mercoledì 4 luglio 2012

"Gli occhi di mia figlia" di Vittoria Coppola, un romanzo borghese

Il romanzo di Vittoria Coppola, “Gli occhi di mia figlia” (Lupo Editore – Edizioni Anordest 2012), che si è affermato con 162.000 voti come il miglior romanzo del 2011 Rai tg1, secondo il sondaggio della rubrica Billy, offre una trama lineare, tradizionalmente intesa secondo uno sviluppo logico-temporale, dove il tempo non fa capricci e rispetta le sue regole. La trama prevale sull’intreccio, nessuna sovrapposizione, nessuna proiezione in avanti, nessun flash-back. Solo alla fine c’è un brusco salto all’indietro, che spiega e chiude una vicenda fin lì piuttosto grigia, che si conclude con un vissero tutti felici e contenti.
I due romanzi ottocenteschi, posti nello scaffale della libreria di casa della protagonista, tradiscono il gusto dell’ambiente familiare in cui si svolge gran parte della vicenda: La Signora dalle Camelie di Alexandre Dumas figlio e Storia di una capinera di Giovanni Verga. Non può non avere significato l’aver infilato, l’autrice, tra questi due libri, una lettera sconvolgente e rivelatrice che la madre scrive alla figlia per svelarle il terribile-meraviglioso segreto. Terribile perché ha privato la figlia di vent’anni di felicità insieme al suo uomo e alla figlia, data per morta in sul nascere; meraviglioso perché rivela che la figlia è viva ed ha, a sua volta, una figlioletta.
E’ il trionfo dei buoni sentimenti, con un po’ di strappa lacrime, come nei fotoromanzi di una volta, quali si raccontavano negli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso sui rotocalchi ”Sogno”, “Bolero” e “Grand’Hotel”, le letture delle giovani sognatrici di quel tempo, prima che gli sceneggiati televisivi imponessero altri gusti.
La vicenda si svolge tra Siena e Parigi. Dana Sampieri è una ragazza di diciotto anni, alle prese, con gli esami di stato e con lezioni di inglese e di cucito. Il classico esempio di ragazza borghese, di famiglia benestante, figlia unica, avviata a fare un buon matrimonio, regolarmente scelto dalla famiglia, ovviamente per il suo bene. I genitori, molto attenti a non far mancare niente alla formazione di questa loro figliuola, occupatissimi nei loro affari, piuttosto freddi e distanti, la madre soprattutto, la trascurano sul piano affettivo. Unica finestra è l’amica Flavia, alla quale affida per lettera afflizioni e speranze, come in un romanzo semiepistolare. Per non contraddire i genitori sembra stare al progettato matrimonio con il promesso sposo, un giovane avvocato dalle brillanti prospettive professionali. Ma presto s’invaghisce di Andrè, un giovane pittore, rimasto orfano con una sorellina, il quale dipinge per strada volti di donne. Dana approfitta dell’assenza dei genitori, lontani per affari, per abbandonarsi totalmente a questo amore; ne resta incinta. Decide allora col suo uomo di trasferirsi a Parigi; ma, quando lo dice ai genitori, rivelando anche il perché, non accade nessuna tragedia familiare. Anzi essi l’aiutano ad andarsene e a sistemarsi nella capitale francese. Un banale incidente fa nascere prematuramente la bambina; ma…morta. Così dicono e così si fa credere al lettore, che “vede” perfino la bara bianca della piccola. Lei è distrutta, non vuole più rimanere a Parigi, non vuole più stare col suo uomo; se ne torna a Siena, scrive al suo ex promesso, con lui si sposa; se non è felice è comunque serena. La coppia non può avere figli e lei ha una specie di giardino d’infanzia ed è paga di questo lavoro che la fa stare accanto ai bambini. Rachele, in particolare, la affascina coi suoi occhi; è figlia di Margherita, una giovane donna, che, risulterà essere figlia di Dana e Andrè per rivelazione di un’infermiera dell’ospedale in cui la donna aveva partorito, e della madre, che sul punto di morte, le dice di cercare la lettera posta tra Dumas e Verga. Era stata proprio la madre di Dana a corrompere i medici di quell’ospedale, sottrarre la neonata, farla passare per morta, affidandola poi ad Andrè, al quale aveva scritto una lettera dicendogli che Dana era troppo giovane e caratterialmente debole per assumersi responsabilità di madre.
Importante nella vicenda è Flavia. E’ con lei che la giovane si confida. E’ lei che riesce a sapere la verità, a ritrovare il giovane pittore e a ricomporre la famiglia dell’amica. Dana, infatti, divorzia dal marito e riprende a vivere col suo Andrè, con la figlia Margherita e con la nipote Rachele.
Ma anche i malvagi non erano malvagi. I genitori di Dana, che sembravano trascurare la figlia, in realtà vivevano il dramma di una grave malattia che aveva colpito la madre, e che la faceva viaggiare e soggiornare per cure ora in India ora in Svizzera. La sottrazione della bambina, per quanto crudele oltre ogni immaginazione, si giustifica con l’eccessiva apprensione della madre che non ha fiducia nella figlia e la ritiene incapace di affrontare situazioni di disagio.
E’ una storia non male, questa della giovane salentina di Taviano, scritta in maniera chiara e semplice. La scrittura è così rapida ed essenziale da far sembrare il testo un canovaccio per successivi sviluppi narrativi. I personaggi si tengono, e tuttavia mancano di autonomia. Dana è doppia. C’è una Dana che non sopporta l’oppressiva pianificazione borghese perfino dei sentimenti e si ribella, scegliendo l’amore. Ma c’è una seconda Dana, che si conforma in maniera troppo convinta per non essere artificiosa e rispondente all’ideologia del romanzo. E poi c’è Andrè, abbandonato, che non fa nulla per cercare la sua Dana, privo di quell’istinto che, da che mondo è mondo, governa i giovani innamorati. I più compatti, come personaggi, sono proprio i genitori di Dana, i coniugi Sampieri, gli interpreti del costume borghese.
Comunque inteso, questo romanzo apre nuovi scenari nell’universo dei giovani e della famiglia. La ribellione non è più vista come la risposta definitiva all’oppressione familiare; c’è il monito ai giovani di non giudicare sbrigativamente certi comportamenti dei genitori, che possono avere ragioni serie; c’è il monito ad essi di fidarsi di più dei figli e di non considerarli degli incapaci; c’è l’esigenza di costruire una famiglia finalmente intesa non come occasionale e scontata unione di un uomo e una donna, ma come ricerca e recupero di sentimenti e di valori durevoli e condivisi. Romanzo di formazione per certi aspetti, formativo per altri.

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