sabato 10 agosto 2019

Salvini rublizzato e il governo a dondolo




Per le cose di Dio il sospetto è peccato, per le cose di Cesare il sospetto è d’obbligo, tanto più quanto è fondato su una serie di inoppugnabili dati di verità. Le cose di Cesare – si sa – sono la politica, i soldi, il potere. Quelle di Dio forse non le sa più neppure il papa.
La questione morale in Italia è precipitata a prima di Tangentopoli, quando i magistrati, nonostante l’imperversare della corruzione denunciata, si grattavano la pancia all’ombra del Muro di Berlino. Nello specifico della trattativa dei leghisti con faccendieri russi del settore petrolio per avere finanziamenti alla Lega (si parla di 65 mln di Euro) i dati dai quali partire sono almeno tre. Primo, l’incontro per definire l’affare c’è stato: ci sono immagini e intercettazioni. Secondo, all’incontro hanno partecipato due uomini della Lega, Gianluca Savoini (amico ed ex portavoce di Salvini e presidente dell’Associazione Lombardia-Russia) e Gianluca Meranda, più un terzo, il consulente bancario Francesco Vannucci, già dirigente della Margherita. Terzo, Savoini non era di passaggio o un avventuriero imbucato negli incontri ufficiali del governo italiano con quello russo, ma uomo organico della Lega e del Ministero dell’Interno, regolarmente accreditato. Savoini ha una storia e una condizione di assoluto legame con la Lega e con Salvini.
Dopo il maldestro tentativo di dire “Savoini chi?” Salvini ha dovuto ammettere che il personaggio era conosciutissimo e che era un uomo della Lega. Il coinvolgimento di Salvini nell’affare è dunque geometrico. Dati i due cateti, va da sé l’ipotenusa. I giudici dovranno indagare, approfondire, accertare legami e soprattutto se il tentativo di far soldi ha avuto o meno un esito. Ma sul piano politico di elementi per sospettare di Salvini ce ne sono a sufficienza. Ricordiamo che per molto meno si sono dimessi diversi ministri in questi ultimi anni, sia dei governi di centrodestra sia dei governi di centrosinistra. E non parliamo degli anni eroici di Mani Pulite, quando il “non poteva non sapere” e la presunzione di colpevolezza erano regole da applicare ad ogni indagato.
Il caso è grave, tuttavia non è serio, direbbe Ennio Flaiano. Savoini davanti ai giudici si è avvalso della facoltà di non rispondere. Lo stesso in buona sostanza ha fatto Salvini di fronte al Parlamento, non presentandosi affatto. Al suo posto è andato il Presidente del Consiglio Conte, il quale ha detto quel poco che sapeva e che già si sapeva, anche perché il Ministro dell’Interno, che è Salvini, non gli aveva fornito tutte le informazioni richieste.
Nel frattempo Salvini non è rimasto con le mani in mano. Ha minimizzato, scherzato sui rubli, ha ricordato che di rubli veri e accertati ne hanno presi tanti i padri del Pd di oggi, ovvero quelli del Partito comunista inchiodandoli alla formula nazionalpopolare del furbo pecca e minchia paga. Poi la campagna di distrazione di massa con il caso dei bambini di Bibbiano, che è sì una questione gravissima e serissima ma che assai poco ha a che fare con la politica.
Sul piano giudiziario è marginale sapere chi ha avuto interesse a sollevare il caso delle intercettazioni della famosa trattativa al Metropol di Mosca. Se proprio volessimo rispondere, potremmo farlo come suggerivano gli antichi romani: “cui prodest?” e ipotizzare che sono stati gli americani, non proprio felicissimi della politica filoputiniana di Salvini. Ma questo, ripeto, è marginale.  
Non è affatto marginale, invece, la politica di Salvini pro Russia. L’Italia è un paese inserito in un sistema di alleanze per il quale favorire un paese come la Russia può voler dire venir meno da parte di alcuni esponenti del governo agli obblighi che abbiamo verso l’Europa e la Nato. E questo è preoccupante. L’excusatio di Conte secondo cui la politica del governo è una cosa quella di ogni componente politica del governo un’altra non sta né in cielo né in terra. I politici che sono anche membri del governo non possono stare con la Nato e nello stesso tempo flirtare coi suoi nemici. E’ una politica puttanesca, se si può dire; e quelli che la fanno ne sono i degni rappresentanti.
Di fronte alle assurdità che quotidianamente accadono nella politica italiana la gente si chiede: il governo cade o non cade? Si fa strada sempre più una via di mezzo: non cade ma non sta nemmeno in piedi, semplicemente dondola. Che, tradotto, può voler dire che seppure cade, anche formalmente, è difficile che si vada a nuove elezioni; tutt’al più ad un nuovo esecutivo da formare con materiali raccogliticci in Parlamento. Che sarebbe un diverso dondolare. Questa soluzione, che sembra più squittita che ruggita, è la più conveniente al Pd, che avrebbe l’opportunità di due successi. Uno, di dire al governo giallo-verde di aver fallito. Due, di potersi proporre come il ritorno alla normalità democratica dopo le stravaganze populiste e sovraniste.
Prospettiva, questa, che trova qualche credibilità negli addetti ai lavori, i quali credono che quanto accade in politica è come un indumento stagionale, da togliersi di dosso e reindossare all’occorrenza. Evidentemente non è così. Eventi ed elettorato decidono. Le masse di voti date a Berlusconi, a Renzi, ai 5Stelle ed oggi anche a Salvini, sono frutto di questo combinato disposto che è sempre nuovo: eventi-elettori. I voti presi, perciò, non vanno e vengono, come ai tempi del frigorifero di Andreotti. Vanno senza ritorno. L’elettorato è liquido e assume la forma del recipiente che trova. Il recipiente è quel combinato a cui si faceva riferimento.
Forza Italia e Pd continuano a dire le stesse cose dei “bei tempi andati”, come se nel frattempo non fosse accaduto nulla e il Paese avesse la nostalgia di loro. Può essere che il Paese abbia nostalgia, ma proprio di loro no. Se ne facciano una ragione.

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