giovedì 9 maggio 2013

Ambrosoli, un gesto rivoluzionario ed incompreso



Umberto Ambrosoli non ha inteso partecipare al minuto di raccoglimento in omaggio a Giulio Andreotti osservato martedì, sette maggio, nel Consiglio Regionale lombardo, di cui è membro, dopo essere stato battuto dal leghista Maroni per la presidenza. Non ha fatto dichiarazioni. Semplicemente si è alzato ed è uscito dall’aula. Discreto ed elegante. Solo, senza neppure che un grillino lo seguisse, per simpatia o solidarietà o per condivisione del gesto. Eppure i grillini si dicono rivoluzionari, giudici implacabili dei politici del passato e del malaffare eretto a sistema! Una buona occasione, per loro, di dimostrare una coerenza che faticano ad avere. Non uno di quella destra almirantiana e del buongoverno e dei buoni sentimenti – ma ce ne sono più in circolazione? – ha avuto parole di comprensione per quel gesto umile e nobile insieme! Ah, sì, uno c’è stato. L’ex missino e poi vicesindaco Pdl del Comune di Milano Riccardo De Corato ha espresso rispetto e comprensione. Addirittura esponenti di una certa destra, che alcuni vorrebbero democratica moderna europea, lo hanno pubblicamente stigmatizzato. Gli stessi media, storditi dagli incensi e dai peana all’illustre scomparso, hanno cercato di nasconderlo, quasi si fosse trattato di uno sproposito. Non così i tifosi di calcio negli stadi, che mercoledì sera hanno subissato di fischi il minuto di raccoglimento, considerandolo per quello che era: una provocazione.
Il gesto di Umberto Ambrosoli, nell’Italia paludata degli ipocriti, dei gommosi e sinuosi spiriti plastilinati, sempre accomodanti e politicamente corretti, è risultato rivoluzionario, ben oltre le intenzioni di chi lo ha compiuto. Tutti gli italiani perbene avrebbero ragione di apprezzarlo, non solo quelli che la criminalità politica o comune ha reso orfani.
Umberto è figlio di Giorgio Ambrosoli, ucciso nel luglio del 1979 dalla mafia di Michele Sindona. Avvocato, era stato nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana e, siccome non aveva ceduto alle lusinghe e poi alle minacce di aggiustare le cose come volevano i poteri politico-mafiosi del tempo, fu ammazzato. Morte, che, secondo Andreotti, se l’era cercata. Un’affermazione orribile, fatta da un politico proverbialmente freddo e riflessivo. Chiese scusa dopo, ma le scuse sono vernice che copre il fatto, non lo rende come mai accaduto.
A sottolinearne il carattere rivoluzionario è stata la condanna espressa da Roberto Maroni, che ha definito “non elegante” il gesto compiuto da Ambrosoli. Non elegante? Ma che dizionario consulta, se lo consulta, Maroni? Invece Ambrosoli è stato elegantissimo e superbo nella sua discrezione, se si pensa che richiesto dai giornalisti sul perché di quel gesto, ha perfino detto che capisce i doveri istituzionali, l’importanza del mondo politico di celebrare uno dei suoi massimi esponenti, ma che lui è un uomo che con quel signore che si onorava con un minuto di raccoglimento aveva una storia personale, famigliare, che non gli permetteva di comportarsi diversamente. Le istituzioni sono rappresentate da uomini – ha detto – e gli uomini hanno il dovere di rispettare sì le istituzioni, ma senza mortificare se stessi nell’inviolabilità della sfera intima e famigliare. A momenti chiedeva perfino scusa per un gesto del quale invece poteva essere fiero.
Avrebbe potuto dire altro. Ci stava pure. Ma l’educazione e la compostezza di Ambrosoli evidentemente sono doti di famiglia ed egli ha lasciato al mondo politico e culturale di gestire un episodio della Repubblica che non passerà davvero tra i più edificanti.
Si dice spesso che la politica è insopportabile per essere il regno delle finzioni, delle ipocrisie, delle menzogne, degli opportunismi. Lo si dice e lo si canta in mille spartiti. Ma poi, quando si presenta un’occasione – e avviene assai raramente – per dimostrare che essa è capace anche di momenti di sincerità, di chiarezza, di verità, ecco che si torna all’usato.
Si parla tanto di lotta alla mafia, si intitolano vie e piazze alle vittime dei mafiosi, ci sono magistrati che vanno in giro a propagandare i loro libri antimafia nelle scuole; ma poi quando giunge il momento di compiere un gesto sovrano contro la mafia, allora si ricorre ai surrogati della pietas cristiana e si delega al Padreterno di provvedere dall’alto della sua giustizia.
Del resto se in Italia nulla mai veramente cambia e tutto continua nell’andazzo dei fatti e nelle ipocrisie della forma vuol dire che non c’è assolutamente nulla da fare. Viene di pensare paradossalmente che perfino la mafia esista per consentire al potere politico di vantarsi dei suoi periodici ma effimeri successi nel combatterla. Come diceva Leonardo Sciascia, a proposito dei professionisti dell’antimafia. 

Nessun commento:

Posta un commento