“Le leggi son – diceva Dante ai
suoi dì – ma chi pon mano ad esse?”. Storia vecchia in Italia: le leggi non
mancano, ma non sempre vengono applicate. Si dirà: ma se applichiamo le leggi
in maniera rigorosa e puntuale, che di per sé sono conservazione e staticità,
dove va a finire la società aperta, la crescita sociale, il riconoscimento
delle muove libertà individuali, la risposta alle sollecitazioni della realtà,
che di per sé è mobilità, dinamismo, dialettica? Giusta osservazione.
Ma la risposta è semplice e
immediata: il potere legislativo sta appunto per cambiare le leggi non più
rispondenti alle esigenze della realtà, per introdurne di nuove nella
prospettiva di favorire o semplicemente assecondare aperture e cambiamenti. Ma
finché una legge è in vigore, essa va applicata. Questo vuole lo Stato di
Diritto.
In Italia, invece, le leggi, ad
incominciare da come le usano i magistrati, vengono interpretate, per cui per
una stessa identica situazione un giudice condanna, un altro assolve, a seconda
del suo personale convincimento ideologico. Non diversamente fanno i
parlamentari, i quali hanno l’esercizio del potere legislativo. Addirittura
delle leggi, che essi stessi hanno elaborato e approvato, ne fanno un uso
“opportuno”. Se conviene le applicano, se non conviene le ignorano, oppure
cavillano sulla loro giustezza, non le rispettano ma neppure le abrogano. Le
masticano come chewingum e poi le attaccano sotto il tavolo o la sedia.
Quanto all’obbligatorietà
dell’azione penale, un gran bel principio in astratto, in concreto è il campo
dove i magistrati sono soggetti solo ai gradi della loro vista: qui vedo e qui
no. L’Italia, patria del diritto è una bufala, fondata sul malinteso
dell’eredità romana. E’ invece il Paese dell’arbitrio. Già Giuseppe Prezzolini
sosteneva che gli Italiani non sono Romani. “I Romani – scrisse – lasciarono
un’impronta nel mondo…per un alto concetto della legge; gl’Italiani son
conosciuti…per il carattere, che vari han definito anarchico” (L’Italia finisce, ecco quel che resta,
2003).
Veniamo al dunque. Nel 1957,
quando Silvio Berlusconi aveva vent’anni e faceva il cantante sulle navi da
crociera, fu approvata una legge secondo la quale è ineleggibile alla carica di
parlamentare chi abbia con lo Stato rapporti di interesse economico, come le
concessioni governative. Ovvio il perché di questo: incompatibilità e conflitto
d’interessi. Nel 1994 Berlusconi si trovava esattamente nel caso previsto da
questa legge: non era eleggibile per via delle frequenze televisive. Da allora
ad oggi sono passati quasi vent’anni. Berlusconi è stato eletto e rieletto, ha
guidato diversi governi. La legge del ’57 è stata sempre interpretata in
maniera non ostativa alla sua eleggibilità. Di punto in bianco la sinistra
italiana, con la sindrome del Moscarda, si è ricordata della legge e la vuole
applicare per far decadere Berlusconi da Senatore. Il giornalista de “la Repubblica ” Giovanni
Valentini, comunista, ha candidamente ammesso che le leggi sono soggette alle
atmosfere politiche: oggi – ha detto – c’è una maggioranza in favore
dell’interpretazione ostativa di quella legge, così come ieri ce n’era una
concessiva. Sicché la forza della legge dipende dalla forza della politica!
Molte cose accecano gli uomini, ma la più brutta di tutte è l’odio politico,
perché a sua volta genera una serie di sconvenienze, fra cui l’esibizione
involontaria della propria demenza. Quella legge andava applicata senz’altro
nel 1994. Non più rispondente alla realtà del momento, come a loro volta
sostengono i difensori di Berlusconi? Benissimo! Intanto non si elegge
Berlusconi, poi la si cambia, la si emenda, la si abroga. Questo significa
vivere all’insegna dello Stato di Diritto. Volerla applicare oggi, perché c’è
una maggioranza che lo vuole fare è un obbrobrio, prima ancora di essere un
arbitrio.
E passiamo al secondo punto.
L’art. 49 della Costituzione vuole che “Tutti i cittadini hanno diritto di
associarsi liberamente in partiti politici per concorrere con metodo
democratico a determinare la politica nazionale”. Nessuno prima, se non a
livello giornalistico e di pubblico dibattito, aveva mai sollevato
l’incostituzionalità della partecipazione alle elezioni dei movimenti, come
quello di Grillo, che non presentano i requisiti costituzionali. La proposta di
legge della Senatrice Finocchiaro – che, non si dimentichi, è un ex magistrato
– è un evidente attacco al Movimento 5 Stelle, che di mettersi sui binari della
Costituzione non ne vuole sapere, perché il suo successo sta nel suo pazziare ora dentro ora fuori la Costituzione , secondo
convenienza. Anche qui, perché decidersi di applicare l’art. 49 dopo 65 anni?
Risposta: perché oggi si è posto il problema. O perché solo oggi conviene
porselo?
Un terzo assurdo caso è quello
della legge elettorale detta Porcellum,
che la Cassazione
ha di recente dichiarato incostituzionale interessando la Consulta , che perciò si
deve esprimere. Ma come? Sono stati eletti parlamenti e governi, promulgate
leggi, fatti accordi internazionali, e ora si dice che è incostituzionale. E i
danni provocati chi li paga? A causa di quella legge sono stati eletti
parlamentari invece di altri, fatti governi invece di altri, fatte cose invece
di altre, sono state create condizioni politiche, economiche e sociali invece
di altre, c’è stata una storia nazionale invece di un’altra. Ed oggi si dice:
scusateci tanto, siamo stati disattenti: quella legge era incostituzionale. E
prima, quando è stata approvata e resa esecutiva, gli organi di controllo dove
stavano? Dove la Presidenza
della Repubblica, la Corte Costituzionale ?
Quanto meno ci sarebbe l’accusa di culpa
in vigilando. Già, ma chi accusa? Dovrebbe essere il popolo italiano a
farlo, direttamente col voto e indirettamente con la sua classe dirigente. Ma
non lo fa, perché in buona sostanza in Italia non esistono gli uni e gli altri,
ma solo gli uni, in senso manzoniano parodiato, dove al posto di “arme, di
lingua e d’altare, di memorie, di sangue e di cuor” possiamo mettere tutto il
repertorio di stranezze e stravaganze cui quotidianamente assistiamo e nelle
quali, a volte, ci capita perfino di essere protagonisti.
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