domenica 26 maggio 2013

Il Paese delle leggi chewingum


“Le leggi son – diceva Dante ai suoi dì – ma chi pon mano ad esse?”. Storia vecchia in Italia: le leggi non mancano, ma non sempre vengono applicate. Si dirà: ma se applichiamo le leggi in maniera rigorosa e puntuale, che di per sé sono conservazione e staticità, dove va a finire la società aperta, la crescita sociale, il riconoscimento delle muove libertà individuali, la risposta alle sollecitazioni della realtà, che di per sé è mobilità, dinamismo, dialettica? Giusta osservazione.
Ma la risposta è semplice e immediata: il potere legislativo sta appunto per cambiare le leggi non più rispondenti alle esigenze della realtà, per introdurne di nuove nella prospettiva di favorire o semplicemente assecondare aperture e cambiamenti. Ma finché una legge è in vigore, essa va applicata. Questo vuole lo Stato di Diritto.
In Italia, invece, le leggi, ad incominciare da come le usano i magistrati, vengono interpretate, per cui per una stessa identica situazione un giudice condanna, un altro assolve, a seconda del suo personale convincimento ideologico. Non diversamente fanno i parlamentari, i quali hanno l’esercizio del potere legislativo. Addirittura delle leggi, che essi stessi hanno elaborato e approvato, ne fanno un uso “opportuno”. Se conviene le applicano, se non conviene le ignorano, oppure cavillano sulla loro giustezza, non le rispettano ma neppure le abrogano. Le masticano come chewingum e poi le attaccano sotto il tavolo o la sedia.
Quanto all’obbligatorietà dell’azione penale, un gran bel principio in astratto, in concreto è il campo dove i magistrati sono soggetti solo ai gradi della loro vista: qui vedo e qui no. L’Italia, patria del diritto è una bufala, fondata sul malinteso dell’eredità romana. E’ invece il Paese dell’arbitrio. Già Giuseppe Prezzolini sosteneva che gli Italiani non sono Romani. “I Romani – scrisse – lasciarono un’impronta nel mondo…per un alto concetto della legge; gl’Italiani son conosciuti…per il carattere, che vari han definito anarchico” (L’Italia finisce, ecco quel che resta, 2003).
Veniamo al dunque. Nel 1957, quando Silvio Berlusconi aveva vent’anni e faceva il cantante sulle navi da crociera, fu approvata una legge secondo la quale è ineleggibile alla carica di parlamentare chi abbia con lo Stato rapporti di interesse economico, come le concessioni governative. Ovvio il perché di questo: incompatibilità e conflitto d’interessi. Nel 1994 Berlusconi si trovava esattamente nel caso previsto da questa legge: non era eleggibile per via delle frequenze televisive. Da allora ad oggi sono passati quasi vent’anni. Berlusconi è stato eletto e rieletto, ha guidato diversi governi. La legge del ’57 è stata sempre interpretata in maniera non ostativa alla sua eleggibilità. Di punto in bianco la sinistra italiana, con la sindrome del Moscarda, si è ricordata della legge e la vuole applicare per far decadere Berlusconi da Senatore. Il giornalista de “la Repubblica” Giovanni Valentini, comunista, ha candidamente ammesso che le leggi sono soggette alle atmosfere politiche: oggi – ha detto – c’è una maggioranza in favore dell’interpretazione ostativa di quella legge, così come ieri ce n’era una concessiva. Sicché la forza della legge dipende dalla forza della politica! Molte cose accecano gli uomini, ma la più brutta di tutte è l’odio politico, perché a sua volta genera una serie di sconvenienze, fra cui l’esibizione involontaria della propria demenza. Quella legge andava applicata senz’altro nel 1994. Non più rispondente alla realtà del momento, come a loro volta sostengono i difensori di Berlusconi? Benissimo! Intanto non si elegge Berlusconi, poi la si cambia, la si emenda, la si abroga. Questo significa vivere all’insegna dello Stato di Diritto. Volerla applicare oggi, perché c’è una maggioranza che lo vuole fare è un obbrobrio, prima ancora di essere un arbitrio.
E passiamo al secondo punto. L’art. 49 della Costituzione vuole che “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti politici per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Nessuno prima, se non a livello giornalistico e di pubblico dibattito, aveva mai sollevato l’incostituzionalità della partecipazione alle elezioni dei movimenti, come quello di Grillo, che non presentano i requisiti costituzionali. La proposta di legge della Senatrice Finocchiaro – che, non si dimentichi, è un ex magistrato – è un evidente attacco al Movimento 5 Stelle, che di mettersi sui binari della Costituzione non ne vuole sapere, perché il suo successo sta nel suo pazziare ora dentro ora fuori la Costituzione, secondo convenienza. Anche qui, perché decidersi di applicare l’art. 49 dopo 65 anni? Risposta: perché oggi si è posto il problema. O perché solo oggi conviene porselo?

Un terzo assurdo caso è quello della legge elettorale detta Porcellum, che la Cassazione ha di recente dichiarato incostituzionale interessando la Consulta, che perciò si deve esprimere. Ma come? Sono stati eletti parlamenti e governi, promulgate leggi, fatti accordi internazionali, e ora si dice che è incostituzionale. E i danni provocati chi li paga? A causa di quella legge sono stati eletti parlamentari invece di altri, fatti governi invece di altri, fatte cose invece di altre, sono state create condizioni politiche, economiche e sociali invece di altre, c’è stata una storia nazionale invece di un’altra. Ed oggi si dice: scusateci tanto, siamo stati disattenti: quella legge era incostituzionale. E prima, quando è stata approvata e resa esecutiva, gli organi di controllo dove stavano? Dove la Presidenza della Repubblica, la Corte Costituzionale? Quanto meno ci sarebbe l’accusa di culpa in vigilando. Già, ma chi accusa? Dovrebbe essere il popolo italiano a farlo, direttamente col voto e indirettamente con la sua classe dirigente. Ma non lo fa, perché in buona sostanza in Italia non esistono gli uni e gli altri, ma solo gli uni, in senso manzoniano parodiato, dove al posto di “arme, di lingua e d’altare, di memorie, di sangue e di cuor” possiamo mettere tutto il repertorio di stranezze e stravaganze cui quotidianamente assistiamo e nelle quali, a volte, ci capita perfino di essere protagonisti. 

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