Umberto Ambrosoli non ha inteso
partecipare al minuto di raccoglimento in omaggio a Giulio Andreotti osservato
martedì, sette maggio, nel Consiglio Regionale lombardo, di cui è membro, dopo
essere stato battuto dal leghista Maroni per la presidenza. Non ha fatto
dichiarazioni. Semplicemente si è alzato ed è uscito dall’aula. Discreto ed
elegante. Solo, senza neppure che un grillino lo seguisse, per simpatia o solidarietà
o per condivisione del gesto. Eppure i grillini si dicono rivoluzionari,
giudici implacabili dei politici del passato e del malaffare eretto a sistema!
Una buona occasione, per loro, di dimostrare una coerenza che faticano ad
avere. Non uno di quella destra almirantiana e del buongoverno e dei buoni
sentimenti – ma ce ne sono più in circolazione? – ha avuto parole di
comprensione per quel gesto umile e nobile insieme! Ah, sì, uno c’è stato. L’ex
missino e poi vicesindaco Pdl del Comune di Milano Riccardo De Corato ha
espresso rispetto e comprensione. Addirittura esponenti di una certa destra,
che alcuni vorrebbero democratica moderna europea, lo hanno pubblicamente
stigmatizzato. Gli stessi media, storditi dagli incensi e dai peana all’illustre
scomparso, hanno cercato di nasconderlo, quasi si fosse trattato di uno
sproposito. Non così i tifosi di calcio negli stadi, che mercoledì sera hanno
subissato di fischi il minuto di raccoglimento, considerandolo per quello che
era: una provocazione.
Il gesto di Umberto Ambrosoli,
nell’Italia paludata degli ipocriti, dei gommosi e sinuosi spiriti
plastilinati, sempre accomodanti e politicamente corretti, è risultato rivoluzionario,
ben oltre le intenzioni di chi lo ha compiuto. Tutti gli italiani perbene avrebbero
ragione di apprezzarlo, non solo quelli che la criminalità politica o comune ha
reso orfani.
Umberto è figlio di Giorgio
Ambrosoli, ucciso nel luglio del 1979 dalla mafia di Michele Sindona. Avvocato,
era stato nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana e,
siccome non aveva ceduto alle lusinghe e poi alle minacce di aggiustare le cose
come volevano i poteri politico-mafiosi del tempo, fu ammazzato. Morte, che, secondo
Andreotti, se l’era cercata. Un’affermazione orribile, fatta da un politico
proverbialmente freddo e riflessivo. Chiese scusa dopo, ma le scuse sono
vernice che copre il fatto, non lo rende come mai accaduto.
A sottolinearne il carattere
rivoluzionario è stata la condanna espressa da Roberto Maroni, che ha definito
“non elegante” il gesto compiuto da Ambrosoli. Non elegante? Ma che dizionario
consulta, se lo consulta, Maroni? Invece Ambrosoli è stato elegantissimo e superbo
nella sua discrezione, se si pensa che richiesto dai giornalisti sul perché di
quel gesto, ha perfino detto che capisce i doveri istituzionali, l’importanza
del mondo politico di celebrare uno dei suoi massimi esponenti, ma che lui è un
uomo che con quel signore che si onorava con un minuto di raccoglimento aveva
una storia personale, famigliare, che non gli permetteva di comportarsi
diversamente. Le istituzioni sono rappresentate da uomini – ha detto – e gli
uomini hanno il dovere di rispettare sì le istituzioni, ma senza mortificare se
stessi nell’inviolabilità della sfera intima e famigliare. A momenti chiedeva
perfino scusa per un gesto del quale invece poteva essere fiero.
Avrebbe potuto dire altro. Ci
stava pure. Ma l’educazione e la compostezza di Ambrosoli evidentemente sono
doti di famiglia ed egli ha lasciato al mondo politico e culturale di gestire
un episodio della Repubblica che non passerà davvero tra i più edificanti.
Si dice spesso che la politica è
insopportabile per essere il regno delle finzioni, delle ipocrisie, delle
menzogne, degli opportunismi. Lo si dice e lo si canta in mille spartiti. Ma
poi, quando si presenta un’occasione – e avviene assai raramente – per
dimostrare che essa è capace anche di momenti di sincerità, di chiarezza, di
verità, ecco che si torna all’usato.
Si parla tanto di lotta alla
mafia, si intitolano vie e piazze alle vittime dei mafiosi, ci sono magistrati che
vanno in giro a propagandare i loro libri antimafia nelle scuole; ma poi quando
giunge il momento di compiere un gesto sovrano contro la mafia, allora si
ricorre ai surrogati della pietas cristiana e si delega al Padreterno di
provvedere dall’alto della sua giustizia.
Del resto se in Italia nulla mai
veramente cambia e tutto continua nell’andazzo dei fatti e nelle ipocrisie
della forma vuol dire che non c’è assolutamente nulla da fare. Viene di pensare
paradossalmente che perfino la mafia esista per consentire al potere politico
di vantarsi dei suoi periodici ma effimeri successi nel combatterla. Come
diceva Leonardo Sciascia, a proposito dei professionisti dell’antimafia.
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