Per ora è la Chiesa di sempre. Stesse
scene di Piazza San Pietro. Più passeggiate del Papa tra la folla dei fedeli.
Più episodi popolari e confidenziali, scambi di zucchetti, baci e abbracci coi
bambini, coi malati. Più messe fuori da San Pietro, a Santa Marta, eletta
dimora papale. E’ la Chiesa
che ci viene mostrata tutti i giorni. Una propaganda degna di regime, continua,
noiosa perché ripetitiva. E’ la
Chiesa di Francesco I. E’ la Chiesa della televisione di
Stato, dello Stato italiano.
A vedere le scene sanpietrine si
ha l’impressione che essa goda di ottima salute. Lo stesso se si scorrono le
classifiche dei libri più venduti, con due-tre di Papa Bergoglio tra i primi
dieci; cinque-sei tra i primi venti. Accade da diverse settimane. Un duello
editoriale avvincente, il suo, con Andrea Camilleri, che ha trovato pane per i
suoi denti. Sappiamo che è fumo negli occhi.
Non è forse questo il significato
del suo salire sulla croce? Uno stare sulla croce diverso da quello toccante,
estremo del suo predecessore Giovanni Paolo II. Papa Ratzinger è un grandissimo
intellettuale e il suo vocabolario è raffinato e difficile. Ha inteso sacrificare
la teologia alla storia. Se lo ha fatto, chi gli è succeduto dovrebbe trarne le
conseguenze.
Invece, novità, cambiamenti, per
ora nada. Sicuramente è presto per
dire qualcosa, men che meno per ipotizzare un bilancio. Qualche giorno fa un
dubbio di Francesco I: ma lo Ior serve a qualcosa? Che potrebbe essere l’avvio
per un’attesa trasformazione del sistema finanziario del Vaticano. Le gerarchie
per ora non si muovono.
Francesco I insiste su due punti,
entrambi riconducibili alla povertà. Ma non si capisce bene se intesa come
condizione socio-economica o condizione morale. Nell’un caso o nell’altro è
lontana dalle esigenze e dalle aspirazioni della società di oggi, almeno da
quella europea. Se è solo amore per i poveri, che pure esistono, è un altro discorso;
meglio sarebbe parlare di carità.
Il primo punto sul quale insiste
è l’invito al clero, alto soprattutto, a non inseguire il potere, le cariche,
le promozioni; a non sgomitare, spingere, mettere sgambetti agli altri per
arrivare primi. Vuol dire che tutto quello che si diceva prima delle dimissioni
di Benedetto XVI, dal caso Boffo a Vatileaks, era vero; anzi, che era solo una
parte del malessere reale. L’altro punto è l’appello a conservarsi poveri. Lo
dice con le sue metafore della nonna: il sudario non ha tasche; mai visto un
corteo funebre seguito dal carro dei traslochi. Forti, efficaci; ma anche
queste decisamente antiche, espressione di buon senso contadino. Del resto, la
nonna per un uomo che è prossimo agli ottanta anni rimanda al Piemonte
contadino dell’Otto-Novecento.
Solo di recente ha sfiorato il
problema della pedofilia nel clero. Lo ha fatto con discrezione, quasi con
difficoltà a trattare un argomento di per sé brutto, untuoso, scabroso
sicuramente.
Il vero problema della Chiesa
cattolica è lungi dall’essere considerato nella sua realtà e nella sua
evidenza; è quello del suo dover dare ragione a chi cinquecento anni fa fece la
riforma. A riflettere, la situazione di Roma è andata precipitando da quando
non si volle inserire nel preambolo della Costituzione europea le radici
cristiane. Non lo si volle fare nonostante le lamentele del Papa perché la Chiesa cattolica non
rappresenta il cristianesimo quale si è evoluto nell’Europa fin dal
Cinquecento. IL vero problema è questo. Se il cristianesimo in Europa fosse uno
ed uno soltanto, le radici cristiane, peraltro innegabili, probabilmente
sarebbero state accolte nel testo eurocostituzionale. Ma tra il cristianesimo
cattolico, il luterano e il lefebvriano, e fermiamoci pure qui, ci sono differenze
importanti sul modo di concepire i rapporti tra cittadini e Stato, tra
cittadini e società. L’etica protestante, che oggi vuol dire Europa, è qualcosa
di diverso dalla morale cattolica, che oggi vuol dire terzo mondo, di
profondamente diverso dal tradizionalismo del vescovo Lefebvre, che oggi vuol
dire medioevo.
Nessun commento:
Posta un commento