Per le cose di Dio il sospetto è
peccato, per le cose di Cesare il sospetto è d’obbligo, tanto più quanto è
fondato su una serie di inoppugnabili dati di verità. Le cose di Cesare – si sa
– sono la politica, i soldi, il potere. Quelle di Dio forse non le sa più
neppure il papa.
La questione morale in Italia è
precipitata a prima di Tangentopoli, quando i magistrati, nonostante
l’imperversare della corruzione denunciata, si grattavano la pancia all’ombra
del Muro di Berlino. Nello specifico della trattativa dei leghisti con faccendieri
russi del settore petrolio per avere finanziamenti alla Lega (si parla di 65
mln di Euro) i dati dai quali partire sono almeno tre. Primo, l’incontro per
definire l’affare c’è stato: ci sono immagini e intercettazioni. Secondo,
all’incontro hanno partecipato due uomini della Lega, Gianluca Savoini (amico ed
ex portavoce di Salvini e presidente dell’Associazione Lombardia-Russia) e Gianluca
Meranda, più un terzo, il consulente bancario Francesco Vannucci, già dirigente
della Margherita. Terzo, Savoini non era di passaggio o un avventuriero imbucato
negli incontri ufficiali del governo italiano con quello russo, ma uomo organico
della Lega e del Ministero dell’Interno, regolarmente accreditato. Savoini ha
una storia e una condizione di assoluto legame con la Lega e con Salvini.
Dopo il maldestro tentativo di
dire “Savoini chi?” Salvini ha dovuto ammettere che il personaggio era
conosciutissimo e che era un uomo della Lega. Il coinvolgimento di Salvini
nell’affare è dunque geometrico. Dati i due cateti, va da sé l’ipotenusa. I
giudici dovranno indagare, approfondire, accertare legami e soprattutto se il
tentativo di far soldi ha avuto o meno un esito. Ma sul piano politico di
elementi per sospettare di Salvini ce ne sono a sufficienza. Ricordiamo che per
molto meno si sono dimessi diversi ministri in questi ultimi anni, sia dei
governi di centrodestra sia dei governi di centrosinistra. E non parliamo degli
anni eroici di Mani Pulite, quando il “non poteva non sapere” e la presunzione
di colpevolezza erano regole da applicare ad ogni indagato.
Il caso è grave, tuttavia non è serio,
direbbe Ennio Flaiano. Savoini davanti ai giudici si è avvalso della facoltà di
non rispondere. Lo stesso in buona sostanza ha fatto Salvini di fronte al
Parlamento, non presentandosi affatto. Al suo posto è andato il Presidente del Consiglio
Conte, il quale ha detto quel poco che sapeva e che già si sapeva, anche perché
il Ministro dell’Interno, che è Salvini, non gli aveva fornito tutte le
informazioni richieste.
Nel frattempo Salvini non è
rimasto con le mani in mano. Ha minimizzato, scherzato sui rubli, ha ricordato
che di rubli veri e accertati ne hanno presi tanti i padri del Pd di oggi,
ovvero quelli del Partito comunista inchiodandoli alla formula nazionalpopolare
del furbo pecca e minchia paga. Poi la campagna di distrazione di massa con il
caso dei bambini di Bibbiano, che è sì una questione gravissima e serissima ma
che assai poco ha a che fare con la politica.
Sul piano giudiziario è marginale
sapere chi ha avuto interesse a sollevare il caso delle intercettazioni della
famosa trattativa al Metropol di Mosca. Se proprio volessimo rispondere, potremmo
farlo come suggerivano gli antichi romani: “cui prodest?” e ipotizzare che sono
stati gli americani, non proprio felicissimi della politica filoputiniana di
Salvini. Ma questo, ripeto, è marginale.
Non è affatto marginale, invece,
la politica di Salvini pro Russia. L’Italia è un paese inserito in un sistema
di alleanze per il quale favorire un paese come la Russia può voler dire venir
meno da parte di alcuni esponenti del governo agli obblighi che abbiamo verso
l’Europa e la Nato. E
questo è preoccupante. L’excusatio di
Conte secondo cui la politica del governo è una cosa quella di ogni componente
politica del governo un’altra non sta né in cielo né in terra. I politici che
sono anche membri del governo non possono stare con la Nato e nello stesso
tempo flirtare coi suoi nemici. E’ una politica puttanesca, se si può dire; e quelli
che la fanno ne sono i degni rappresentanti.
Di fronte alle assurdità che
quotidianamente accadono nella politica italiana la gente si chiede: il governo
cade o non cade? Si fa strada sempre più una via di mezzo: non cade ma non sta
nemmeno in piedi, semplicemente dondola. Che, tradotto, può voler dire che
seppure cade, anche formalmente, è difficile che si vada a nuove elezioni;
tutt’al più ad un nuovo esecutivo da formare con materiali raccogliticci in
Parlamento. Che sarebbe un diverso dondolare. Questa soluzione, che sembra più
squittita che ruggita, è la più conveniente al Pd, che avrebbe l’opportunità di
due successi. Uno, di dire al governo giallo-verde di aver fallito. Due, di
potersi proporre come il ritorno alla normalità democratica dopo le stravaganze
populiste e sovraniste.
Prospettiva, questa, che trova
qualche credibilità negli addetti ai lavori, i quali credono che quanto accade
in politica è come un indumento stagionale, da togliersi di dosso e reindossare
all’occorrenza. Evidentemente non è così. Eventi ed elettorato decidono. Le
masse di voti date a Berlusconi, a Renzi, ai 5Stelle ed oggi anche a Salvini, sono
frutto di questo combinato disposto che è sempre nuovo: eventi-elettori. I voti
presi, perciò, non vanno e vengono, come ai tempi del frigorifero di Andreotti.
Vanno senza ritorno. L’elettorato è liquido e assume la forma del recipiente
che trova. Il recipiente è quel combinato a cui si faceva riferimento.
Forza Italia e Pd continuano a
dire le stesse cose dei “bei tempi andati”, come se nel frattempo non fosse
accaduto nulla e il Paese avesse la nostalgia di loro. Può essere che il Paese abbia
nostalgia, ma proprio di loro no. Se ne facciano una ragione.
Nessun commento:
Posta un commento