domenica 3 febbraio 2013

Napolitano copre il vaso di Pandora



Gran brutto sfortunato finale quello del Presidente Napolitano. Dopo l’affare Monti, finito con la salita-discesa in campo, a sfregio della parola data; la presunta trattativa Stato-mafia, dove si impedisce di fare luce su una concreta verità a difesa di un principio astratto; l’Ilva, in cui si entra in conflitto con un potere dello Stato nell’esercizio delle sue prerogative; ora giunge lo scandalo degli scandali: il caso Monte Paschi di Siena. Il Presidente che per cinque anni e mezzo è stato davvero uno scudo delle istituzioni rischia di finire il coperchio di un bruttissimo scoperchiato vaso di Pandora. Nessuno pretenderebbe che nel gran disastro nazionale il Presidente della Repubblica si mettesse a peggiorare la situazione, mettendo fuoco alla casa che già brucia, ma non c’è cittadino che non chieda al suo Presidente una parola di chiarezza, una posizione di fermezza, la garanzia nella quale è possibile sperare in un momento così critico per il Paese. Dire che la Banca d’Italia ha correttamente ed efficacemente vigilato sulle operazioni del Monte dei Paschi di fronte ad uno scandalo colossale, possibile solo in presenza di omissioni e complicità diffuse, non è rendere un servigio alla verità, non rafforza nella gente la fiducia nelle istituzioni, ma il tentativo di coprire i responsabili, gli interni al Monte dei Paschi, gli esterni della Banca d’Italia e gli uomini anfibi del Pd, che da sempre attraverso la Fondazione controllano quella banca.
Altre volte non abbiamo risparmiato a Di Pietro critiche per le sue esternazioni contro Napolitano, ma questa volta non si può non riconoscergli la giustezza di ciò che dice e della posizione assunta, condivisa peraltro da Maroni della Lega e da Grillo del Movimento 5 stelle. Un punto fermo nella baraonda generale ci vuole, è come un appiglio se non per salvarsi per capire almeno che sta succedendo.
L’altra sera, giovedì, 31 gennaio, a “Servizio pubblico” di Michele Santoro, su “La 7”, c’erano tre ospiti: Giulio Tremonti, Antonio Di Pietro e Stefano Fassina. Troppo noti per perdere tempo a dire chi sono. Forse è il caso di spendere qualche parola per Fassina, che è il più giovane, ed è l’esperto di economia del Pd; già bocconiano. Tema d’obbligo: la questione del Monte dei Paschi di Siena. Il caso, scoppiato qualche giorno prima con le dimissioni da presidente dell’Abi di Giuseppe Mussari, ex presidente del Monte Paschi, si è aggravato sempre più come una slavina che precipita a valle e assume le dimensioni di vera e propria rovinosa valanga. I fatti sono in parte noti. Il Monte dei Paschi compra dalla banca spagnola Santander la Banca Antonveneta pagandola nove miliardi di euro appena tre mesi dopo che la banca spagnola l’aveva comprata a sua volta per sei miliardi. Non è cosa. Lo capiscono perfino i bambini ai primi approcci con l’aritmetica. Ma uno può dire: il Monte Paschi ha fatto i suoi calcoli e ha visto che era conveniente. E, invece, no. Non era per niente conveniente, perché il Monte Paschi era ed è indebitato. Una faccenda poco chiara, in cui, par di capire, per coprire un buco finanziario se ne fa un altro e con quel materiale si rimedia, come accade quando i chirurghi ti prendono la pelle da una parte del corpo e te l’appiccicano sul volto che è rimasto deturpato. Un’operazione probabilmente mirata ad aggiustare i bilanci. Lo scandalo che ne è venuto fuori è stato paragonato a quello della Banca Romana che nel 1893 costrinse alle dimissioni Giolitti, il quale dovette perfino riparare all’estero per non essere arrestato. Vedrà ora la magistratura di far chiarezza sui fatti e di individuare i responsabili.
Ma non è così semplice. Non si tratta di un corruttore, di un ladro; in entrambi i casi i responsabili scoperti sono portati davanti al giudice, provato che sono colpevoli ricevono una bella sentenza di condanna e tutto finisce lì. Siamo in presenza della terza banca italiana in ordine di importanza. Sono in gioco i risparmi della gente per miliardi di euro, migliaia di posti di lavoro, credibilità nazionale e internazionale; c’è il coinvolgimento delle massime istituzioni del settore, con proiezioni sul piano europeo. Per questo, al di là della dimensione dello scandalo, il caso Monte Paschi pone una serie di questioni. Di Pietro diceva che cose del genere semplicemente non dovrebbero mai accadere – e ha ragione! –, che non si può sempre demandare alla magistratura di porre rimedio ai disastri, che nello specifico ci sono precise responsabilità da parte di chi doveva vigilare e non ha vigilato, chiamando in causa esplicitamente la Banca d’Italia e i suoi ultimi due governatori e perfino il Presidente della Repubblica, che con la sua autorevolezza ha escluso che la Banca d’Italia nella circostanza possa essere stata omissiva o negligente. 
Di Pietro, si sa, non ama il politicamente corretto, ma in presenza di fatti così gravi, fino a che punto bisogna essere politicamente corretti, che poi vuol dire essere reticenti, bugiardi, ipocriti, per non dire apertis verbis complici? Dov’è scritto che la politica deve essere il regno della menzogna? Fassina, che sembrava non in un dibattito ma sul banco degli imputati, come volesse allontanare da sé la corda dell’impiccato, chiedeva quasi clemenza per le istituzioni per evitare che il danno fosse ancora più grave. Tremonti non era da meno ed essendo stato al governo glissava sulla questione quasi fosse uno scherzuccio da dozzina, sostenendo che il governo non può intervenire sulla Banca d’Italia o sulle banche in generale. Insomma la pupa è rotta, non alziamo la voce, che tutto resti in famiglia, perché se ci sentono fuori siamo rovinati: chi se la sposa più la malcapitata? L’Italia è come la famiglia borghese di una volta: l’importante che fuori non si sappia, aggiustiamo le cose dentro, i panni sporchi laviamoli in casa. E’ successo: uno non c’entra, l’altro non ha competenza, l’altro ancora non ha visto, l’altro non poteva far niente. E’ la solita storia italiana in cui nessuno è responsabile di niente e tutto si perde nel labirinto delle irresponsabilità incrociate.
Napolitano ancora una volta è corso a porre qualche riparo, garantisce per la Banca d’Italia perché un suo discredito avrebbe una conseguenza gravissima in campo internazionale. Ma nasce anche il sospetto – la politica è anche il regno del sospetto! – che Napolitano voglia difendere il suo partito, il Pd, che nella vicenda è immerso fino al collo.
Unica nota positiva non è neppure quella ironicamente rilevata da Alfano sulla riservatezza e correttezza della Procura di Siena, ma sul fatto che certe questioni vengono fuori senza un preciso disegno di colpire qualcuno, come più volte in Italia si sospetta, la famosa giustizia ad orologeria. Il caso Monte dei Paschi è una gran brutta faccenda, certamente per la Banca in sé, per la Banca d’Italia, per il Pd, per Napolitano, ma soprattutto per il Paese.

Nessun commento:

Posta un commento