mercoledì 18 luglio 2012

Camillo uno e bino. Giulia Licci e il lato poetico dell'omosessualità

Giulia Licci è come un fantasma che si aggira nel Salento. Vive anagraficamente a Ruffano, discendente di un’antica famiglia della borghesia professionale e terriera. Lei stessa è stata insegnante di italiano. Ma non va in giro, non si lascia vedere. Dire però che non vede è un errore. Calza per lei la metafora della cecità del poeta, colui che vede senza vedere o, come diceva di Omero il Manzoni “d’occhi cieco, e divin raggio di mente”. Da diversi anni ormai con brevi raccolte di pochi e lievi brani poetici, rigorosamente in ottonari, propone i problemi più spinosi e inquietanti dei nostri tempi. Lo fa con una vena d’ironia; dà l’impressione sia di giocare sia di prendersi gioco, riconducendo la drammaticità della vita in una visione che ha del fiabesco e del sapienziale. I suoi protagonisti sono animaletti, avvenimenti, politici, letterati (Manzoni, Moretti, D’Annunzio). Ha il gusto della preziosità. Qualche anno fa Vanni Scheiwiller le pubblicò in volume le sue raccoltine, Poesie 1942-1998, con un saggio introduttivo di Nicola G. De Donno, consacrandone la fama. Ora, la raccomandiamo a Crocetti.
Nell’ultima sua raccolta, intitolata Camillo (GR edizioni, Besana in Brianza, maggio 2012, pp. 28), in cui la Licci recupera una certa freschezza evoco-allusiva, in sei brevi brani poetici propone un’idea di omosessualità dai caratteri spiazzanti. L’omosessualità, per intenderci, non nella sua dimensione erotica o istituzionale (coppie di fatto, matrimoni gay) ma come condizione dell’essere umano nella sua psicofisicità.
Come al solito parte da un personaggio o da un fatto importante; questa volta da una ricercatezza culturale. Inutile chiedersi chi è Camillo, se è il giovane studente Camillo Strozzi o il letterato Camillo Scroffa (1526-1565). Probabilmente sono la stessa persona. Per la curiosità del lettore Camillo Scroffa, poeta giocoso vicentino, conobbe a Padova da studente un maestro di grammatica, Pietro Fidenzio Giunteo da Montagnana, ridicolo e pedante, il quale dedicava i suoi carmi ai potenti della Repubblica Veneta con lo pseudonimo di Glottochrysius Petrus Fidentius Juncteus. Lo Scroffa nel 1562 pubblicò «I cantici di Fidenzio Glottocrisio Ludimagistro», in cui era compresa anche l’«Amorosa elegia di un appassionato pedante al suo amatissimo Camillo» e l’attribuì a quel suo maestro. Uno scherzo, dunque, che diede il nome a certa poesia giocosa e pedante detta appunto fidenziana. Non ci sarebbe da meravigliarsi se la Licci sia in possesso perfino della relativa “cinquecentina”.
Che dice la Licci? Nel I brano, (vv. 6) pare che sia lo studente Camillo Strozzi innamorato, colto ad accarezzare i peli della barba del suo signore e maestro Fidenzio; nel II brano (vv. 6) è Fidenzio che vagheggia il suo Camillo “nell’auletta senza sole / perché assente era Camillo / e pedante la lezione”; nel III (vv. 8) è ancora il maestro Fidenzio “visionario di una bocca / dolce rosea esigua bocca”; nel IV (vv. 8) si adombra che il giovane Camillo sia morto e che Fidenzio si strugga di nostalgia per lui finché un angioletto dal cielo scende sulla Terra a consolarlo; nel V (vv. 11) l’angioletto non vuole indagare su questo amore per “far poi pettegolezzi”; nel VI ed ultimo (vv. 6) l’angioletto è solo messaggero d’amore (“non li dipinse sozzi”) ché i madrigali di Fidenzio sono “adorni di gaiezze femminine / che conservano ancor oggi / un profilo di angioline”.
Ecco la substantia della poesia della Licci. Cosa suggerisce, l’amore per un ragazzo, dunque gay, mascherato da “gaiezze femminine…un profilo di angioline”? Ovvero la condizione di ogni essere umano che ha in sé questa a volte inconfessata attrazione per il suo stesso sesso? La Licci è una poetessa, non spacca il capello in quattro delle dispute morali.
La risposta potrebbe trovarsi in una ricerca di recente pubblicata in America, secondo cui il venti per cento di chi ostenta intolleranza nei confronti degli omosessuali, in realtà è attratto fortemente da persone del suo stesso sesso. Fosse così, una simile lettura potrebbe avere un effetto socialmente educativo, suggerire a quanti ostentano virilità e disprezzo per i gay di starsene zitti per paura di finire in quel venti per cento. Ecco, come a volte poesia, scienza e buona educazione s’incontrano!

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