domenica 27 gennaio 2013

La destra italiana tra giustizialismo e garantismo



L’esclusione di alcuni politici dalle liste del Pdl per le votazioni del 24 febbraio ha riproposto l’antica questione, particolarmente sentita nella destra, della giustizia in rapporto alle garanzie; e ha riaperto la questione più generale dell’essere di destra.
Fino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso dire destra in Italia voleva dire unicamente Msi, ossia neofascismo. Nessun altro della destra politica voleva essere etichettato tale. Lo sforzo fatto da Giorgio Almirante agli inizi degli anni Settanta per creare la Grande Destra col monarchico Covelli e il liberale Malagodi, dopo aver recuperato Pino Rauti e godendo dell’appoggio del settimanale il Borghese di Mario Tedeschi e Gianna Preda, che in quegli anni raccoglieva il variegato universo neofascista e aveva notevole forza trainante, non riuscì per la contrarietà del segretario liberale. Questi condivideva col partito repubblicano di La Malfa, altro partito cui faceva riferimento la Confindustria, i favori della destra economica e finanziaria e posti di potere nei governi compositi capeggiati dalla Democrazia cristiana. Fare causa comune coi “fascisti” Almirante e Rauti significava per Malagodi precludersi opportunità di governo. Cosa non proprio sopportabile per chi fa politica allo scopo precipuo di giungere al governo.
A  dirla tutta e bene, però, Malagodi non poteva condividere esperienze politiche con Almirante, per una ragione che allora non aveva tanta visibilità ma che da qualche anno, direi dall’esplosione di Tangentopoli, è diventata la cifra discriminante delle due componenti della destra italiana, quella di derivazione missina e quella di derivazione liberale. I missini erano ferocemente giustizialisti, se ne vantavano e se ne fregiavano. Furono fra quelli che ai tempi di Tangentopoli inalberarono cartelli in Parlamento e agitarono il cappio. Erano pur sempre gli eredi di Verona e i loro umori si caratterizzavano per una gran voglia di giustizia. I liberali, invece, erano garantisti. Si può capire. Gli uni, non essendo stati mai al potere, erano assolutamente immuni da inchieste giudiziarie legate alla corruzione e perciò chiedevano la forca per corrotti e corruttori. Gli altri, essendo stati invece per tanti anni al potere, invocavano garanzie, contestavano metodiche da regime repressivo. Gli uni e gli altri si sono poi ritrovati insieme e insieme con ex democristiani, ex socialisti ed ex repubblicani nel cosiddetto centrodestra di Berlusconi, prima come Forza Italia e poi, con la fusione di An, ex Msi, come Popolo delle Libertà. 
La premessa è funzionale per capire la metamorfosi subita dagli ex missini dopo Mani Pulite e la nascita di una destra allargata. All’interno di questa formazione, così eterogenea e raccogliticcia, per gli ex missini si pose fin dall’inizio il problema della loro derivazione e del loro essere stati. Il giustizialismo, insieme a tanti altri ismi, era scomodo, ostativo di alleanze coi garantisti e di opportunità governative. Era necessaria un’operazione di riqualificazione. Questa ebbe inizio, in maniera direi sommaria e sbrigativa, a Fiuggi nel gennaio 1994, nel famoso congresso di chiusura del Msi e di fondazione di An, ideata e condotta da personaggi che univano all’astrattezza del pensiero, come Domenico Fisichella, la concretezza della politica, come Pinuccio Tatarella, la continuità nella prospettiva, come Gianfranco Fini. Si può essere critici nei confronti di quella trasformazione, ma non si può non riconoscere che qualcosa andava fatta in chiusura di un’epoca, quella partitocratica o della prima repubblica, e in apertura di una nuova, battezzata seconda repubblica. E ci stava perfino che si rivedesse qualcosa anche nella domanda di giustizia, sapendo di dover convivere con tanta gente che del garantismo aveva bisogno come un malato di un farmaco efficace.
Si verificò purtroppo un fenomeno imprevisto e forse imprevedibile: la domanda di giustizia divenne tolleranza prima e acquisizione poi del più acritico e pigro garantismo. I missini finirono per diventare più garantisti dei liberali e ad estendere il garantismo fino alla criminalità organizzata, che, come si sa, riesce ad infiltrarsi nei settori meno sospettabili della società fino alle alte sfere del potere politico, economico, finanziario, perfino giudiziario e Dio solo sa dov’altro.
A favorire il fenomeno di trasformazione degli ex missini da giustizialisti arrabbiati in garantisti illuminati ha concorso sicuramente la guerra che non pochi magistrati hanno scatenato contro il capo del centrodestra Silvio Berlusconi, per cui ogni inchiesta giudiziaria rivolta a un rappresentante di questo schieramento è stata considerata un attacco politico, dal quale bisognava difendersi. Da quel momento in poi gli ex missini, che tante denunce e battaglie avevano fatto per la legalità, non sono entrati più nel merito delle inchieste e dei processi ma si sono impegnati a sostenere le garanzie degli imputati. Essi devono essere prima condannati con sentenza passata in giudicato prima di essere considerati colpevoli; il che può accadere dopo i previsti tre gradi di giudizio e in termini temporali dopo qualche decina di anni, dato che i tempi della giustizia in Italia sono biblici. Nel frattempo questi “signori” possono candidarsi, farsi eleggere, ricoprire cariche istituzionali e di potere politico; e intanto continuare nelle loro attività che solo dopo tanti anni e tanti danni si può sapere se erano o no legali. Il ragionamento a conclusione di una simile aberrante visione delle cose è: e se al termine del processo l’imputato, intanto escluso dai suoi diritti politici e rovinato, dovesse risultare innocente? Ecco – dicono i garantisti – l’irreparabile, che bisogna evitare prima che accada! Ma con lo stesso ragionamento si potrebbe dire: e se nel frattempo che lo stesso è tornato a fare politica e ad amministrare la cosa pubblica e a reiterare i reati dovesse risultare colpevole?
E’ evidente che giustizialismo e garantismo sono posizioni radicali, estremiste, che non possono essere assunte a criteri onnicomprensivi. Ciò che potrebbe valere per un comune cittadino non può valere per un politico. Il quale, scendendo o salendo in politica, dovrebbe sapere quali sono i rischi e fare di tutto per non correrli o predisporsi mentalmente ad affrontarli con spirito garantista, non per se stesso ma per la società, ed essere pronto a dimettersi.        
Gianfranco Fini dice che fu lui a sollevare la questione giustizia nel Pdl e che per questo fu cacciato. Peccato che lui la questione non la pose sul piano politico né come leader  di una componente importante come An, ma da singolo a singolo, sperando che la magistratura togliesse di mezzo Berlusconi per regalare a lui il partito e il governo. Oggi vuole nobilitare un tradimento politico, non nei confronti di Berlusconi ma degli italiani che avevano creduto in lui e lo avevano seguito, accreditandosi come un martire della giustizia e della moralità pubblica.   
La situazione politica della destra oggi è di massima confusione. Ma se le istituzioni politiche di questa importante parte politica difettano, non così i cittadini che si riconoscono nei valori della destra. Essi possono trovare da sé la sintesi tra giustizialismo e garantismo e separare il piano giudiziario da quello politico, in attesa che si formi una nuova classe politica di destra che li rappresenti degnamente.   

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