mercoledì 21 agosto 2019

Conte e Salvini sembravano Cicerone e Catilina




Il discorso del 20 agosto di Giuseppe Conte al Senato, sobrio ed incisivo, ineccepibile sul piano formale, ha avuto momenti in cui sembrava la drammatizzazione della prima catilinaria di Cicerone. Quo usque tandem, Catilina…. Conte, nella sua requisitoria, si è fermato solo davanti alla porta della stanza da letto di Salvini. Le altre le ha visitate tutte per far vedere agli italiani quel che l’irresponsabile vi combinava dentro.
Ma quel discorso è stato politicamente un disastro. A parte gli elogi, interessati e di circostanza degli avversari e/o nuovi alleati, quel discorso ha messo in chiaro una situazione di sottomissione di Conte a Salvini durata quasi quindici mesi di governo assieme, che tutti nei successivi interventi hanno immediatamente dopo rimarcato.
Salvini è stato “pericoloso, autoritario, preoccupante, irresponsabile, opportunista, inefficace, incosciente”? Ma lui, Presidente del Consiglio, non lo ha mai denunciato prima. Perché? Lui non ha mai detto, né in pubblico né in privato, fino a quando Matteo, abuserai della nostra pazienza… Lui se n’è stato zitto, ha sopportato, fino a quando paradossalmente non è stato l’altro a dire: caro Presidente, hai sopportato abbastanza, ti sollevo da ogni ulteriore sopportazione. Questo il senso delle parole di Salvini a Conte nel loro colloquio dell’8 agosto.
Ancora una volta Conte ha messo in evidenza ingenuità controversistica. Prima regola nelle controversie è non offrire agli avversari motivi di attacco nel mentre li attacchi. Lui, di motivi, ne ha offerti tanti, ed anche efficaci. Un Presidente del Consiglio di carattere Salvini lo avrebbe affrontato fin dall’inizio. Invece Conte, come tutti gli altri della compagine governativa del resto, lo ha lasciato fare. Non solo, ma ne ha condiviso i provvedimenti legislativi e politici, anche quelli fra i più criticati dagli avversari dell’opposizione, come, ultimo in ordine di approvazione, il Decreto Sicurezza bis. Nella requisitoria finale Conte avrebbe dovuto rimproverare Salvini di aver interrotto un’esperienza di governo positiva invece di abbandonarsi a rilievi personalistici sui suoi comportamenti caratteriali. Salvini è stato trattato da Conte come un alunno discolo dal suo professore. Non era questo che gli italiani s’aspettavano dal Presidente del Consiglio.
Conte in Senato si è presentato nudo, con la sola foglia di fico professorale, nella convinzione di essere corazzato e di poter denudare a sua volta uno che invece di vestirsi non ne aveva avuto mai la voglia e continuava a non averne se all’accusa di abusare pubblicamente dei simboli religiosi quello tirava fuori un rosario e lo sbaciucciava ripetutamente.
E’ mancata l’analisi politica della crisi. Nessun accenno ai gravi dissidi interni al governo, dissidi che bloccavano l’attività governativa e facevano gridare le opposizioni all’inesistenza del governo, mentre da più parti s’invocava la sua fine formale. Nessun accenno di Conte alla sua personale posizione sull’approvazione dell’Alta Velocità mentre il suo stesso partito era ferocemente contrario. Nessun accenno alla scelta europeista di appoggiare l’elezione della tedesca Ursula von der Layen alla presidenza della Commissione Europea insieme agli avversari di sempre e in difformità dalla comune posizione con gli alleati della Lega. Eppure, se un punto sinceramente condiviso c’era tra M5s e Lega era proprio l’antieuropeismo populista e sovranista!
Un lieve riferimento alla questione russa, da Salvini provocatoriamente e interessatamente sottovalutata, ma che andava invece approfondita per la sua gravità e per le connessioni di politica internazionale che essa aveva. In quella circostanza Salvini avrebbe dovuto andare lui in Parlamento e chiarire. Al suo posto il Presidente del Consiglio, invece di denunciare con forza, si è limitato ad un compitino di rappresentanza, ai limiti della complicità, mentre veniva umiliato dai suoi stessi senatori che abbandonavano l’aula. E lì, forse, Conte avrebbe potuto fare meglio il Cicerone del Quo usque tandem catilinario. Ne aveva tutte le ragioni e tutti i motivi. Non averlo fatto e aver tirato fuori il caso solo nel redde rationem finale ha aggravato la sua posizione. Certe situazioni non si nascondono e non si minimizzano, si denunciano con forza.  
La verità è che il governo gialloverde aveva il vizio d’origine di essere fatto da due forze politiche diverse e che tali volevano rimanere perfino operando insieme per contratto: noi cinquestelle facciamo le cose che voi leghisti volete pur senza che noi le condividiamo e in cambio voi leghisti ci fate fare le nostre anche se voi non le condividete. Un guazzabuglio anche formale. I due partiti hanno voluto mettere a contratto prima di tutto la loro diversità e solo in subordine le cose da fare. I rispettivi rospi sarebbero stati inghiottiti per il “bene” degli italiani.
Probabilmente fra le due compagini governative nel corso dei mesi sono spuntati degli “amori”. Inevitabile che accadesse. Durante i giorni della crisi ci sono state dichiarazioni da una parte e dall’altra che lasciano pensare che certi provvedimenti fossero ampiamente condivisi anche se per opportunità politiche ed esigenza di differenziazione si lasciava pensare a diversità di posizioni.
Così come ci sono stati altri provvedimenti sui quali non si convergeva. Sui porti chiusi, per esempio, sono emersi più volte atteggiamenti diversi della ministra della difesa Trenta del M5s, esibiti poi platealmente dopo la crisi dell’8 agosto.  
Ma la chicca, che da sola vale l’icona di questo governo di sgangherati, è del senatore grillino Morra, presidente della Commissione Antimafia, che ha detto che gli sbaciucchiamenti dei simboli sacri di Salvini sono messaggi in codice alla ‘ndrangheta. Che ci fa pensare per un verso che in Italia un Cicerone sarebbe davvero poco per i tanti Catilina in circolazione, per un altro che sarebbe ora di riaprire i manicomi. 

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