12. Lunedì, 23 marzo. La situazione: giornata fredda e
ventosa, particolarmente avvertita perché giunge dopo un lungo periodo di clima
mite e assolato. Dagli ultimi “bollettini di guerra” pare che i contagi siano
diminuiti rispetto al giorno precedente. Così il “Corriere della Sera”: “Meno
contagi e morti”. Italia: 59.138 casi, 46.638 positivi, 7.024 guariti, 5.476
deceduti. Puglia: 748 positivi, 7 guariti, 31 deceduti.
A Milano, in Piazza S. Sepolcro,
fondazione dei Fasci di Combattimento, esattamente un secolo e un anno fa. Non
si era ancora usciti dall’epidemia spagnola.
Ma l’ambiente politico e culturale era in subbuglio. Oggi a Milano si combatte
contro il coronavirus.
Invio alla “Gazzetta del
Mezzogiorno” quest’articolo, che ritengo utile ai lettori che spesso se la
prendono coi giornali per gli eccessi dell’informazione.
L’informazione al tempo delle epidemie
Nel corso di questo disgraziato
mese di epidemia da Coronavirus ci sono state critiche nei confronti della
stampa, che avrebbe spaventato i cittadini e danneggiato l’economia del Paese.
E’ accaduto specialmente agli inizi, quando ancora si stentava a capire la
gravità della situazione, ora non più o di meno. Hanno risposto con lettere
garbate e puntuali i direttori dei giornali e i curatori delle rubriche delle
lettere, spiegando l’importanza dell’informazione pubblica specialmente in
determinate circostanze, come nel caso dell’esplodere di un’epidemia.
Per rendersi conto di quanto sia
importante l’informazione, soprattutto nei momenti di crisi, un termine di
paragone ce l’abbiamo, è la famigerata Spagnola. Questa febbre
influenzale fu così detta perché a parlarne per diverso tempo fu solo la stampa
spagnola, dato che la Spagna non era paese belligerante e godeva di maggiori
libertà che non i tanti altri paesi europei impegnati nel conflitto della
Grande Guerra. L’Italia fra di essi. I governi di questi paesi avevano fin
dall’inizio esercitato una forte censura sulla stampa, tollerando solo brevi
note generiche e nascondendo la vera causa della morte di tante persone,
perfino di personaggi importanti, per paura che si diffondesse con l’epidemia
anche il panico e che la situazione, così posta, compromettesse l’esito della
guerra. I giornali ad un certo punto, quando ormai l’epidemia aveva raggiunto
picchi di decessi spaventosi, tra l’ottobe e il novembre del 1918, reclamarono
alle autorità – all’epoca la sanità era competenza del Ministero degli Interni
– maggiore libertà d’informazione, anche per suggerire ai cittadini
comportamenti appropriati.
Su “La Tribuna” di Roma del 14
ottobre 1918, il direttore riprendeva la lettera di un lettore e in proposito
scriveva: “Qualche giornale ha reclamato per esempio che l’Ufficio d’Igiene
pubblichi ogni giorno il bollettino sanitario con tutte le notizie di fatto
inerenti; e ciò noi pure riteniamo necessario, indispensabile, perché – volere
o non volere – siamo in presenza di epidemia bella e buona e la popolazione ha
il diritto di sapere, di conoscere l’andamento di questa malattia (comunque si
voglia chiamarla e qualificarla) per potersi regolare in conformità, pensando
ai casi propri. Qui la guerra non ha niente a che vedere: non vi sono allarmi
da destare, né altri timori puerili da incutere spavento: qui è necessario
soltanto di esporre intiera la verità, perché la verità educa, insegna, dirige,
suggerisce, rettifica, e spaventa meno delle reticenze le quali invece lasciano
il campo aperto a tante ciarle ridicole e che possono allarmare molto di più.
Dunque, invochiamo noi pure la pubblicazione del Bollettino ufficiale della
presente malattia, pubblicato a cura dell’Ufficio di Igiene”.
La ebbe vinta la stampa, perché
da quel momento, giornalmente, l’Ufficio d’Igiene comunicò ai giornali il
numero dei malati e dei decessi, ripresi puntualmente e pubblicati.
Quanto fece l’informazione in
quella triste vicenda, considerando i tempi e i mezzi, fu di notevole
importanza e contribuì non poco a tenere insieme un paese che rischiava di
esplodere per i tanti problemi sia sul fronte di guerra che sul fronte interno,
dove crescevano i malumori e le proteste, come recenti ricerche d’archivio
hanno dimostrato.
Oggi, in situazioni non
paragonabili a quelle di un secolo fa, la stampa sta dimostrando assoluta
correttezza, non solo per quanto riguarda lo specifico dell’epidemia, con la
pubblicazione di cartine, grafici e dati, quotidianamente aggiornati, ma anche
per la ricchezza e la varietà dei servizi. Certo, non sono mancate finora
alcune sbavature, dagli stessi giornali evidenziate; ma, in situazioni simili,
anche a causa delle incertezze politiche, sono inevitabili.
La funzione della stampa cartacea
in particolare è di completamento e anche di approfondimento dell’informazione
televisiva. Offre opportunità di conoscenza di tanti aspetti della malattia
e attraverso servizi e interviste di
scienziati e personaggi, politici, della cultura, della chiesa, dello sport e
dello spettacolo, si propone come un sostegno cognitivo e psicologico. Che,
come ben si sa, nelle tragedie, personali o collettive, è importante e serve,
se non a risolvere problemi specifici, demandati evidentemente ad altri, a
rendere più realisticamente accettabile la situazione.
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