Gran brutto sfortunato finale
quello del Presidente Napolitano. Dopo l’affare Monti, finito con la
salita-discesa in campo, a sfregio della parola data; la presunta trattativa
Stato-mafia, dove si impedisce di fare luce su una concreta verità a difesa di
un principio astratto; l’Ilva, in cui si entra in conflitto con un potere dello
Stato nell’esercizio delle sue prerogative; ora giunge lo scandalo degli
scandali: il caso Monte Paschi di Siena. Il Presidente che per cinque anni e
mezzo è stato davvero uno scudo delle istituzioni rischia di finire il
coperchio di un bruttissimo scoperchiato vaso di Pandora. Nessuno pretenderebbe
che nel gran disastro nazionale il Presidente della Repubblica si mettesse a
peggiorare la situazione, mettendo fuoco alla casa che già brucia, ma non c’è
cittadino che non chieda al suo Presidente una parola di chiarezza, una
posizione di fermezza, la garanzia nella quale è possibile sperare in un
momento così critico per il Paese. Dire che la Banca d’Italia ha correttamente ed efficacemente
vigilato sulle operazioni del Monte dei Paschi di fronte ad uno scandalo
colossale, possibile solo in presenza di omissioni e complicità diffuse, non è
rendere un servigio alla verità, non rafforza nella gente la fiducia nelle
istituzioni, ma il tentativo di coprire i responsabili, gli interni al Monte
dei Paschi, gli esterni della Banca d’Italia e gli uomini anfibi del Pd, che da
sempre attraverso la
Fondazione controllano quella banca.
Altre volte non abbiamo
risparmiato a Di Pietro critiche per le sue esternazioni contro Napolitano, ma
questa volta non si può non riconoscergli la giustezza di ciò che dice e della
posizione assunta, condivisa peraltro da Maroni della Lega e da Grillo del
Movimento 5 stelle. Un punto fermo nella baraonda generale ci vuole, è come un
appiglio se non per salvarsi per capire almeno che sta succedendo.
L’altra sera, giovedì, 31
gennaio, a “Servizio pubblico” di Michele Santoro, su “La 7” , c’erano tre ospiti: Giulio
Tremonti, Antonio Di Pietro e Stefano Fassina. Troppo noti per perdere tempo a
dire chi sono. Forse è il caso di spendere qualche parola per Fassina, che è il
più giovane, ed è l’esperto di economia del Pd; già bocconiano. Tema d’obbligo:
la questione del Monte dei Paschi di Siena. Il caso, scoppiato qualche giorno
prima con le dimissioni da presidente dell’Abi di Giuseppe Mussari, ex
presidente del Monte Paschi, si è aggravato sempre più come una slavina che
precipita a valle e assume le dimensioni di vera e propria rovinosa valanga. I
fatti sono in parte noti. Il Monte dei Paschi compra dalla banca spagnola
Santander la Banca Antonveneta
pagandola nove miliardi di euro appena tre mesi dopo che la banca spagnola
l’aveva comprata a sua volta per sei miliardi. Non è cosa. Lo capiscono perfino
i bambini ai primi approcci con l’aritmetica. Ma uno può dire: il Monte Paschi
ha fatto i suoi calcoli e ha visto che era conveniente. E, invece, no. Non era
per niente conveniente, perché il Monte Paschi era ed è indebitato. Una
faccenda poco chiara, in cui, par di capire, per coprire un buco finanziario se
ne fa un altro e con quel materiale si rimedia, come accade quando i chirurghi
ti prendono la pelle da una parte del corpo e te l’appiccicano sul volto che è
rimasto deturpato. Un’operazione probabilmente mirata ad aggiustare i bilanci. Lo
scandalo che ne è venuto fuori è stato paragonato a quello della Banca Romana
che nel 1893 costrinse alle dimissioni Giolitti, il quale dovette perfino
riparare all’estero per non essere arrestato. Vedrà ora la magistratura di far
chiarezza sui fatti e di individuare i responsabili.
Ma non è così semplice. Non si
tratta di un corruttore, di un ladro; in entrambi i casi i responsabili scoperti
sono portati davanti al giudice, provato che sono colpevoli ricevono una bella
sentenza di condanna e tutto finisce lì. Siamo in presenza della terza banca
italiana in ordine di importanza. Sono in gioco i risparmi della gente per
miliardi di euro, migliaia di posti di lavoro, credibilità nazionale e
internazionale; c’è il coinvolgimento delle massime istituzioni del settore,
con proiezioni sul piano europeo. Per questo, al di là della dimensione dello
scandalo, il caso Monte Paschi pone una serie di questioni. Di Pietro diceva
che cose del genere semplicemente non dovrebbero mai accadere – e ha ragione!
–, che non si può sempre demandare alla magistratura di porre rimedio ai
disastri, che nello specifico ci sono precise responsabilità da parte di chi
doveva vigilare e non ha vigilato, chiamando in causa esplicitamente la Banca d’Italia e i suoi
ultimi due governatori e perfino il Presidente della Repubblica, che con la sua
autorevolezza ha escluso che la
Banca d’Italia nella circostanza possa essere stata omissiva
o negligente.
Di Pietro, si sa, non ama il
politicamente corretto, ma in presenza di fatti così gravi, fino a che punto
bisogna essere politicamente corretti, che poi vuol dire essere reticenti,
bugiardi, ipocriti, per non dire apertis
verbis complici? Dov’è scritto che la politica deve essere il regno della
menzogna? Fassina, che sembrava non in un dibattito ma sul banco degli
imputati, come volesse allontanare da sé la corda dell’impiccato, chiedeva
quasi clemenza per le istituzioni per evitare che il danno fosse ancora più
grave. Tremonti non era da meno ed essendo stato al governo glissava sulla
questione quasi fosse uno scherzuccio da
dozzina, sostenendo che il governo non può intervenire sulla Banca d’Italia
o sulle banche in generale. Insomma la pupa è rotta, non alziamo la voce, che
tutto resti in famiglia, perché se ci sentono fuori siamo rovinati: chi se la
sposa più la malcapitata? L’Italia è come la famiglia borghese di una volta:
l’importante che fuori non si sappia, aggiustiamo le cose dentro, i panni
sporchi laviamoli in casa. E’ successo: uno non c’entra, l’altro non ha competenza,
l’altro ancora non ha visto, l’altro non poteva far niente. E’ la solita storia
italiana in cui nessuno è responsabile di niente e tutto si perde nel labirinto
delle irresponsabilità incrociate.
Napolitano ancora una volta è
corso a porre qualche riparo, garantisce per la Banca d’Italia perché un suo
discredito avrebbe una conseguenza gravissima in campo internazionale. Ma nasce
anche il sospetto – la politica è anche il regno del sospetto! – che Napolitano
voglia difendere il suo partito, il Pd, che nella vicenda è immerso fino al
collo.
Unica nota positiva non è neppure quella ironicamente rilevata da Alfano
sulla riservatezza e correttezza della Procura di Siena, ma sul fatto che certe
questioni vengono fuori senza un preciso disegno di colpire qualcuno, come più
volte in Italia si sospetta, la famosa giustizia ad orologeria. Il caso Monte
dei Paschi è una gran brutta faccenda, certamente per
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