domenica 12 aprile 2020

I giorni del Coronavirus



Domenica, 22 marzo 2020. La situazione: sul fronte del coronavirus registriamo: in Italia: 53.578 casi totali, 42.681 attualmente positivi, 6.072 guariti e 4.825 deceduti. Rispetto al giorno precedente ci sono 6.557 casi in più, 4.821 attualmente positivi in più, 943 guariti, 793 deceduti.
In Puglia il Prof. Lopalco, Commissario nominato dal Governatore Emiliano a fronteggiare l’epidemia, dice che la crescita non è esponenziale. Rispetto al giorno precedente si registrano: 642 positivi (+ 91), 4 guariti (come il giorno prima), 29 deceduti (+ 3). 

Stamattina a Taurisano né morti né vivi. Cimitero chiuso e per tutto il percorso per raggiungere l’edicola non ho visto persona viva in giro. Perfino l’Eurospin è chiuso. Siamo passati dal venite da qualunque posto siate, vi accogliamo, perché qui si vive, allo statevene tutti a casa, chiunque voi siate, perché qui si muore. 

La prima pagina del “Corriere della Sera” mostra il piazzale davanti ad un supermercato a Prato: uno spettacolo surreale: centinaia di persone distanziate e schierate in attesa di entrare a fare la spesa. Qualcosa del genere su scala minore, ma non meno inquietante, l’ho vissuta io stando in attesa nei pressi dell’Ufficio Postale.

Non avevano ragione quelli che svuotarono gli scaffali appena si seppe del diffondersi dell’epidemia? Come si fa a fare la spesa in condizioni simili? E con le mascherine? Servono non servono, sono obbligatorie, sono solo consigliabili. Ora si parla di caccia a 130 milioni di mascherine al mese. In queste situazioni non c’è che affidarsi al Signore. Chi ci crede, naturalmente!

Circola in rete una poesia della poetessa e scrittrice Mariangela Gualtieri “Nove marzo duemilaventi”. Inizia: “Questo ti voglio dire / ci dovevamo fermare. / Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti / ch’era troppo furioso / il nostro fare. Stare dentro le cose. / Tutti fuori di noi”; poi più oltre: “E’ portentoso quello che succede. / E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano. / Forse ci sono doni. / Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo”; e conclude: “Adesso lo sappiamo quanto è triste / stare lontani un metro”. Parole semplici che riassumono motivi diffusi di consapevolezza, di sentimenti, di necessità spirituali, di perdite di valori che l’emergenza virus ci sta facendo recuperare. Chi mai si era accorto prima che è così triste dover stare distanti almeno un metro l’uno dall’altro? Succede sempre che non si dà il giusto valore a quello che si ha, spesso neppure ci si accorge di averlo; e si valuta il valore solo quando lo si perde o si rischia di perderlo.

Tra gli autori della letteratura più gettonati in questi giorni del coronavirus ci sono Leopardi, Boccaccio, Manzoni, Camus. Tutti, tranne Leopardi, citato per altre tematiche, grandi narratori di epidemie.
Su “La Lettura”, il settimanale di cultura del Corsera si legge un’interessante conversazione tra Antonio Prete (leopardista), Simona Argentieri (psicoanalista), Eugenio Borgna (psichiatra), Lamberto Maffei (medico e scienziato), Salvatore Natoli (filosofo), coordinati da Paolo Di Stefano, sugli effetti antropologici del coronavirus. Dicono tutti cose molto interessanti.
Antonio Prete: “In molti testi Leopardi riflette sul rapporto con la natura e sulla condizione di sofferenza costitutiva dell’uomo […]. La ginestra mostra che nel movimento dell’universo sta dentro anche l’uomo”. 
Simona Argentieri si dice d’accordo con chi afferma che c’è “bisogno di un processo «sequenziale» a tappe, per rendersi conto di ciò che sta davvero accadendo nel mondo. Tutto in una volta non era possibile contenerlo nella mente, a livello cognitivo ed emotivo; scatenava troppa angoscia. […] Solo progressivamente stiamo diventando consapevoli della portata di questo evento, delle sue conseguenze e della cause remote”.
Eugenio Borgna puntualizza la condizione umana di fragilità, che “ha sempre fatto parte della nostra vita, ma rimane nascosta, è ritenuta inutile. Non tutti ce ne accorgiamo di essere fragili, cerchiamo di ignorare o di sottovalutare la debolezza come handicap dal quale rifuggire”.
Lamberto Maffei mette in rapporto l’epidemia con la rivoluzione digitale in corso per evidenziare la discontinuità: “Il passaggio di mentalità verso la rivoluzione digitale era stato già abbastanza stressante, perché ci si era dovuti adattare a percorsi più veloci. Siamo precipitati in una situazione opposta, che ciascuno di noi deve affrontare a suo modo. […]. Si potrebbe dire che per alcuni si tratta proprio di un’apocalisse che può causare depressione o disperazione. […] il «non poter più fare» può presentarsi come una catastrofe”.  
Salvatore Natoli è sulla stessa lunghezza d’onda: “Quando il tempo scorre nelle sue forme ordinarie e automatiche, si insinua il rischio di vivere senza pensare. In una società, come quella contemporanea, programmata per scadenze e ritmi, l’uomo è condotto da volontà esterne, non da altre persone ma da una macchina impersonale, la stessa macchina che oggi, nell’emergenza, stiamo riadattando come possibilità di comunicazione eccezionale rispetto alla regola”. Interessante la sua battuta finale: “Ho notato che quando si è presi da un pericolo vicino, sparisce la preoccupazione per gli altri: dov’è la Siria? Dov’è la Turchia? Dov’è finita la disperazione dei migranti? Siamo cresciuti su un fantasma falso, strumentalizzando quelle morti nel bene e nel male, e adesso è tutto sparito. David Hume dice che preferiamo la distruzione del mondo a un graffio sul nostro dito…”.                                                                                                                 

Questa dello studioso americano David Quammen è davvero sorprendente: in un suo libro del 2012, in Italia uscito da Adelphi nel 2014, intitolato Spillover, citato da Paolo Giordano in un suo articolo, La matematica del contagio, apparso su Corsera del 25 febbraio, porta avanti una sua tesi, che riprendo da “La Lettura”. Dice Quammen: “Tutto ha un’origine: i nuovi virus diffusi nella popolazione umana provengono da animali selvatici. Gli ecosistemi terrestri ospitano numerose specie animali, ognuna delle quali è portatrice di patogeni unici e peculiari. Nel momento in cui si distruggono le foreste per ottenere legname o ricavare metalli, oppure si uccidono centinaia di specie per uso alimentare o per immetterle sul mercato, si espone il genere umano a tutti questi virus: offriamo cioè loro l’opportunità di trasferirsi dagli ospiti animali alla nostra specie. Negli ultimi decenni queste attività sono aumentate in maniera esponenziale; tutto ciò ha rotto l’equilibrio dell’ecosistema e interferito prepotentemente con quello della vita animale. Come se non bastasse la popolazione umana è aumentata fino agli attuali 7,7 miliardi: è una polveriera se si considera anche la facilità di movimento di un mondo globalizzato. Tutti questi fattori hanno contribuito ad aumentare il rischio di frequenti spillover, ossia invasioni di nuovi virus nella nostra società”.
La lezione è chiara. Lo studioso conclude: “E’ giunto il momento di ritrovare l’umiltà e capire come trattare con il massimo rispetto il resto del mondo vivente”.

Io credo che Quammen abbia detto la sacrosanta verità. Io stesso, si parva licet, posso testimoniare. Un po’ di anni fa a Taurisano fu distrutta un’area piena di alberi da frutta e una campagna per lo più lasciata incolta per molti anni con un trullo diroccato e con pochi scheletrici ulivi e fichi centenari per far posto alla costruzione di un supermercato. Soprattutto la campagna era ricettacolo di animali, lucertole, gechi, topi, serpenti, ragni, che tra i rovi e le immondizie avevano il loro regno. Nei successivi due-tre anni gli animali, sloggiati dal loro habitat, finirono nei giardini vicini, fra cui il mio. Fu una festa per i gatti, che annientarono sistematicamente tutti i “migranti”. Era riuscito a sottrarsi un serpentello nero, che d’inverno se ne andava in letargo per ricomparire d’estate e scomparire poi definitivamente. Ora, è lecito chiedersi: i grandi incendi australiani di questa estate cosa provocheranno nel mondo? E c’è chi si chiede che cosa provocherà nel mondo lo scongelamento dei ghiacciai con la liberazione di specie di insetti estinti da secoli e secoli?
Sembra fantascienza o un racconto horror. Ma, purtroppo, quanto sta accadendo col diffondersi dell’epidemia fa anche questi effetti.

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