Come certe stelle di Natale,
belle e rigogliose all’apparenza ma prive di radici, che venditori disonesti ti
vendono e che durano giusto il tempo da
Natale a Santo Stefano, così i Cinquestelle sono durati giusto un anno e
sono seccati. Del resto erano stati propinati al popolo italiano da un comico
cialtrone che si è fatto strada mandando affanculo
tutti, gli stessi che oggi vorrebbe mettere insieme per scacciare i barbari.
Così dice lui, subito ripreso dai media nazionali come se avesse suggerito
chissà quale formula alchemica per fabbricare l’oro.
L’evocazione dei barbari di
Grillo fa pensare ai Longobardi. E a chi se no? Ovvero alla Lega. Ma non è
stato lui ad imbarbarire l’ambiente politico italiano? Ah, dimenticavo, un comico
recita solo una parte, oggi di qua domani di là. Fesso chi gli crede. Strafesso
chi lo segue.
Quando si è con l’acqua alla gola
e la soluzione ti viene da un comico hai solo la consolazione di affogare
ridendo. Questa è la situazione dell’Italia.
Fino alla vigilia dell’8 agosto,
giorno in cui Salvini ha chiesto a Conte di mettersi da parte, tutti dicevano
che il governo non c’era da tempo e che si doveva staccare la spina, metafora
per dire che si doveva formalizzare la crisi. Tutti, tranne i Cinquestelle. Pour cause, perché da nuove elezioni
essi non avevano da sperare nulla ma da temere assai. Ma già il giorno dopo, il
9 agosto, molti si sono rimangiato quanto avevano sostenuto fino al giorno
prima. Contrordine, come ai tempi dei trinariciuti del partito comunista: tutti
insieme a fare un governo pur che fosse per impedire la deriva plebiscitaria
pro Salvini. Il pericolo è da ciellenismo, spiego: da liberazione nazionale,
per i più giovani, che non conoscono la storia.
Siamo alle solite: ieri Berlusconi,
oggi Salvini. Gli italiani hanno bisogno di sentirsi in pericolo; e se il
pericolo non c’è deve essere inventato. Son tornate le mobilitazioni, i bellacciao, le minacce, gli insulti, le
aggressioni, che giornalisti idioti definiscono “cosa bella a vedersi”. I
tolleranti per eccellenza sono diventati intolleranti di ripiego, o piuttosto
il vero: gli intolleranti di nascita si son tolti la maschera e sono apparsi
per quello che sono.
Che strano paese, il nostro! Gli
stessi, che sparavano a zero sui politici di professione, sulla casta, si
rivelano più cinici e più furbi di Andreotti. Penso al machiavellino Renzi, che
si fa promotore di massammurre
antileghiste; a Grillo, che vorrebbe una Santa Comica Alleanza per sbarrare il
passo al duce Salvini. Penso all’ex magistrato Grasso, che addirittura
suggerisce di non votare la sfiducia a Conte. Qui in Italia, comici o
magistrati, son tutti politici nati.
Si dice: perché Salvini ha voluto
la crisi alla vigilia delle vacanze e l’accelerazione verso nuove elezioni?
Dice Zingaretti: fugge dalle responsabilità della manovra finanziaria. Altri
aggiungono: teme che vengano fuori compromissioni serie con il russiagate italiano, su cui sta
indagando la magistratura e prima o poi qualcosa verrà fuori. Ma sì, ci sta
tutto. La politica è un minestrone fatto con tutto quello che si rimedia in
cucina. E in Italia, grazie a Dio, abbiamo una cucina fornitissima.
I sospetti, del resto, sono
fondati. Da dove prende trenta/quarantamila miliardi il governo per fare fronte
alle regole europee in tema di programmazione economica? I soldi se l’è
squagliati col reddito di cittadinanza e con la quota cento. E’ da quando è
nato questo governo che si dice che la sua morte sarebbe avvenuta in ottobre,
alla resa dei conti pubblici.
E non è vero che l’affare con la
Russia, in cui sono coinvolti uomini molto vicini a Salvini, è un gravissimo
episodio, che finora il maggior interessato ha cercato di esorcizzare e di
banalizzare chiedendo a dritta e a manca: dove sono i rubli, i dollari, gli euro
e perfino i sesterzi di questo affare?
Da questo orizzonte piatto è
emerso solo il presidente Conte, quello che sarebbe dovuto apparire senza
infamia e senza lode. Conte, invece, ha dimostrato di tenere la testa alta e la
schiena diritta in un ambiente politico da calcio storico fiorentino. E’ stato
il volto dignitoso dell’Italia nel consesso europeo e all’occorrenza ha saputo
trarre perfino profitto. Lo ha fatto scongiurando la procedura d’infrazione. Ha
più volte cercato di trovare un punto di sintesi tra i due vice Di Maio-Salvini
inconcilianti. Perfino sulla Tav, esponendosi ad affermarla, ha cercato di
bilanciare il No del suo partito. Un pasticcio d’accordo; ma che poteva fare?
Se pure lui, capo del governo, si fosse detto contrario, avrebbe dovuto poi
dimettersi di fronte ad un parlamento che era favorevole.
Poteva impedire che i due partiti
della ditta si esprimessero in disaccordo sulla nomina della Presidente della
Commissione Europea. Forse avrebbe evitato che la reciproca avversione dei due
partiti si presentasse in maniera così plastica. Ma non dobbiamo dimenticare
che i Cinquestelle, da quando si son resi conto di smottare sempre più in basso
a vantaggio della Lega, hanno cercato di fare qualcosa per arginare il
precipizio, assumendo atteggiamenti contrari ai loro amici-nemici di governo.
Così, tanto per essere diversi e contro. A quel punto Conte si è ricordato di
essere un grillino. E se l’è ricordato quando è andato in conferenza stampa a
riferire quanto gli aveva detto Salvini: te ne devi andare perché voglio
capitalizzare il vantaggio elettorale che i sondaggi mi accreditano.
Probabilmente i termini del colloquio erano stati diversi, anche se il senso
era quello, ma Conte, di fronte all’inevitabile, ha ripreso con orgoglio gli
abiti del suo partito, stella tra le stelle. Purtroppo per lui, cadenti.
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