Ci risiamo! Un’altra mussolinata di Berlusconi. Egli – si sa – parla come una persona qualunque in un qualunque bar di paese. E’ un male? E’ un bene? Quando fa il porco con le sue olgettine offende il senso della dignità degli italiani, dimostra di non avere un’adeguata considerazione delle istituzioni: fa male, è un diseducatore. Ma, quando dice delle cose vere, fa bene, è un educatore, perché la politica non deve essere il regno delle menzogne, dell’ipocrisia, dell’inganno, di ciò che conviene dire e di ciò che conviene tacere, specialmente quando si parla di storia. La politica dovrebbe essere il regno della verità, se vuole essere credibile, se vuole avere il rispetto della gente. Magari Berlusconi dicesse la verità anche sulle cose economiche e finanziarie che lo riguardano!
Ma, per tornare alla Giorno della
Memoria, ricorrenza più sacra della Sacra Famiglia, ha detto che Mussolini
sbagliò a fare le leggi razziali. Ha fatto benissimo a dirlo, perché ha
interpretato quello che la stragrande maggioranza del popolo italiano pensa e
dice, fascisti compresi; ma ha poi aggiunto che per altri aspetti Mussolini
fece delle cose buone, con ciò interpretando quello che la stessa stragrande
maggioranza del popolo italiano pensa ma non dice, eccetto i fascisti.
Sissignori, la stragrande maggioranza del popolo italiano, nell’uno come
nell’altro caso! Così Berlusconi si è ritagliato uno spazio di consenso
esclusivo nel popolo italiano. Di qui la preoccupazione degli altri, che hanno
fatto ricorso all’Europa, all’America, e se avessero potuto anche all’Onu e
alla Nato.
L’incidente provocato ha però
aperto un problema serio nel rapporto classe politica-popolo. E’ giusto, è
opportuno che la classe politica consideri il popolo italiano un bambino a cui
si deve nascondere qualcosa per non guastargli la crescita e la formazione? Il
popolo “bambino” lo si può capire nelle dittature non nelle democrazie. Tacere
il bene che fece Mussolini è un’esigenza politica, un fattore di utile
conformismo, ma anche di stravolgimento dell’idea democratica, che così intesa
sembrerebbe debole e inadeguata a tenere insieme un popolo nella sua memoria collettiva
e a formargli una coscienza nazionale. Né il male né il bene scompaiono semplicemente
tacendoli. L’educazione di un popolo passa attraverso l’accettazione anche di
ciò che non piace ammettere, non certo nel suo nascondimento o peggio ancora
nella sua rimozione come se non fosse mai accaduto.
Quanti italiani considerano un
male la bonifica delle paludi pontine, la fondazione di numerose città, la riforma
del sistema bancario del 1926, la conciliazione con la chiesa, la ricostruzione
industriale (Iri), lo Stato sociale, l’Enciclopedia Italiana, le tante mostre
ed esposizioni per le quali l’Italia è ancora famosa nel mondo, tutta l’arte e
la letteratura del ventennio fascista? E lasciamo stare l’ordine e la
disciplina, la legalità e il dover rispondere sempre del proprio operato,
perché qui – convengo – ci sono italiani che non condividono, che considerano
intollerabile la presenza dello Stato nell’organizzazione e nel controllo della
società in tutti i suoi settori e articolazioni. Se così non fosse non saremmo
ridotti a come siamo ridotti, con persone che ridono perfino delle disgrazie
nazionali e delle calamità che colpiscono intere regioni pensando ai guadagni
che ne potrebbero derivare; non ci sarebbero per ogni opera pubblica da
realizzare tanti corruttori e corrotti che fanno lievitare i costi fino a dieci
volte senza neppure portare a compimento le opere; non ci sarebbero tante
banche che ingoiano soldi dello Stato senza nulla dare ai cittadini singoli e
alla società nell’insieme; non ci sarebbero cittadini che vogliono sovvertire
perfino le leggi di natura e non riconoscono modelli morali né pubblici né privati.
Lasciamo stare tutto questo: esiste e bisogna tenerne conto. Ma mi rifiuto di
pensare che ci sia un solo italiano a credere che il fascismo fu soltanto male,
che venti anni di dittatura fascista non hanno prodotto nulla di buono in
Italia.
Né capisco per quale “nobile” motivo
si deve tacere su ciò che l’Italia e il popolo italiano hanno fatto di buono durante
il ventennio fascista. Non hanno visto e non vedono gli italiani quanto siano
meglio costruiti gli edifici del Ventennio fascista a fronte degli edifici
costruiti dopo, che si crepano al primo assestamento, si riempiono di umido
alle prime piogge, sprofondano e crollano ad ogni piccola scossa della terra?
Che pensano i cittadini italiani quando vedono l’incuria in cui sono caduti
tanti luoghi archeologici, edifici storici e giardini, parchi e boschi, le
piazze e i tanti luoghi pubblici delle città, le periferie, diventati dominio
di gente che muore e neppure se ne conosce nome, cognome e identità? Dobbiamo
insistere a considerare il popolo italiano un popolo di fessi? Di incapaci a
farsi un’idea di ciò che vedono, che toccano, che frequentano, che vivono?
Dobbiamo continuare a tacergli una parte della verità, quella ritenuta ideologicamente
inquinante?
L’intelligenza critica che alla
verità s’impronta non inquina mai, disvela gli inganni e le frodi. Chi non la
ama vuol dire che ha qualcosa di marcio da nascondere.
Chiamato a pareggiare il conto
con le mussolinate di Berlusconi, lo
storico Sabbatucci al telegiornale di Rai Uno di lunedì, 28 gennaio, si è
limitato a dire che le leggi razziali non furono approvate da Mussolini per
fare un piacere alla Germania nazista ma perché connaturate al fascismo ed
organiche alla sua visione del mondo. Il che può essere vero, comunque
discutibile, se si considera il fascismo e gli ebrei italiani nei sedici anni
precedenti a quelle leggi; ma non ha contraddetto Berlusconi negando le cose
buone che il fascismo fece. Nessuno storico può essere così autolesionista,
dispregiatore del suo prestigio da affermare uno sproposito del genere. Come
nessun biologo può negare nella vita di un essere un segmento di esistenza
perché spiacevole.
Ma l’aspetto più antipatico di
questo gridare “al lupo ! al lupo!” è la preoccupazione che l’Europa si arrabbi
con noi, perché l’Europa non tollera che non si accetti il modello etico omologato,
quasi che le idee politiche, sociali, etiche ed estetiche fossero assimilabili
ai prodotti a derivazione d’origine controllata. L’Europa si rivela sempre più
l’erede della santa romana chiesa dei tempi dell’inquisizione. Mancano solo i
roghi! Dirlo da Taurisano, città natale di Giulio Cesare Vanini, filosofo arso
a Tolosa nel 1619, forse ha anche un senso.
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