa Italia la speranza di un cambiamento, ma
potrebbe far riprecipitare la Lega alla sua dimensione bossiana, al prima i
Padani!, a riportare l’Italia alla crisi della cosiddetta seconda repubblica. Il
che ci fa registrare un ritorno al vecchio establishment postdemocristiano e
postcomunista, con l’aggravante che non c’è più un credibile partito che ne
assicuri l’esercizio politico. Il Pd, infatti, è lacerato in molte anime; alle tradizionali,
democristiana e comunista, si è aggiunta quella liberale di Calenda.
Quanto alla destra, ormai
ridottasi ad un’ipotesi elettorale senza prospettive, vince le elezioni ma non
costituisce una proposta di governo unitaria. Forza Italia rischia di
consumarsi come un cero votivo. E FdI, senza la Lega e Fi, è poco più di un
fiammifero.
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