Le Elezioni Europee di domenica
scorsa, 25 maggio, hanno dato un risultato incredibile. No, non mi riferisco
allo strasuccesso del Pd (40,81 % - 31 seggi), né alla comica frenata del M5S
(21,15 % - 17 seggi), né tanto meno al commiserevole contentino di Forza Italia
(16,81 % - 13 seggi) né alle briciole del Nuovo centro destra (4,38 % - 3
seggi) né…né…né…ad altri più o meno pietosi, più o meno soddisfacenti
risultati. Mi riferisco al fatto che – mi si passi la metafora – sul ramo di
una pianta dal tronco rinsecchito e con gran parte dei rami secchi o semisecchi
e spogli, è appeso, come in cima al palo di una cuccagna, un frutto bello,
grosso, maturo da far venire l’acquolina in bocca. E’ il frutto del Pd, ovvero
di Renzi, che ha fatto venire l’acquolina in bocca perfino a Fassina, a
Bersani, a Cuperlo e a tutta la compagnia bella, che fino a ieri sperava che un
colpo di vento buttasse giù quell’albero. Ma è un frutto di plastica!
La propaganda dei media, pronta
sempre ad esaltare ogni risultato che faccia comodo all’establishment napolitanesco, tambureggia sullo straordinario senso
di maturità della democrazia italiana. Il ragionamento è semplice: si sperava
in un successo di Renzi e in una sconfitta di Grillo e tanto è stato. Che più?
Ostellino sul “Corriere della Sera” ha avanzato qualche perplessità sul
risultato e sul suo eroe, «un ragazzotto che se la cava bene a chiacchiere. Non
ha altro da esibire; perciò fa dell’ottimismo della volontà la propria
bandiera, spacciandola per programma politico» (28 maggio); ma è rara avis in un cra-cra nello stagno
pieno di rane. Alcuni di quell’establishment
sono contenti che finalmente Renzi è legittimato dal voto popolare, come se si
fosse votato per eleggere il Capo del Governo e non invece 73 rappresentanti
italiani al Parlamento Europeo. Renzi, invece, posticcio era e posticcio rimane
fino ad elezione di merito contraria.
La situazione italiana si scopre
grave appena si tenti una prospettiva. Ha votato appena il 57,22 % degli aventi
diritto; una percentuale che è febbre alta nella temperatura corporea di un
organismo elettorale malato e sofferente. Siamo stati ottimisti nell’indicare
al di sotto del 65 % il profilo patologico della nazione (“Spagine” di
domenica, 25 maggio).
Il risultato elettorale tuttavia
è razionale. Se è accaduto vuol dire che così doveva accadere. La campagna
elettorale, infatti, è stata deformata e circoscritta a tre protagonisti, dei
quali uno, da premier e segretario di partito (Renzi), era su tutti gli schermi
televisivi ventiquattr’ore su ventiquattro; l’altro, che doveva essere il suo
antagonista naturale (Berlusconi), semplicemente “non c’era”, decaduto,
smarrito, depresso, un uccello spelacchiato nella pània giudiziaria. Al suo
posto c’era Grillo, un comico impazzito, ormai fuori di testa completamente,
ubriaco di se stesso, delle sue manìe totalitarie: «non vinciamo, stravinciamo,
prenderemo il cento per cento», «ormai stanno con noi Digos, Dia e
Carabinieri». Deliri puri, tali considerati se nessuna mezza tacca di
magistrato si è sentito in dovere di mandare appunto i Carabinieri o gli
infermieri di un Pronto Soccorso, per prelevarlo e condurlo in un luogo di
cura. In siffatte condizioni il risultato non poteva essere che quello che è
stato.
Certo, ci sono gli errori,
commessi e non solo negli ultimi tempi sia da Berlusconi che da Grillo. L’uno è
come l’eroe ariostesco, continua a combattere e non si è accorto di essere già
morto, in attesa solo di sepoltura. L’altro si è impelagato in un’avventura che
non lascia intravvedere nessuna strada percorribile, stante la pervicacia di
credere di poter veramente conquistare il potere da solo, e per di più
democraticamente. Le sue follie evocatrici di Berlinguer sono solo trovate
propagandistiche per accreditarsi presso un elettorato di sinistra. Un errore
grave se si considera che il fenomeno Grillo si è dilatato grazie ad un
elettorato di destra, scontento e deluso, ma pur sempre di destra. A votare il
M5S nel 2013 erano stati molti ex missini ed ex aennisti, i quali questa volta
hanno pensato bene di regolarsi di conseguenza dopo l’illusione dell’anno
scorso.
Ora il corpo elettorale italiano
deve ritrovare la condizione, prepararsi ad un confronto regolare per le
prossime politiche: da una parte il centrosinistra, ormai rinnovato; salvo che
a sinistra non s’inventino qualcosa per farsi male da soli. Dall’altra il
centrodestra deve rinnovarsi pena la sua rovina. Le riserve egoistiche di
Alfano e compagni non hanno davvero nessuna ragione. Quello che doveva essere
l’inizio di un nuovo centrodestra rinnovato ed europeo si è rivelato in tutta
la sua pochezza se in alleanza con l’Unione di Centro è riuscito a superare
appena-appena la soglia di sbarramento. Tutti insieme a destra possono
competere con l’avversario di sinistra.
Resta l’incognita del M5S, che, a
questo punto dovrebbe incominciare ad istituzionalizzarsi, a trasformarsi cioè
in partito che cerca con gli altri alleanze ed elaborazione dei programmi; o,
al limite, a dividersi nelle sue due anime, di destra e di sinistra, per stare
ognuna con lo schieramento più affine. Per questo è necessario che il Movimento “uccida” i padri dai quali è
stato messo al mondo: Grillo e Casaleggio. Il processo di avviamento al
bipartitismo sarebbe così ricomposto; e l’Italia potrebbe essere o avviarsi ad
essere un paese politicamente normale.
Fantapolitica? Forse. Ma ne
abbiamo viste tante e tali in questi ultimi vent’anni che trovare il discrimine
tra la fantasia e la realtà nella politica italiana è assai più difficile che
ipotizzare la dissoluzione di un Movimento come quello di Grillo. Fini, Casini,
Di Pietro: ou sont les neiges d’antan?
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