domenica 12 maggio 2013

La Chiesa di Francesco stenta a decollare



Per ora è la Chiesa di sempre. Stesse scene di Piazza San Pietro. Più passeggiate del Papa tra la folla dei fedeli. Più episodi popolari e confidenziali, scambi di zucchetti, baci e abbracci coi bambini, coi malati. Più messe fuori da San Pietro, a Santa Marta, eletta dimora papale. E’ la Chiesa che ci viene mostrata tutti i giorni. Una propaganda degna di regime, continua, noiosa perché ripetitiva. E’ la Chiesa di Francesco I. E’ la Chiesa della televisione di Stato, dello Stato italiano.
A vedere le scene sanpietrine si ha l’impressione che essa goda di ottima salute. Lo stesso se si scorrono le classifiche dei libri più venduti, con due-tre di Papa Bergoglio tra i primi dieci; cinque-sei tra i primi venti. Accade da diverse settimane. Un duello editoriale avvincente, il suo, con Andrea Camilleri, che ha trovato pane per i suoi denti. Sappiamo che è fumo negli occhi.
La Chiesa resiste nei continenti dove ancora è la società in ritardo, come nel continente sudamericano. Dove invece la società è più avanti rispetto a lei si registrano ritardi su ritardi. Un’antica usura del clero alto, un alienato e a volte abbrutito clero basso, un sempre crescente distacco dalla società cambiata, che continua a cambiare, avevano indotto Benedetto XVI a compiere un gesto rivoluzionario, dimettendosi. Forse nemmeno da lui condiviso nell’intimo delle sue convinzioni teologiche, ma reso necessario per far sentire una voce diventata fioca. L’uscita di Papa Ratzinger dalla scena aveva ed ha, nonostante tutto, il significato di una cesura netta col passato e di un ricominciamento forte e deciso nel presente. Sembra abbia voluto dire: mi sacrifico perché finalmente vi rendiate conto della gravissima situazione in cui ci troviamo.
Non è forse questo il significato del suo salire sulla croce? Uno stare sulla croce diverso da quello toccante, estremo del suo predecessore Giovanni Paolo II. Papa Ratzinger è un grandissimo intellettuale e il suo vocabolario è raffinato e difficile. Ha inteso sacrificare la teologia alla storia. Se lo ha fatto, chi gli è succeduto dovrebbe trarne le conseguenze.
Invece, novità, cambiamenti, per ora nada. Sicuramente è presto per dire qualcosa, men che meno per ipotizzare un bilancio. Qualche giorno fa un dubbio di Francesco I: ma lo Ior serve a qualcosa? Che potrebbe essere l’avvio per un’attesa trasformazione del sistema finanziario del Vaticano. Le gerarchie per ora non si muovono.
Francesco I insiste su due punti, entrambi riconducibili alla povertà. Ma non si capisce bene se intesa come condizione socio-economica o condizione morale. Nell’un caso o nell’altro è lontana dalle esigenze e dalle aspirazioni della società di oggi, almeno da quella europea. Se è solo amore per i poveri, che pure esistono, è un altro discorso; meglio sarebbe parlare di carità.
Il primo punto sul quale insiste è l’invito al clero, alto soprattutto, a non inseguire il potere, le cariche, le promozioni; a non sgomitare, spingere, mettere sgambetti agli altri per arrivare primi. Vuol dire che tutto quello che si diceva prima delle dimissioni di Benedetto XVI, dal caso Boffo a Vatileaks, era vero; anzi, che era solo una parte del malessere reale. L’altro punto è l’appello a conservarsi poveri. Lo dice con le sue metafore della nonna: il sudario non ha tasche; mai visto un corteo funebre seguito dal carro dei traslochi. Forti, efficaci; ma anche queste decisamente antiche, espressione di buon senso contadino. Del resto, la nonna per un uomo che è prossimo agli ottanta anni rimanda al Piemonte contadino dell’Otto-Novecento.
Solo di recente ha sfiorato il problema della pedofilia nel clero. Lo ha fatto con discrezione, quasi con difficoltà a trattare un argomento di per sé brutto, untuoso, scabroso sicuramente.
Il vero problema della Chiesa cattolica è lungi dall’essere considerato nella sua realtà e nella sua evidenza; è quello del suo dover dare ragione a chi cinquecento anni fa fece la riforma. A riflettere, la situazione di Roma è andata precipitando da quando non si volle inserire nel preambolo della Costituzione europea le radici cristiane. Non lo si volle fare nonostante le lamentele del Papa perché la Chiesa cattolica non rappresenta il cristianesimo quale si è evoluto nell’Europa fin dal Cinquecento. IL vero problema è questo. Se il cristianesimo in Europa fosse uno ed uno soltanto, le radici cristiane, peraltro innegabili, probabilmente sarebbero state accolte nel testo eurocostituzionale. Ma tra il cristianesimo cattolico, il luterano e il lefebvriano, e fermiamoci pure qui, ci sono differenze importanti sul modo di concepire i rapporti tra cittadini e Stato, tra cittadini e società. L’etica protestante, che oggi vuol dire Europa, è qualcosa di diverso dalla morale cattolica, che oggi vuol dire terzo mondo, di profondamente diverso dal tradizionalismo del vescovo Lefebvre, che oggi vuol dire medioevo.

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