Forse è appena il caso di
ricordare che “voto” significa, nell’accezione più letterale e immediata,
espressione di volontà. In quanto tale, ha in sé un’accezione di positività. Si
vota perché si faccia in un modo e non in un altro, si vota una persona perché
la si ritiene più capace di un’altra.
Perché questa premessa? Perché
ancora una volta col voto del 24 e 25 febbraio 2013 ha trionfato il “non
voto”, un’espressione di “nolontà”, una nozione tomistica, un’indicazione
“contro” qualcuno o qualcosa, la fuga da un male. Mi riferisco soprattutto al
voto espresso a Grillo, che risulta il primo partito alla Camera. Partito, si
fa per dire. Chi ha votato Grillo, senza conoscere né i programmi né le persone
che se ne facciano garanti, ha voluto semplicemente protestare. Ha voluto dire
basta ad una classe politica abbondantemente ciarliera, litigiosa, incapace e
disonesta; ma senza conoscere altro, convinta forse che egli abbia portato da
chissà quale pianeta un carico di uomini nuovi di zecca, tutti discreti, capaci
e onesti.
Ma non solo chi ha votato per
Grillo ha inteso essere piuttosto “anti” che “pro”. Chi ha ridato la sua
fiducia a Berlusconi, per esempio, lo ha fatto per un’avversione irriducibile
nei confronti della sinistra comunque essa si presenti. E perfino chi ha votato
Bersani e le liste di sinistra lo ha fatto per un’avversione viscerale nei
confronti di Berlusconi. Così per Monti e via dicendo. Chiaro che la
generalizzazione va presa solo per cogliere il nocciolo della questione. Va da
sé che ci sono stati elettori convintamente berlusconiani, convintamente
bersaniani, convintamente montiani. Ma quanti?
La vittoria di Grillo è figlia
del porcellum e dei media. In una
consultazione elettorale con voto di preferenza, domanda: dove Grillo avrebbe
trovato mai tanti candidati da far votare a ragion veduta, piuttosto che, a
corpo e non a misura, dalle sue prediche sguaiate e offensive? Come avrebbe mai
potuto raggiungere il paese in lungo e in largo senza la “complicità” dei mezzi
di informazione e diciamo pure di propaganda? Chi ha votato Grillo, ha votato
il nulla incartato.
Ma tant’è. Un po’ si prevedeva.
In questo voto-veto incrociato, che sembra quasi parodiare il montaliano
“codesto solo oggi possiamo dirti / ciò che non
siamo ciò che non vogliamo”, è venuto
fuori un pareggio. Che è stato determinato dal tentativo di dare una sterzata
al sistema maggioritario bipartitico. L’intrusione di Monti, calcolata o meno,
ha impedito che il grande elettorato si pronunciasse su uno o sull’altro
partito-schieramento. La truffa istituzionale si è realizzata.
Alla Camera solo un porcellum – sempre lui! – può
trasformare un vantaggio di meno di mezzo punto in percentuale in una caterva
di seggi di maggioranza; mentre al Senato si torna a sperare nella buona salute
di ottuagenari e nonagenari per garantire di quando in quando una maggioranza.
E’ un film già visto, che ha portato dove sappiamo tutti. O forse si spera che
si possa risolvere il problema con un semplice cambio lessicale, scouting invece di campagna acquisti?
Anche questo è un film già visto. Già si pregustano i nuovi Scilipoti, i nuovi
“responsabili”, i nuovi viados e transgender della politica.
Nulla accade, però, senza offrire
qualche spunto di positività, di ripresa a sperare. Questa consultazione
elettorale pone la classe dirigente del paese di fronte a gravi responsabilità
e le suggerisce un impegno forte. E’ suo compito cercare di far tesoro della
lezione ricevuta e di impegnarsi in una rivoluzione vera, non solo etica, che
riguarda la coscienza dei singoli, ma anche politica, che riguarda gli
strumenti e i sistemi della politica, anche dal punto di vista tecnico.
Insegnava Giuseppe Maranini che i
risultati elettorali sono figli dei sistemi elettorali.
E’ auspicabile perciò che a
questo punto si costituisca un governo a scopo, col mandato specifico di
approvare un sistema elettorale che garantisca per un verso la stabilità del
governo e abbia per un altro i caratteri di costituente per aggiustare la Costituzione sul
versante della governabilità.
Quanto alla protesta, essa,
premesso che in un paese sano è prevenuta e assorbita dall’azione della
giustizia, è un fatto politicamente positivo finché resta entro limiti di
utilità democratica e ha gli occhi per vedere dove va. Se straripa ed è cieca,
può diventare qualcosa di estremamente dannoso.