Quest’anno l’ “Apollo d’Argento”,
Premio ideato un po’ di anni fa da “Il Laboratorio” di Aldo D’Antico, va a Gino
Pisanò, in memoriam, come vuole lo
statuto del premio. E’ il primo che Gino riceve post mortem; molti ne ha ricevuti in vita.
Oggi, egli manca; ma questo
riconoscimento ha per tutti un valore aggiunto, che è quello dei suoi tanti
amici ed estimatori che un po’ rinnovano il mito di Orfeo richiamandolo in
vita.
L’illusione è vita. Era anche
questo uno dei tanti temi che Gino mutuava dalla cultura classica, da
quell’immensa miniera di miti vivificanti che è l’universo della Grecia antica.
“Celeste dote è negli umani; e spesso / Per lei si vive con l’amico estinto / E
l’estinto con noi” canta il Foscolo nei Sepolcri.
Ogni volta che a Gino si dedica qualcosa, un premio, un libro, un convegno di
studi, è come richiamarlo in vita, è come farlo stare con noi.
Di premi Gino ne ha ricevuti
davvero tanti, quasi a scandire tappe di una carriera progressivamente sempre
più articolata e importante. Io lo seguivo nei suoi successi culturali ed
editoriali. Sapevo di fargli piacere.
Leggo sul mio “Brogliaccio
Salentino”, l’inserto cultura sul quale Gino dal giugno del 1989 al dicembre del
2012, dunque quasi fino all’ultimo, ha pubblicato ben 38 testi, tra articoli,
saggi brevi, recensioni critiche:
nel 1997 ebbe a Gallipoli la Targa d’Argento “L’uomo e il
Mare” assegnatagli dall’omonima Associazione Culturale “per la sua intensa e
altamente qualificata attività culturale”;
nel 2007 a Cracovia ebbe il
“Premio Europeo” assegnatogli dalla Federazione Europea della Stampa Turistica
come presidente dell’Istituto di Culture Mediterranee “per l’attività svolta a
beneficio della cooperazione culturale e per aver favorito il dialogo e la
conoscenza reciproca tra i diversi Paesi e le differenti culture mediterranee”;
nel 2008 a Calimera ebbe il
Premio Tekné “Città di Calimera Processi di contestualizzazione dell’arte
urbana”, assegnatogli dal Comune di quella città e dall’Osservatorio “Tekné”.
Egli stesso fu organizzatore di
premi. Il più importante dei quali certamente fu il “Premio Casaranello”,
ideato da lui e da Giovanni Pino nel 2006 col patrocinio del Comune di
Casarano.
Ora giunge questo importante
riconoscimento degli amici parabitani. Con Parabita Gino aveva un rapporto
splendido, testimoniato dal dono dei suoi libri alla Biblioteca Comunale “Ennio
Bonea”, che li ha sistemati in un fondo a lui intitolato.
Ringrazio perciò l’amico Aldo
D’Antico che mi ha voluto questa sera qui per la cerimonia della consegna del
Premio e del ricordo di Gino.
***
Gino era una personalità ricca e
poliedrica, ma i suoi tanti aspetti confluivano in un unico profilo. Credo di
non esagerare se dico che egli ha rinverdito negli ultimi trent’anni, a livelli
profondi ed estesi, il tipico intellettuale salentino di tradizione
poligrafica, avendo attraversato come studioso e scrittore le più importanti
discipline dell’universo umanistico.
Dei tanti suoi aspetti, mi piace
qui ricordare brevemente l’uomo, il docente, lo studioso, l’operatore
culturale.
L’uomo era di una correttezza
straordinaria. Non riesco proprio ad immaginare Gino che abbia mai mancato di
rispetto a nessuno. Scrupoloso oltre ogni comprensibile prudenza era
attentissimo a non urtare la suscettibilità di persona alcuna. Cito un
episodio. Qualche tempo prima che ci lasciasse mi chiese di pubblicargli una
sua vecchia lettera di ringraziamento a Oreste Macrì, che gli aveva mandato un
suo libro, ma voleva che chiedessi l’autorizzazione di pubblicarla ad Albarosa
Macrì, che era ed è la custode delle cose dello zio. Gli dissi che mi sembrava
un’esagerazione chiedere permesso ad altra persona di pubblicare un proprio
scritto; ma lui insistette; ed io con lui ad oppormi, fino a dirgli: no, io non
chiedo a nessuno di fare qualcosa che dipende solo da me. Allora – disse lui –
gliela chiedo io personalmente l’autorizzazione; e gliela chiese e fu
felicissimo di darmi la notizia che avrei potuto pubblicare tranquillamente
quella lettera. Credo che i tanti riconoscimenti che ha ricevuto nella sua non
lunghissima carriera abbiano avuto sì una motivazione culturale, ma anche e
soprattutto umana. Gino era una persona squisita.
Il docente. Al Liceo prima e all’Università
dopo, ha dato a tante generazioni di giovani insegnamenti di vita e di cultura,
facendo loro amare la terra, le radici, gli uomini e le opere della loro
appartenenza regionale e nazionale; offrendo le sue competenze a tante giovani
colleghe, che con lui si sono preparate per affrontare il concorso a cattedre,
vinto anche per gli insegnamenti, teorici e pragmatici, da lui ricevuti. Mi ha
detto qualche tempo fa un suo alunno, oggi brillante professionista, che le sue
lezioni erano particolarmente belle ed esclusive, non si esaurivano mai alle
parole del libro di testo. Non è, questo, un dato di poco conto. Gli studenti
prima ancora di studiare la disciplina studiano il professore, cercano di
saggiarne la preparazione, di carpirne i dati caratteriali, di capire il metodo
dell’esercizio pedagogico. Un professore che si limita a riferire le parole del
manuale è un professore mediocre, scrupoloso forse ma di preparazione
superficiale e povera di contenuti critici. Gli studenti non tardano ad
accorgersene. Gino si faceva apprezzare subito per l’eleganza dell’esposizione,
per la profondità del sapere, per la spazialità dei contenuti.
Lo studioso meriterebbe un
convegno di studi. Partito da giovanili esperienze poetiche, nel solco della
poesia classica, è passato attraverso la storia, la filosofia, l’arte,
l’italianistica, producendo saggi importanti che hanno colmato spazi vuoti e
arricchito il panorama culturale. Cito, tra i tanti da lui pubblicati, quello
su Ignazio Falconieri, la cura degli inediti di Luigi Corvaglia su Vanini e la
filosofia del Rinascimento, lo studio degli affreschi e dei mosaici di
Casaranello, i numerosi saggi sulla letteratura italiana dal Settecento al
Novecento, la cura di un’antologia della rivista comiana “L’Albero”. I suoi
saggi sono usciti sulle più prestigiose riviste locali e nazionali. Ha goduto
dell’amicizia e della stima di studiosi e di accademici illustri, da Mario
Marti a Oreste Macrì, di cui nel 1995 curò “Le prose del malumore di Simeone”, da
Gaetano Chiappini a Maria Corti, da Francesco Politi ad Anna Dolfi, da Mario
Spedicato a Luigi Scorrano, da Andrè Jacob a Predrag Matvejevic. Una volta gli
feci osservare che forse sarebbe stato meglio per lui scegliere un solo
percorso di studio per divenirne uno specialista. Mi rispose che avevo ragione
ma aggiunse che un intellettuale deve dare ciò che l’ambiente fisico ed umano
chiede e che spaziare per diverse discipline era qualcosa che lo faceva sentire
sempre motivato. Ogni argomento che lui affrontava, in verità, lo trattava da
autentico specialista. Anche come studioso egli cercava sempre di aprire
sentieri nuovi, di andare oltre il già detto, di vedere in un’opera o in un
autore se per caso ci fosse un aspetto non indagato, fino a spingersi ad
ipotesi critiche ed ermeneutiche di assoluta originalità. Ricordo la sua
lettura dei mosaici di Casaranello. Di recente egli vide nel Trionfo della Libertà del Manzoni, lettura
critica fatta in occasione del Convegno di Copertino per i 150 anni dell’Unità
d’Italia, l’ipotesi suggestiva nel giovane Manzoni degli scenari apocalittici
della fine della Rivoluzione napoletana del 1799.
Infine l’operatore culturale, che
era fra tutte forse la sua vocazione più avvertita, perché ne favoriva la
mondanità, la socialità, lo stare con gli amici, coi collaboratori. La sua
partecipazione a convegni di studio in tutta Italia e fuori, le sue conferenze,
i suoi articoli e saggi su giornali e riviste, le sue lezioni alle Università
popolari e della terza età, le sue presentazioni di mostre d’arte, le sue
prefazioni a libri di poesie, di narrativa, di memorie, le sue collaborazioni
con uomini di spettacolo come il regista teatrale e attore Francesco Piccolo e il coreografo Fredy
Franzutti, fanno di lui un uomo di cultura straordinariamente versatile e
disponibile. Proprio quella sera, in cui avvertì per la prima volta il male,
era reduce di un pomeriggio freddissimo nel Castello di Copertino per il
convegno già ricordato sui 150 anni dell’Unità d’Italia.
I suoi amici, i suoi alunni, i
suoi colleghi e collaboratori non lo dimenticheranno e il “Premio” di questa
sera è solo l’avvio stimolante in costanza di memoria e di presenza.
Gigi Montonato
Parabita, 23 maggio 2013
ho avuto la fortuna di assistere ad una sua lezione quando ero alle scuole medie
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