mercoledì 30 gennaio 2013

Berlusconi e le mussolinate



Ci risiamo! Un’altra mussolinata di Berlusconi. Egli – si sa – parla come una persona qualunque in un qualunque bar di paese. E’ un male? E’ un bene? Quando fa il porco con le sue olgettine offende il senso della dignità degli italiani, dimostra di non avere un’adeguata considerazione delle istituzioni: fa male, è un diseducatore. Ma, quando dice delle cose vere, fa bene, è un educatore, perché la politica non deve essere il regno delle menzogne, dell’ipocrisia, dell’inganno, di ciò che conviene dire e di ciò che conviene tacere, specialmente quando si parla di storia. La politica dovrebbe essere il regno della verità, se vuole essere credibile, se vuole avere il rispetto della gente. Magari Berlusconi dicesse la verità anche sulle cose economiche e finanziarie che lo riguardano!
Ma, per tornare alla Giorno della Memoria, ricorrenza più sacra della Sacra Famiglia, ha detto che Mussolini sbagliò a fare le leggi razziali. Ha fatto benissimo a dirlo, perché ha interpretato quello che la stragrande maggioranza del popolo italiano pensa e dice, fascisti compresi; ma ha poi aggiunto che per altri aspetti Mussolini fece delle cose buone, con ciò interpretando quello che la stessa stragrande maggioranza del popolo italiano pensa ma non dice, eccetto i fascisti. Sissignori, la stragrande maggioranza del popolo italiano, nell’uno come nell’altro caso! Così Berlusconi si è ritagliato uno spazio di consenso esclusivo nel popolo italiano. Di qui la preoccupazione degli altri, che hanno fatto ricorso all’Europa, all’America, e se avessero potuto anche all’Onu e alla Nato.
L’incidente provocato ha però aperto un problema serio nel rapporto classe politica-popolo. E’ giusto, è opportuno che la classe politica consideri il popolo italiano un bambino a cui si deve nascondere qualcosa per non guastargli la crescita e la formazione? Il popolo “bambino” lo si può capire nelle dittature non nelle democrazie. Tacere il bene che fece Mussolini è un’esigenza politica, un fattore di utile conformismo, ma anche di stravolgimento dell’idea democratica, che così intesa sembrerebbe debole e inadeguata a tenere insieme un popolo nella sua memoria collettiva e a formargli una coscienza nazionale. Né il male né il bene scompaiono semplicemente tacendoli. L’educazione di un popolo passa attraverso l’accettazione anche di ciò che non piace ammettere, non certo nel suo nascondimento o peggio ancora nella sua rimozione come se non fosse mai accaduto.
Quanti italiani considerano un male la bonifica delle paludi pontine, la fondazione di numerose città, la riforma del sistema bancario del 1926, la conciliazione con la chiesa, la ricostruzione industriale (Iri), lo Stato sociale, l’Enciclopedia Italiana, le tante mostre ed esposizioni per le quali l’Italia è ancora famosa nel mondo, tutta l’arte e la letteratura del ventennio fascista? E lasciamo stare l’ordine e la disciplina, la legalità e il dover rispondere sempre del proprio operato, perché qui – convengo – ci sono italiani che non condividono, che considerano intollerabile la presenza dello Stato nell’organizzazione e nel controllo della società in tutti i suoi settori e articolazioni. Se così non fosse non saremmo ridotti a come siamo ridotti, con persone che ridono perfino delle disgrazie nazionali e delle calamità che colpiscono intere regioni pensando ai guadagni che ne potrebbero derivare; non ci sarebbero per ogni opera pubblica da realizzare tanti corruttori e corrotti che fanno lievitare i costi fino a dieci volte senza neppure portare a compimento le opere; non ci sarebbero tante banche che ingoiano soldi dello Stato senza nulla dare ai cittadini singoli e alla società nell’insieme; non ci sarebbero cittadini che vogliono sovvertire perfino le leggi di natura e non riconoscono modelli morali né pubblici né privati. Lasciamo stare tutto questo: esiste e bisogna tenerne conto. Ma mi rifiuto di pensare che ci sia un solo italiano a credere che il fascismo fu soltanto male, che venti anni di dittatura fascista non hanno prodotto nulla di buono in Italia. 
Né capisco per quale “nobile” motivo si deve tacere su ciò che l’Italia e il popolo italiano hanno fatto di buono durante il ventennio fascista. Non hanno visto e non vedono gli italiani quanto siano meglio costruiti gli edifici del Ventennio fascista a fronte degli edifici costruiti dopo, che si crepano al primo assestamento, si riempiono di umido alle prime piogge, sprofondano e crollano ad ogni piccola scossa della terra? Che pensano i cittadini italiani quando vedono l’incuria in cui sono caduti tanti luoghi archeologici, edifici storici e giardini, parchi e boschi, le piazze e i tanti luoghi pubblici delle città, le periferie, diventati dominio di gente che muore e neppure se ne conosce nome, cognome e identità? Dobbiamo insistere a considerare il popolo italiano un popolo di fessi? Di incapaci a farsi un’idea di ciò che vedono, che toccano, che frequentano, che vivono? Dobbiamo continuare a tacergli una parte della verità, quella ritenuta ideologicamente inquinante?
L’intelligenza critica che alla verità s’impronta non inquina mai, disvela gli inganni e le frodi. Chi non la ama vuol dire che ha qualcosa di marcio da nascondere.     
Chiamato a pareggiare il conto con le mussolinate di Berlusconi, lo storico Sabbatucci al telegiornale di Rai Uno di lunedì, 28 gennaio, si è limitato a dire che le leggi razziali non furono approvate da Mussolini per fare un piacere alla Germania nazista ma perché connaturate al fascismo ed organiche alla sua visione del mondo. Il che può essere vero, comunque discutibile, se si considera il fascismo e gli ebrei italiani nei sedici anni precedenti a quelle leggi; ma non ha contraddetto Berlusconi negando le cose buone che il fascismo fece. Nessuno storico può essere così autolesionista, dispregiatore del suo prestigio da affermare uno sproposito del genere. Come nessun biologo può negare nella vita di un essere un segmento di esistenza perché spiacevole.
Ma l’aspetto più antipatico di questo gridare “al lupo ! al lupo!” è la preoccupazione che l’Europa si arrabbi con noi, perché l’Europa non tollera che non si accetti il modello etico omologato, quasi che le idee politiche, sociali, etiche ed estetiche fossero assimilabili ai prodotti a derivazione d’origine controllata. L’Europa si rivela sempre più l’erede della santa romana chiesa dei tempi dell’inquisizione. Mancano solo i roghi! Dirlo da Taurisano, città natale di Giulio Cesare Vanini, filosofo arso a Tolosa nel 1619, forse ha anche un senso. 

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