domenica 29 luglio 2012

Monti e gli eredi della sua agenda

Ognuno pensi/a per sé. Regola aurea. Monti in Russia, domenica 22 luglio, ha citato De Gasperi per dire che in fondo in Italia ci sono molti politici e un solo statista: i politici sono gli altri, quelli che pensano alle prossime elezioni, lo statista è lui, che pensa alle prossime generazioni. Detta così sembrerebbe quasi che lo statista sia colui il quale non si preoccupa delle elezioni, che sono, come ognuno sa, il momento più importante e qualificante della democrazia, ma piuttosto delle generazioni future; ergo, la democrazia ha la vista corta e non vede oltre le elezioni. Sillogismi, si dirà. Invece Monti pone una serie di seri interrogativi. La democrazia in Italia sta prendendo una forma diversa da quella tradizionale. Non solo in Italia, evidentemente. Non più un capo del governo che necessariamente coniuga elezioni e generazioni, consenso e prospettive, ma un capo del governo che si preoccupa solo di ciò che verrà (future generazioni) e una massa di politici che si preoccupa solo di ciò che è (consenso elettorale), laddove risalta uno iato forte tra esercizio del potere, che opera a prescindere, e consenso elettorale che non si capisce a che cosa è rivolto e mirato. Ma la politica, pur prendendo a causa della sua fluidità la forma del contenitore, adeguandosi alla mutante realtà, si pone sempre come obiettivo il benessere del popolo. E De Gasperi resta un esempio di politico e di statista, come il suo 18 aprile del 1948 ricorda.
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Lo sappiamo tutti che formalmente l’esperienza Monti è un’anomalia, checché ne dica Napolitano, che se n’è fatto ideatore e fattore. Ma è un’anomalia che rischia di diventare norma. Ormai i governi nazionali non dipendono dal popolo che si esprime per il consenso, per la conferma o il cambio, ma da quello che decide il sinedrio europeo. “L’Europa ce lo chiede”, “L’Europa ce lo impone”. Lo capimmo noi italiani fin da quando la Commissione europea bocciò Buttiglione, perché a domanda cosa pensasse degli omosessuali rispose che essendo lui cattolico, pur rispettandoli, non li approvava. Ne abbiamo avuto conferma con Berlusconi, il quale ha dovuto lasciare il governo per i suoi comportamenti extrapolitici, che tanto imbarazzo hanno creato in Italia, in Europa e nel mondo. Mettiamoci l’animo in pace: la democrazia, che già di per sé è filtro deformante della volontà popolare e nazionale, è una mera finzione. C’è chi governa per mandato europeo, ed è lo statista, di cui parla Monti; e c’è chi chiacchiera per mandato popolare, e sono i politici.
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Col senno del poi anche Ernesto Galli della Loggia riconosce che all’origine della costruzione europea “vi fu un atto di temeraria cecità geopolitica”, che “oggi riappare in tutta la sua drammatica evidenza la diversità tra l’«Europa tedesca» e l’«Europa mediterranea»”, che “a complicare ulteriormente le cose ci si aggiunge pure, grazie al dissennato allargamento a Est, la radicale diversità dell’«Europa balcanica»”; e riconosce che “A Sud delle Alpi e dei Pirenei, per ottenere successo, la democrazia è stata spinta a diventare fin dall’inizio, e sempre di più, una democrazia dei benefici, delle elargizioni, delle sovvenzioni, degli stipendi: a diventare una democrazia della spesa (e quindi, alla lunga, del debito) alimentando uno spirito pubblico conseguente” (Un’antica diversità, “Corriere della Sera” di mercoledì, 25 luglio). Cecità, dissennatezza, inadeguatezza dell’Europa mediterranea ad interpretare correttamente la democrazia, ma qui siamo davvero alla follia pura! Si riconosca una buona volta per tutte che si è sbagliato a fare l’Europa come la si è fatta, e che ora occorre rimediare senza perdere altro tempo. In questo il ruolo di tutte le forze politiche è fondamentale.
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Ha detto Monti in una recente intervista (Ferruccio Pinotti su “Sette”, n. 30 del 27 luglio): “chi si loda si imbroda”. D’accordo, è un vecchio detto popolare. Da noi, nel Salento, si dice “ci se vanta sulu no mbale nnu pasùlu” (chi si vanta da sé non vale un fagiolo). Ma, da che è presidente del consiglio, Monti non fa che imbrodarsi, un po’ per vezzo, evidentemente compulsivo, e un po’ per servile vocazione di chi lo intervista. Pur concedendo che il settimanale del “Corriere della Sera” non è specialistico ma un periodico leggero d’integrazione informativa, non si può esaurire l’intervista ad un capo di governo chiedendogli il colore che preferisce, il libro, il film, la canzone, il primo amore e via gossipando. Accanto a simili domande, bisognava farne alcune un po’ più serie e interessanti. Invece, nella lunga intervista, Monti, su domande dell’intervistatore, ha ripetuto il repertorio noto da almeno un anno: dalle raccomandazioni della mamma a tenersi lontano dalla politica alla più recente citazione degasperiana sui politici e gli statisti. Conclusione inevitabile, forse da impaginare nella rubrica di culinaria: un Monti in brodo.
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Si fa sempre più strada in campo internazionale l’idea che il problema dell’Italia o per lo meno uno dei problemi che la rendono poco credibile è l’instabilità di governo. Questa sembrerebbe oggi la ragione per la quale il nostro Paese, cui pure si riconosce la diversità in positivo rispetto ad altri sul piano economico-finanziario, non gode del favore dei mercati e delle agenzie di rating. Ma, a riflettere, c’è nulla di più instabile del governo Monti? Non è forse questo governo il simbolo dell’instabilità, essendo nato con un termine ben preciso? Chi sarebbe così fesso da prestare soldi ad uno affetto da malattia incurabile e che ha i giorni contati? Chi compra Btp vuole garanzie e se non ne ha a sufficienza, allora o non compra o vuole tassi di interesse alti o altissimi a seconda della scadenza. Mi sembra giusto. La Germania finirà per farsi pagare due volte dai compratori di Bund: la prima volta quando glieli acquistano e la seconda quando deposita i denari ricevuti nelle sue banche e nelle sue aziende. Ma la Germania dopo Merkel avrà un suo clone, che di diverso avrà solo il nome.
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Si enfatizza, secondo un vezzo italiano che si esaltava ai tempi di Mussolini, che da Obama a Putin sono tutti pazzi per Monti. A parte che si confonde il garbo diplomatico con giudizi di valore, c’è da cogliere un messaggio, che è chiaro e che è stato pure recepito. I governi politici del dopo Monti devono continuare la sua agenda. Ma c’è una classe politica oggi in Italia in grado di governare il Paese con austerità, politica e non tecnica? C’è da disperare vedendo scorrere ogni giorno nei telegiornali i volti osceni e grotteschi dei vari Bersani, Alfano, Casini, Cicchitto, Di Pietro, Grillo, Fini, Schifani, Gasparri, Vendola, l’uno contro l’altro, in niente e su niente d’accordo. E sarebbero questi gli eredi dell’agenda Monti? I garanti di un governo stabile? La prima cosa che dovrebbero fare questi signori, che, intendiamoci, non sono fessi, è di coprirsi le vergogne come fecero Adamo ed Eva uscendo dall’Eden. Le vergogne, in questo caso, sono le loro assurde contrapposizioni su ogni cosa che riguardi il governo del Paese. Se non lo faranno, saranno cacciati via per sempre dall’eden politico italiano nudi, con le vergogne al vento.

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