domenica 1 giugno 2014

Renzi, il frutto di plastica della democrazia italiana


Le Elezioni Europee di domenica scorsa, 25 maggio, hanno dato un risultato incredibile. No, non mi riferisco allo strasuccesso del Pd (40,81 % - 31 seggi), né alla comica frenata del M5S (21,15 % - 17 seggi), né tanto meno al commiserevole contentino di Forza Italia (16,81 % - 13 seggi) né alle briciole del Nuovo centro destra (4,38 % - 3 seggi) né…né…né…ad altri più o meno pietosi, più o meno soddisfacenti risultati. Mi riferisco al fatto che – mi si passi la metafora – sul ramo di una pianta dal tronco rinsecchito e con gran parte dei rami secchi o semisecchi e spogli, è appeso, come in cima al palo di una cuccagna, un frutto bello, grosso, maturo da far venire l’acquolina in bocca. E’ il frutto del Pd, ovvero di Renzi, che ha fatto venire l’acquolina in bocca perfino a Fassina, a Bersani, a Cuperlo e a tutta la compagnia bella, che fino a ieri sperava che un colpo di vento buttasse giù quell’albero. Ma è un frutto di plastica!
La propaganda dei media, pronta sempre ad esaltare ogni risultato che faccia comodo all’establishment napolitanesco, tambureggia sullo straordinario senso di maturità della democrazia italiana. Il ragionamento è semplice: si sperava in un successo di Renzi e in una sconfitta di Grillo e tanto è stato. Che più? Ostellino sul “Corriere della Sera” ha avanzato qualche perplessità sul risultato e sul suo eroe, «un ragazzotto che se la cava bene a chiacchiere. Non ha altro da esibire; perciò fa dell’ottimismo della volontà la propria bandiera, spacciandola per programma politico» (28 maggio); ma è rara avis in un cra-cra nello stagno pieno di rane. Alcuni di quell’establishment sono contenti che finalmente Renzi è legittimato dal voto popolare, come se si fosse votato per eleggere il Capo del Governo e non invece 73 rappresentanti italiani al Parlamento Europeo. Renzi, invece, posticcio era e posticcio rimane fino ad elezione di merito contraria.
La situazione italiana si scopre grave appena si tenti una prospettiva. Ha votato appena il 57,22 % degli aventi diritto; una percentuale che è febbre alta nella temperatura corporea di un organismo elettorale malato e sofferente. Siamo stati ottimisti nell’indicare al di sotto del 65 % il profilo patologico della nazione (“Spagine” di domenica, 25 maggio).
Il risultato elettorale tuttavia è razionale. Se è accaduto vuol dire che così doveva accadere. La campagna elettorale, infatti, è stata deformata e circoscritta a tre protagonisti, dei quali uno, da premier e segretario di partito (Renzi), era su tutti gli schermi televisivi ventiquattr’ore su ventiquattro; l’altro, che doveva essere il suo antagonista naturale (Berlusconi), semplicemente “non c’era”, decaduto, smarrito, depresso, un uccello spelacchiato nella pània giudiziaria. Al suo posto c’era Grillo, un comico impazzito, ormai fuori di testa completamente, ubriaco di se stesso, delle sue manìe totalitarie: «non vinciamo, stravinciamo, prenderemo il cento per cento», «ormai stanno con noi Digos, Dia e Carabinieri». Deliri puri, tali considerati se nessuna mezza tacca di magistrato si è sentito in dovere di mandare appunto i Carabinieri o gli infermieri di un Pronto Soccorso, per prelevarlo e condurlo in un luogo di cura. In siffatte condizioni il risultato non poteva essere che quello che è stato.
Certo, ci sono gli errori, commessi e non solo negli ultimi tempi sia da Berlusconi che da Grillo. L’uno è come l’eroe ariostesco, continua a combattere e non si è accorto di essere già morto, in attesa solo di sepoltura. L’altro si è impelagato in un’avventura che non lascia intravvedere nessuna strada percorribile, stante la pervicacia di credere di poter veramente conquistare il potere da solo, e per di più democraticamente. Le sue follie evocatrici di Berlinguer sono solo trovate propagandistiche per accreditarsi presso un elettorato di sinistra. Un errore grave se si considera che il fenomeno Grillo si è dilatato grazie ad un elettorato di destra, scontento e deluso, ma pur sempre di destra. A votare il M5S nel 2013 erano stati molti ex missini ed ex aennisti, i quali questa volta hanno pensato bene di regolarsi di conseguenza dopo l’illusione dell’anno scorso.
Ora il corpo elettorale italiano deve ritrovare la condizione, prepararsi ad un confronto regolare per le prossime politiche: da una parte il centrosinistra, ormai rinnovato; salvo che a sinistra non s’inventino qualcosa per farsi male da soli. Dall’altra il centrodestra deve rinnovarsi pena la sua rovina. Le riserve egoistiche di Alfano e compagni non hanno davvero nessuna ragione. Quello che doveva essere l’inizio di un nuovo centrodestra rinnovato ed europeo si è rivelato in tutta la sua pochezza se in alleanza con l’Unione di Centro è riuscito a superare appena-appena la soglia di sbarramento. Tutti insieme a destra possono competere con l’avversario di sinistra.
Resta l’incognita del M5S, che, a questo punto dovrebbe incominciare ad istituzionalizzarsi, a trasformarsi cioè in partito che cerca con gli altri alleanze ed elaborazione dei programmi; o, al limite, a dividersi nelle sue due anime, di destra e di sinistra, per stare ognuna con lo schieramento più affine. Per questo è necessario  che il Movimento “uccida” i padri dai quali è stato messo al mondo: Grillo e Casaleggio. Il processo di avviamento al bipartitismo sarebbe così ricomposto; e l’Italia potrebbe essere o avviarsi ad essere un paese politicamente normale.

Fantapolitica? Forse. Ma ne abbiamo viste tante e tali in questi ultimi vent’anni che trovare il discrimine tra la fantasia e la realtà nella politica italiana è assai più difficile che ipotizzare la dissoluzione di un Movimento come quello di Grillo. Fini, Casini, Di Pietro: ou sont les neiges d’antan?

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