Sembra che il Presidente
Mattarella abbia parlato a sordi. La sua raccomandazione di giovedì sera, 22
agosto, rivolta a tutti – e al Paese per conoscenza – al termine dei due giorni
di consultazioni, di essere chiari e solleciti nei cinque giorni di proroga
concessi, si è persa nelle nebbie delle finzioni e delle furbate dei
protagonisti, chiamiamoli così, della crisi governativa. Il primo giorno è
passato inutilmente, tra dichiarazioni e smentite, fakenew e soprattutto messaggi obliqui.
L’incontro di venerdì, 23 agosto,
tra Nicola Zingaretti, segretario Pd, e Luigi Di Maio, capo dei Cinquestelle,
si è concluso con un nulla di fatto. Anzi, peggio, perché i due interlocutori
hanno messo delle condizioni non per accordarsi ma per precludere qualsiasi
accordo.
Zingaretti ha proposto
discontinuità rispetto al dimesso governo gialloverde, e Di Maio, anche su
suggerimento di Beppe Grillo, ha risposto o con Giuseppe Conte a Palazzo Chigi
o niente. Zingaretti non ha risposto niente, ma qualcosa che gli somiglia per
perdere tempo.
Ma pare modo di incontrarsi per
raggiungere una via d’uscita dalla crisi? La verità è che né l’uno né l’altro
intendono veramente accordarsi, perché sanno di essere non a capo di partiti
coesi ma di bande che tirano ognuna dalla propria parte.
Pd e Cinquestelle, dopo le
Europee, sanno di essere due partiti sconfitti. Perché continuano ad usare la
spocchia, l’uno (Pd) di una supposta superiorità culturale e l’altro (M5s) di
una rivendicata purezza civile? Non dovrebbero abbassare le ali e volare terra
terra, anzi stare coi piedi per terra?
Zingaretti, dopo aver preteso la
chiusura di uno dei due forni dei Cinquestelle – niente fornicazioni segrete
con la Lega – ha dovuto subire l’ennesimo attacco della sua opposizione
interna, quella di Renzi, maestro anche a gettare il sasso e a nascondere la mano. La minaccia di
scissione nel caso di fallimento delle trattative coi Cinquestelle, allo scopo
di evitare il voto anticipato, in seguito alle condizioni inaccettabili che
sarebbero state poste da Gentiloni, è stata una messinscena, altro che disobbedienza
di un suo allievo a tener spento il cellulare a lezione. Se non voleva che
quelle parole non si sapessero Renzi semplicemente non le avrebbe dette. E’
stato un messaggio che doveva giungere con efficacia a chi poi è giunto. Ed ha dimostrato
che il Pd è lontanissimo dalla propagandata compattezza.
Da parte loro i Cinquestelle non
sono meno disuniti. Il canto delle sirene della Lega di rifare insieme il
governo gialloverde non è affatto da sottovalutare. Intanto il loro dissidio interno
è aperto e solare. Di Battista e Paragone lo hanno detto apertamente: meglio
con la Lega che col Pd; se no, meglio ancora il voto.
Massimo Franco sul “Corriere
della Sera” di sabato, 24 agosto, ha detto una verità grande quanto
Montecitorio e Palazzo Madama messi assieme: “La sensazione è che quasi nessuno
riesca a andare oltre il tornaconto personale”.
Matteo Salvini si è reso conto
del disastro che ha combinato ed ecco perché ripete che bisogna fare
l’impossibile pur di evitare che il governo torni nelle mani del Pd, disposto
perfino ad offrire Palazzo Chigi a Di Maio e lui a tenersi fuori dal governo.
Una presa di coscienza la sua che in altri tempi, neppure lontanamente
paragonabili ai nostri, quando si aveva il coraggio dei gesti estremi di fronte
al fallimento, portava ad un dignitoso e virile suicidio. Bruto e Cassio non
esitarono a farlo a Filippi. La Filippi di Salvini è una data: l’8 agosto,
quando ha comunicato a Giuseppe Conte di voler mettere in crisi il governo.
Sul fronte del centrodestra si
continua col mantra delle elezioni anticipate, che, a dire il vero, sembrerebbe
la via più scontata. Senonché il centrodestra è ben lontano dall’essere un
soggetto politico coeso. Anzi, oggi, lo è molto meno rispetto alle elezioni del
2018, quando Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, non erano passati dal
“tradimento” di Salvini, che finiva nel contratto coi Cinquestelle.
Questa crisi è davvero bestiale
nella sua intempestività e nella sua sconclusionatezza. Basti considerare che,
a differenza di una normale crisi, che in genere è preceduta dai motivi, questa
è seguita dai motivi, con cui i leghisti cercano di limitare gli effetti
devastanti. Non che tutto prima filasse
alla perfezione o che già non si fosse parlato di mettere fine ad un governo
che non riusciva più ad essere operativo, ma non si era verificato nulla di
particolare che la giustificasse qui e ora. La situazione ingarbugliata che è
seguita lo dimostra.
La fretta di concluderla quanto
prima non giova alla sua soluzione. Che potranno dire di preciso e di positivo
martedì, 27 agosto, gli stessi che Mattarella ha sentito cinque giorni prima in
preda a confusione e a indeterminatezza?
Può essere che proprio questa
mancanza di direzione alternativa al voto anticipato sia la migliore e più
efficace per indurre Mattarella a sciogliere le Camere e a procedere a nuove
elezioni. Salvo che anche Mattarella non sia preso da ripensamento e metta su
un governo istituzionale per gli adempimenti più immediati.
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