martedì 21 aprile 2020

I giorni del Coronavirus 14



Mercoledì, 25 marzo. La situazione: in Italia fino a ieri, 24 marzo, i casi totali sono 69.176 (+ 5.249), i positivi 54.030 (+ 3.612), i guariti 8.326 (+ 894), i deceduti 6.820 (+ 743). In Puglia: 940 casi (+ 78), 21 guariti (+ 14), 44 deceduti (+ 7).

Doveva scadere oggi la clausura, e invece è stata prorogata e inasprita, come del resto era prevedibile. Si parla del 31 luglio come termine per ricominciare una vita normale, coronavirus permettendo.

Una fissa in testa mi si fa sempre più chiodo solare. Stiamo toccando con mano quanto agli italiani sia facile appioppare una bella dittatura. In buona sostanza il capo del governo Conte sta facendo tutto da solo. Non voglio dire che è un dittatore, ma che il gradimento del popolo nei suoi confronti è del 51% rispetto agli altri politici e 7 italiani su 10 convengono sul suo operato al governo. In un momento di congiuntura e di enormi difficoltà forse conviene a tutti che ci sia un “fesso” a caricarsi il Paese sulle spalle, anche a quelli dell’opposizione, che fanno finta di rivendicare un ruolo partecipativo ai provvedimenti. Sentire saccenti e protestatari incalliti, come Marco Travaglio e Gianrico Carofiglio, difendere il governo, trasformarsi in laudatores, mentre non la smettono di fare battute velenose e fuori posto su Salvini e la Meloni, fa pensare che il fascismo non solo non fu imposto agli italiani ma da loro fu richiesto e rafforzato. Quel Conte, se non ci fosse stato, lo si sarebbe dovuto inventare. Gli italiani tutti in mascherina e guanti e tutti a casa non sono tanto diversi dagli italiani in camicia nera. E non sembri un’esagerazione! Ogni tempo ha i suoi Duce e i suoi scherani.

La mia preoccupazione trova il conforto in un appello che eminenti personalità dell’Italia democratica ha fatto, in cui si legge che il “Tutti a casa” è salutare per i medici ma è un “veleno per le istituzioni. La pandemia non può mettere in quarantena la democrazia”; e conclude che “Se ci si rassegna oggi, si perde la libertà domani”. Una preoccupazione eccessiva: gli italiani sono propensi a perderla in allegria la libertà, a prescindere.

Il professor Andrea Crisanti, chiamato dal Governatore del Veneto Luca Zaia a studiare un piano per combattere il coronavirus, ha detto al termine di un’intervista che in Lombardia ci sono stati tanti morti perché “c’erano industrie attive con migliaia di dipendenti…soprattutto a Bergamo, per produrre beni peraltro non necessari. Abbiamo voluto difendere il Paese dei balocchi e l’economia anche di fronte alla morte”. Accusa dura ma fondata.  

Ma, come dice il proverbio, siediti storto e giudica diritto, che cosa si può fare in un momento di gravissima emergenza come questa che stiamo vivendo senza danneggiare o sacrificare qualcosa? Le restrizioni sono incostituzionali, d’accordo, ma in una situazione normale! In una situazione eccezionale si fa quello che conviene di più. E non dicevano i latini primum vivere deinde philosophari? Mi accorgo che è assai difficile perfino mantenere un’opinione per più di mezza giornata. Confusione e incertezza regnano sovrane.

Marco Tarchi mi fa visita ogni tanto con le sue mail. L’ultima è una sua intervista. Prendo l’ultima domanda che gli è stata posta e, ovvio, la sua risposta.
In che Italia ci troveremo a vivere fra un anno? – gli chiede l’intervistatore –. E lui: “Mi guardo bene dall’azzardare previsioni, anche se, al momento, non posso nascondere una sensazione di preoccupazione molto forte su tutti i piani: medico, economico, ma anche più largamente sociale. Non sono fra coloro che si entusiasmano per la presunta riscoperta del patriottismo che si esprimerebbe nei canti alla finestra o negli striscioni appesi ai balconi; temo che dietro ci sia nella maggior parte dei casi soprattutto, quando non solo, la voglia di aggrapparsi alla dimensione collettiva del dramma per alleviare un disagio strettamente individuale o familiare. Il che è assolutamente comprensibile, ma mi impedisce di dare per scontato che “andrà tutto bene” o che impareremo da questi eventi la lezione di una solidarietà profonda. Quando la disattivazione del sistema produttivo e il crollo di settori che impiegheranno anni, forse molti, per riprendersi produrranno un’enorme quantità di disoccupati e il livello di ricchezza sarà nettamente decresciuto, mi chiedo se non si rischierà piuttosto una fase di forte e disgregante conflittualità interna. Mi auguro, ovviamente, che questi timori siano infondati, ma sarei ipocrita se li nascondessi”.
Io credo che nessuno possa dire che cosa accadrà domani o dopodomani, figurarsi fra un anno, ma non sono molto lontano da Tarchi quando dice e/o teme “una fase di forte e disgregante conflittualità interna”. Sicuramente avremo molti problemi. Vedo, inoltre, che i rapporti umani si stanno inasprendo. Questo essere esposti a vigili e a poliziotti che ti minacciano o ti multano perché non hai la mascherina, a gestori di negozi che ti rimproverano aspramente, mentre pochi giorni prima ti riverivano, perché sei entrato in negozio quando già ce n’erano altri due dentro, è una spia dell’esacerbarsi degli animi, dell’incattivirsi delle persone.

In questa atmosfera di clausura si è oggi celebrata l’istituzione della Giornata Nazionale per Dante Alighieri, il cosiddetto Dantedì, come è stato proposto di chiamarla da Paolo Di Stefano e dal Prof. Francesco Sabatini, in occasione del 700° anniversario della morte di Dante che cadrà l’anno venturo, nel 2021. Si ritiene convenzionalmente che il 25 marzo Dante avesse iniziato il suo viaggio nei tre regni dell’oltretomba. Con l’aria di morte che aleggia sul paese e sul mondo non ci poteva essere una più degna cornice.

Nessun commento:

Posta un commento