Domenica, 22 marzo 2020. La situazione: sul fronte del
coronavirus registriamo: in Italia: 53.578 casi totali, 42.681 attualmente
positivi, 6.072 guariti e 4.825 deceduti. Rispetto al giorno precedente ci sono
6.557 casi in più, 4.821 attualmente positivi in più, 943 guariti, 793
deceduti.
In Puglia il Prof. Lopalco,
Commissario nominato dal Governatore Emiliano a fronteggiare l’epidemia, dice
che la crescita non è esponenziale. Rispetto al giorno precedente si
registrano: 642 positivi (+ 91), 4 guariti (come il giorno prima), 29 deceduti
(+ 3).
Stamattina a Taurisano né morti
né vivi. Cimitero chiuso e per tutto il percorso per raggiungere l’edicola non
ho visto persona viva in giro. Perfino l’Eurospin è chiuso. Siamo passati dal
venite da qualunque posto siate, vi accogliamo, perché qui si vive, allo
statevene tutti a casa, chiunque voi siate, perché qui si muore.
La prima pagina del “Corriere
della Sera” mostra il piazzale davanti ad un supermercato a Prato: uno
spettacolo surreale: centinaia di persone distanziate e schierate in attesa di
entrare a fare la
spesa. Qualcosa del genere su scala minore, ma non meno
inquietante, l’ho vissuta io stando in attesa nei pressi dell’Ufficio Postale.
Non avevano ragione quelli che
svuotarono gli scaffali appena si seppe del diffondersi dell’epidemia? Come si
fa a fare la spesa in condizioni simili? E con le mascherine? Servono non
servono, sono obbligatorie, sono solo consigliabili. Ora si parla di caccia a
130 milioni di mascherine al mese. In queste situazioni non c’è che affidarsi
al Signore. Chi ci crede, naturalmente!
Circola in rete una poesia della
poetessa e scrittrice Mariangela Gualtieri “Nove
marzo duemilaventi”. Inizia: “Questo
ti voglio dire / ci dovevamo fermare. / Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti /
ch’era troppo furioso / il nostro fare. Stare dentro le cose. / Tutti fuori di
noi”; poi più oltre: “E’ portentoso
quello che succede. / E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano. / Forse ci
sono doni. / Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo”; e conclude: “Adesso lo sappiamo quanto è triste / stare
lontani un metro”. Parole semplici che riassumono motivi diffusi di
consapevolezza, di sentimenti, di necessità spirituali, di perdite di valori
che l’emergenza virus ci sta facendo recuperare. Chi mai si era accorto prima
che è così triste dover stare distanti almeno un metro l’uno dall’altro?
Succede sempre che non si dà il giusto valore a quello che si ha, spesso
neppure ci si accorge di averlo; e si valuta il valore solo quando lo si perde
o si rischia di perderlo.
Tra gli autori della letteratura
più gettonati in questi giorni del coronavirus ci sono Leopardi, Boccaccio,
Manzoni, Camus. Tutti, tranne Leopardi, citato per altre tematiche, grandi
narratori di epidemie.
Su “La Lettura”, il settimanale di
cultura del Corsera si legge un’interessante conversazione tra Antonio Prete
(leopardista), Simona Argentieri (psicoanalista), Eugenio Borgna (psichiatra),
Lamberto Maffei (medico e scienziato), Salvatore Natoli (filosofo), coordinati
da Paolo Di Stefano, sugli effetti antropologici del coronavirus. Dicono tutti
cose molto interessanti.
Antonio Prete: “In molti testi Leopardi riflette sul
rapporto con la natura e sulla condizione di sofferenza costitutiva dell’uomo
[…]. La ginestra mostra che nel movimento
dell’universo sta dentro anche l’uomo”.
Simona Argentieri si dice
d’accordo con chi afferma che c’è “bisogno
di un processo «sequenziale» a tappe, per rendersi conto di ciò che sta davvero
accadendo nel mondo. Tutto in una volta non era possibile contenerlo nella
mente, a livello cognitivo ed emotivo; scatenava troppa angoscia. […] Solo
progressivamente stiamo diventando consapevoli della portata di questo evento,
delle sue conseguenze e della cause remote”.
Eugenio Borgna puntualizza la
condizione umana di fragilità, che “ha
sempre fatto parte della nostra vita, ma rimane nascosta, è ritenuta inutile.
Non tutti ce ne accorgiamo di essere fragili, cerchiamo di ignorare o di
sottovalutare la debolezza come handicap dal quale rifuggire”.
Lamberto Maffei mette in rapporto
l’epidemia con la rivoluzione digitale in corso per evidenziare la
discontinuità: “Il passaggio di mentalità
verso la rivoluzione digitale era stato già abbastanza stressante, perché ci si
era dovuti adattare a percorsi più veloci. Siamo precipitati in una situazione
opposta, che ciascuno di noi deve affrontare a suo modo. […]. Si potrebbe dire
che per alcuni si tratta proprio di un’apocalisse che può causare depressione o
disperazione. […] il «non poter più fare» può presentarsi come una catastrofe”.
Salvatore Natoli è sulla stessa
lunghezza d’onda: “Quando il tempo scorre
nelle sue forme ordinarie e automatiche, si insinua il rischio di vivere senza
pensare. In una società, come quella contemporanea, programmata per scadenze e
ritmi, l’uomo è condotto da volontà esterne, non da altre persone ma da una
macchina impersonale, la stessa macchina che oggi, nell’emergenza, stiamo
riadattando come possibilità di comunicazione eccezionale rispetto alla regola”.
Interessante la sua battuta finale: “Ho
notato che quando si è presi da un pericolo vicino, sparisce la preoccupazione
per gli altri: dov’è la Siria? Dov’è la Turchia? Dov’è finita la disperazione
dei migranti? Siamo cresciuti su un fantasma falso, strumentalizzando quelle
morti nel bene e nel male, e adesso è tutto sparito. David Hume dice che
preferiamo la distruzione del mondo a un graffio sul nostro dito…”.
Questa dello studioso americano
David Quammen è davvero sorprendente: in un suo libro del 2012, in Italia uscito da
Adelphi nel 2014, intitolato Spillover,
citato da Paolo Giordano in un suo articolo, La matematica del contagio, apparso su Corsera del 25 febbraio,
porta avanti una sua tesi, che riprendo da “La Lettura”. Dice Quammen: “Tutto ha un’origine: i nuovi virus diffusi
nella popolazione umana provengono da animali selvatici. Gli ecosistemi
terrestri ospitano numerose specie animali, ognuna delle quali è portatrice di
patogeni unici e peculiari. Nel momento in cui si distruggono le foreste per
ottenere legname o ricavare metalli, oppure si uccidono centinaia di specie per
uso alimentare o per immetterle sul mercato, si espone il genere umano a tutti
questi virus: offriamo cioè loro l’opportunità di trasferirsi dagli ospiti
animali alla nostra specie. Negli ultimi decenni queste attività sono aumentate
in maniera esponenziale; tutto ciò ha rotto l’equilibrio dell’ecosistema e
interferito prepotentemente con quello della vita animale. Come se non bastasse
la popolazione umana è aumentata fino agli attuali 7,7 miliardi: è una
polveriera se si considera anche la facilità di movimento di un mondo
globalizzato. Tutti questi fattori hanno contribuito ad aumentare il rischio di
frequenti spillover, ossia invasioni di nuovi virus nella nostra società”.
La lezione è chiara. Lo studioso
conclude: “E’ giunto il momento di
ritrovare l’umiltà e capire come trattare con il massimo rispetto il resto del
mondo vivente”.
Io credo che Quammen abbia detto
la sacrosanta verità. Io stesso, si parva
licet, posso testimoniare. Un po’ di anni fa a Taurisano fu distrutta
un’area piena di alberi da frutta e una campagna per lo più lasciata incolta
per molti anni con un trullo diroccato e con pochi scheletrici ulivi e fichi
centenari per far posto alla costruzione di un supermercato. Soprattutto la
campagna era ricettacolo di animali, lucertole, gechi, topi, serpenti, ragni,
che tra i rovi e le immondizie avevano il loro regno. Nei successivi due-tre
anni gli animali, sloggiati dal loro habitat, finirono nei giardini vicini, fra
cui il mio. Fu una festa per i gatti, che annientarono sistematicamente tutti i
“migranti”. Era riuscito a sottrarsi un serpentello nero, che d’inverno se ne
andava in letargo per ricomparire d’estate e scomparire poi definitivamente.
Ora, è lecito chiedersi: i grandi incendi australiani di questa estate cosa
provocheranno nel mondo? E c’è chi si chiede che cosa provocherà nel mondo lo
scongelamento dei ghiacciai con la liberazione di specie di insetti estinti da
secoli e secoli?
Sembra fantascienza o un racconto
horror. Ma, purtroppo, quanto sta accadendo col diffondersi dell’epidemia fa
anche questi effetti.
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